Il «momento nero» dei media e il nodo dei finanziamenti
«Il settore dei media sta vivendo un autunno nero, per il secondo anno consecutivo, con un’ondata di nuovi licenziamenti e difficoltà via via crescenti». Così il presidente dell’Associazione ticinese dei giornalisti (ATG) Roberto Porta ha introdotto la serata di dibattito dal titolo «I media in crisi, e la politica cosa fa?». «Viviamo in un’epoca di post-verità, mentre il compito del giornalista è invece quello di lavorare con i fatti», ha ricordato Porta. «E questo crea tensioni con una parte di pubblico». Un divario reso sempre più profondo dal 2016, ha ricordato, «dalla Brexit e dalla prima elezione di Donald Trump». Nuovi problemi, insomma, che si sommano a quelli ben noti, come il calo delle entrate pubblicitarie e quello dei lettori. Di fronte a questo scenario «la politica è preoccupata?», ha quindi chiesto la moderatrice della serata, la giornalista RSI Francesca Campagiorni. «Chiunque non sia cieco non può che essere preoccupato per il rischio di perdere il giornalismo di qualità e per le possibili conseguenze sulla democrazia», ha evidenziato la consigliera nazionale dei Verdi Greta Gysin. Dello stesso avviso pure il consigliere agli Stati del Centro Fabio Regazzi, secondo il quale, «come per ogni settore economico in difficoltà, ci sono timori anche per i media, tanto più considerando il ruolo che svolgono».
Come nel resto del Paese, anche i giornali ticinesi, ha spiegato da parte sua il direttore generale del Gruppo Corriere del Ticino Alessandro Colombi, non sono immuni alla crisi: «Da qualche anno non sostituiamo più i partenti. Abbiamo cambiato la nostra organizzazione cercando di aumentare la produttività, ma non possiamo spremere i giornalisti. Ne va della qualità del loro lavoro e del prodotto offerto». Secondo Rocco Salvioni, direttore generale de La Regione, siamo di fronte a «una crisi strutturale: è un ecosistema intero a essere in difficoltà. Con l’avvento di Internet sono cambiate le abitudini dei lettori, sempre meno disposti a pagare per informarsi». In questo contesto, ha sottolineato Colombi, il CdT già nel 2019 ha introdotto il «paywall», ossia i contenuti a pagamento sul sito, «ma la percentuale di persone disposte a pagare è insufficiente a colmare il gap delle disdette».
In questo scenario, un aiuto ai media è ritenuto imprescindibile. Eppure, già nel 2022 la popolazione ha bocciato il pacchetto di aiuti ai media. «In generale - ha osservato Salvioni - credo sia importante dare un sostegno accresciuto, ma bisognerebbe pensare a nuovo modello di finanziamento, rivolto anche ai portali online e al giornalismo sui social network». «Abbiamo digitalizzato tutto il possibile - gli ha fatto eco Colombi - ma non si può pensare che la digitalizzazione sia la medicina a tutti i mali. Il nostro contesto è talmente piccolo che non ogni iniziativa digitale riesce a stare in piedi». Quindi, ha aggiunto, «chiediamo perlomeno regole di ingaggio corrette per gli editori: ad esempio, la Posta, oltre al disservizio nella consegna dei giornali, ci fa anche concorrenza distribuendo direttamente i fascicoli pubblicitari prima appannaggio dei giornali». Secondo Gysin, «la Posta si è mossa in questo modo perché ha il compito di generare utili, ed è anch’essa in difficoltà per via del volume in calo delle lettere. Siamo in una situazione assurda, per cui la Posta è costretta a diventare creativa creando problemi alla stampa».
Già, ma allora quali soluzioni si profilano dalla politica? Il Consiglio nazionale ha recentemente dato il via libera a un progetto che prevede che la stampa regionale e locale riceva un maggiore sostegno per un periodo di sette anni. Una misura transitoria considerata necessaria per assicurare il pluralismo dei media. Il dossier verrà discusso venerdì dalla Commissione degli Stati e sarà poi in agenda durante la sessione invernale delle Camere. Tuttavia, secondo Regazzi, «il segnale uscito dal voto popolare del 2022 è chiaro, e va tenuto in considerazione». Il consigliere agli Stati ha spiegato di «non essere contrario a priori» a un sostegno ai media, purché sia in forma indiretta: «Si possono trovare facilitazioni, aiuti indiretti, ma guai a percorrere la strada dei sussidi diretti. È la via sbagliata, e le conseguenze sarebbero nefaste e non andrebbero a beneficio del ruolo dei giornali». Diversa l’opinione di Gysin, secondo la quale invece «è proprio questo il momento di assicurare un sostegno ai media, diretto o indiretto. Ma necessario per superare questa fase delicata».