Il PPD svizzero alla ricerca di un nuovo nome? Una lunga storia

Fra i membri della base del partito è in corso il sondaggio sul modo di autodefinirsi. Lo scorso 7 settembre la presidenza ha fatto la sua proposta: a livello nazionale vorrebbe chiamarsi «Die Mitte – Le Centre – Alleanza del Centro – Allianza dal Center». A livello locale, invece, i partiti saranno poi liberi di adottare o no il nuovo nome. «La “C” come handicap -“Il Centro” come prima base di discussione», titola il manifesto stampato per l’occasione. Attualmente la denominazione, risalente al 1970, è in lingua tedesca CVP-Christliche demokratische Volkspartei (Partito popolare democratico-cristiano), in quella francese PDC-Parti démocrate-chrétien, e in lingua italiana, introdotta nel 1972, PPD-Partito Popolare Democratico.


Originariamente il Partito «conservatore-cattolico», sia a livello svizzero che ticinese, si inserisce nella tradizione del liberalismo moderato ottocentesco, difensore degli interessi delle istituzioni ecclesiastiche in campo politico e collaterale al movimento cattolico; e questo diversamente da quanto avverrà in Italia, dove il Partito Popolare Italiano (PPI), fondato da don Luigi Sturzo nel 1919 e il partito che ne fu più tardi l’erede, la Democrazia Cristiana (DC), si innestano invece entrambi direttamente sul «movimento cattolico» − termine, quest’ultimo, con cui si intende in senso ampio la composita realtà delle associazioni del laicato, delle opere assistenziali e caritative, dei movimenti politici e sindacali e della stampa cattolica, scaturenti da una determinata realtà ecclesiale diocesana e dai relativi enti religiosi.Storicamente non è certo la prima volta che il partito svizzero d’ispirazione cristiana si trova a discutere sulla propria identità ed a cambiare nome. Gli antesignani storici degli odierni CVP/PDC e PPD sono rispettivamente il Partito Popolare Cattolico Svizzero (PPCS), nome assunto nel 1894 per compattare l’azione politica dei cattolici sul piano nazionale, e il Partito «liberal-conservatore» ticinese (PLC) fondato nel 1859, nati entrambi nell’ottica economica manchesteriana di conservazione della società: dunque un partito poco incline a prendere in considerazione una qualsivoglia ipotesi generale per la trasformazione della società liberal-borghese.
La genesi
È significativo, riguardo alla genesi del Partito «conservatore-cattolico» e la specificità che gli aggettivi «liberale» e «conservatore» significavano nel Ticino rispetto ad altri Stati, quanto scritto dalla congregazione degli affari ecclesiastici straordinari della Santa Sede (chiamata a pronunciarsi sul conflitto tra corrente respiniana e corrente giubiaschese scoppiato in seno a quel partito dopo la “rivoluzione” del 1890, il colpo di mano del Partito liberale antagonista che mise fine al precedente governo dominato dai conservatori) in un suo promemoria del 1899: i conservatori «recentemente si suddivisero in “conservatori puri” [respiniani] e “conservatori moderati” [giubiaschesi]. Queste designazioni non esprimono gli stessi concetti che in altri paesi, ove pur vengono adoperate. Tutti son fautori della forma repubblicana di governo, tutti amano essere, apparire e restare realmente democratici, tanto che anticamente non erano nel Canton Ticino che due soli partiti e “liberali” entrambi, l’uno detto dei “progressisti”, l’altro dei “moderati”. Anzi si afferma che il maggior nucleo di quelli che fondarono l’attuale partito conservatore era realmente ed amava confessarsi di principii e di pratica “liberale”. Ed il primo programma, che presentarono agli elettori [la riforma costituzionale del 1830] fu la difesa della libertà per tutti».
Le differenze con l’Italia
Originariamente il Partito «conservatore-cattolico», sia a livello svizzero che ticinese, si inserisce nella tradizione del liberalismo moderato ottocentesco, difensore degli interessi delle istituzioni ecclesiastiche in campo politico e collaterale al movimento cattolico; e questo diversamente da quanto avverrà in Italia, dove il Partito Popolare Italiano (PPI), fondato da don Luigi Sturzo nel 1919 e il partito che ne fu più tardi l’erede, la Democrazia Cristiana (DC), si innestano invece entrambi direttamente sul «movimento cattolico» − termine, quest’ultimo, con cui si intende in senso ampio la composita realtà delle associazioni del laicato, delle opere assistenziali e caritative, dei movimenti politici e sindacali e della stampa cattolica, scaturenti da una determinata realtà ecclesiale diocesana e dai relativi enti religiosi.


I cambiamenti nel corso del tempo del nome ufficiale del Partito Popolare Cattolico Svizzero e del Partito Liberal-Conservatore ticinese sono indicativi dei loro adattamenti ideologici nei diversi momenti storici. Sul piano nazionale, nel 1912 il PPCS tolse l’etichetta confessionale di partito «cattolico» per diventare Partito Popolare Conservatore Svizzero (PPCS), che fu il primo vero e proprio partito nazionale unitario dei cattolici; «Popolare», in tedesco Volkspartei, lo era sempre stato, mentre l’aggettivo «conservatore» non stava a significare «reazionario», ma intendeva richiamare i principi federalistici costituenti la base ideologica tradizionale che aveva unito i padri fondatori storici del partito nei cantoni a maggioranza cattolica.
L’aggettivo «democratico»
Nel 1957 il PPCS, per influsso dei gruppi di ispirazione cristiano-sociale (la «Federazione svizzera dei sindacati cristiano-nazionali», dal 2003 diventata «Travail.Suisse»), specie di quelli dei cantoni di confessione mista (Zurigo, Ginevra, ecc.), al proprio nome ufficiale aggiunse anche l’aggettivo «cristiano-sociale»; infine nel 1970, come già ricordato, venne introdotta l’attuale denominazione CVP-PDC. Quanto al partito cantonale ticinese, nel 1893 il Partito Liberal-Conservatore (PLC) si tolse l’aggettivo «liberale», lasciando solo quello di «conservatore», e in seguito, nel 1912-‘13, assunse il nome di Partito Conservatore Democratico Ticinese (PCDT), poi diventato dal 1972 l’odierno Partito Popolare Democratico (PPD).
La posizione del Corriere
Nelle discussioni del 1912 sul cambiamento del nome, la corrente minoritaria cattolico-liberale − di cui erano espressione il «Corriere del Ticino» di Agostino Soldati e l’«Eco del Gottardo» di Locarno − propose di ritornare alla vecchia denominazione di «liberal-conservatore», ma la corrente moderata maggioritaria di centro e quella clericale legata al settimanale cattolico «La Famiglia» non furono d’accordo e riuscirono, insieme, a far accettare il nome di «Partito Conservatore Democratico Ticinese».
In quel frangente, in polemica con il «Corriere», Giuseppe Cattori (insieme a Giuseppe Motta il leader più influente del partito) sostenne che l’aggettivo «liberale» corrispondeva a un periodo storico ormai sorpassato, in cui il partito aveva dovuto lottare per la libertà specie della Chiesa, e che perciò l’aggettivo «democratico» era più adeguato ai tempi. Precisò tuttavia che il nuovo nome non significava né abbandono dei principi liberali garantiti dalla Costituzione federale, né una involuzione clericale, che ordinamenti e decisioni del partito dipendevano esclusivamente da uomini politici laici, e che perciò il partito non poteva dirsi clericale ma più propriamente laico.
La posizione di Cattori
Da queste considerazioni si capisce che Cattori non seguiva la dottrina ufficiale cattolica del tempo, ancora influenzata dal Sillabo e dalle condanne al modernismo di papa Pio X, ma l’insegnamento dei cattolici liberali transigenti dell’800 come il domenicano francese Henri Lacordaire (fra i maggiori esponenti del cattolicesimo liberale ottocentesco e precursore del cattolicesimo moderno), e quello dei cattolici democratici italiani di don Sturzo (poi costretto all’esilio dal fascismo). Cattori di lì a pochi anni sarebbe stato l’artefice dell’intesa governativa tra conservatori e socialisti, intercorsa dal 1922 al 1935 e indigesta a gran parte della Chiesa locale e a non pochi notabili conservatori.
Conservatori apatici con i cristiano-sociali
Fino al primo `900 il partito conservatore, se da una parte favorì la graduale integrazione politica dei cattolici nella vita civile del Paese, dall’altra ebbe come effetto un’inevitabile politicizzazione della loro azione a scapito della dimensione più propriamente sociale, educativo-religiosa e culturale.

La libertà religiosa
Una situazione che rese predominante le istanze di «libertà religiosa» (legge civile-ecclesiastica, insegnamento della religione nella scuola pubblica, scuole private, ecc.) sui bisogni sociali e le necessarie riforme economiche, cui anelavano invece con vigore il partito socialista e le relative organizzazioni sindacali (Camera del Lavoro e Unione Sindacale Svizzera) e, pur nelle loro esigua entità, i gruppi cristiano-sociali nati sulla scia della Rerum Novarum, l’enciclica promulgata nel 1891 da papa Leone XIII, primo documento nella storia della Chiesa sulla questione sociale.
Oltre che negli interessi economici e nelle strategie di potere, l’apatia del partito «cattolico-conservatore» verso una vera politica sociale trovava (e trova ancor oggi) naturalmente giustificazione nella sua natura interclassista. Nel Ticino la grave crisi bancaria del 1914, che portò al fallimento dei maggiori istituti di credito diretti da comitati politici, ebbe come conseguenza una decisa protesta da parte dei cristiano-sociali ai dirigenti conservatori del Credito Ticinese e una provvisoria ma completa rottura con il partito.


Pertanto lo stesso nome «conservatore» non andò più rappresentando per il gruppo cristiano-sociale un programma per l’avvenire, in quanto si limitava ormai a raccogliere delle tradizioni superate che impedivano un rinnovamento dell’ordine sociale nel senso indicato dal magistero sociale della Chiesa. Così scriveva «La Gazzetta del Lavoratore», l’allora organo a stampa di quel gruppo: «Noi abbiamo già la prova evidente che la parola “conservatore” non è per nulla in contraddizione coll’economia nazionale liberale. Sul terreno economico nel Cantone Ticino ambedue i partiti sono egualmente seguaci della scuola di Manchester, sotto questo aspetto non v’è distinzione tra di loro. Al partito conservatore nel Ticino manca la comprensione del vero concetto cattolico dell’economia popolare. Perciò la mancanza di interesse per l’organizzazione cattolica degli operai, di qui la sua apatia completa (...) Lo spirito di Leone XIII ha passato i confini per pochi».
Un piccolo scisma
Così nel 1916 i cristiano-sociali dichiararono esplicitamente la propria autonomia rispetto al partito: «Necessità vuole che noi ci teniamo officialmente indipendenti da ogni partito, per avere in ogni tempo, in ogni ora, quando si tratti dell’interesse del popolo lavoratore, la più completa libertà d’azione».
Negli anni della Prima guerra mondiale i partiti storici ticinesi (liberale e conservatore) condussero una politica di stretta alleanza per consolidare le finanze cantonali contro gli interessi della minoranza socialista, allora ancora rappresentata solo nel Parlamento. La politica tributaria delle due compagini borghesi, dettata soprattutto dalla preoccupazione di salvaguardare il principio del non intervento dello Stato che solo «i parrucconi che s’ispirano al manchesterismo» potevano ancora sostenere («La Gazzetta del Lavoratore», 8.6.1907), impedì al governo di fronteggiare debitamente i gravi problemi economici e sociali posti dal conflitto bellico.
I cristiano-sociali ne furono delusi, così che per le elezioni legislative del 1917 «La Gazzetta» non pubblicò il programma del Partito conservatore-democratico, limitandosi a raccomandare un appoggio di principio alle sue liste. Le leghe operaie cattoliche (organizzazioni presindacali fondate da don Carlo Roggiero agli inizi del ‘900, antesignane dell’OCST-Organizzazione Cristiano-Sociale Ticinese fondata nel 1919 e affermatasi durante gli anni ’30 grazie a don Luigi Del-Pietro) furono inoltre risentite per un articolo di Giuseppe Cattori, nel frattempo diventato Consigliere di Stato, apparso sul «Popolo e Libertà» (organo del PCDT), che ammetteva il carattere apolitico e aconfessionale della Camera del Lavoro per giustificare la decisione presa allora dalla Federazione dei docenti cattolici ticinesi di lasciare liberi i propri membri di iscriversi al sindacato socialista onde far valere quelle rivendicazioni di stipendio che i rappresentanti in Gran Consiglio non si erano preoccupati di appoggiare validamente.
Le proteste di don Roggiero
Agli inizi del 1919, quando il Partito conservatore svizzero inserì nel suo programma alcuni punti per una riforma della legislazione sociale e riconobbe finalmente ed esplicitamente le società operaie cattoliche e i sindacati cristiani, don Roggiero plaudì ma asserì che il ritardo con il quale i conservatori svizzeri avevano riconosciuto le organizzazioni operaie cristiano-sociali gettava su di loro un’ombra poco favorevole, essendoci voluto lo sciopero nazionale del 1918, con il pericolo della rivoluzione, per produrre tale trasformazione. «La Gazzetta del Lavoratore» prese poi atto con soddisfazione che il partito conservatore ticinese avesse aderito prontamente al programma del partito nazionale, e per le elezioni del 1919 al Consiglio nazionale pubblicò e sostenne la lista dei candidati conservatori ticinesi. Nella pratica, però, le dirigenze conservatrici non diedero nessun sostegno ai tentativi dei rappresentati cristiano-sociali (eletti per la prima volta nel Gran Consiglio nei primi anni ’20) di promuovere iniziative in favore del popolo, mostrandosi renitenti a mettere in pratica un’effettiva politica sociale, diversamente da quanto si sforzava di fare il partito socialista.
L’ostracismo
Sino al 1929 i cristiano-sociali, a paragone dei socialisti, furono loro malgrado poco incisivi in mezzo agli operai, attribuendo la colpa di questo insuccesso, non senza ragione, all’ostracismo da loro sofferto per il politicismo della classe dirigente (conservatori inclusi) e l’immobilismo della stessa in materia sociale ed economica. Nei decenni a venire, malgrado le lusinghiere affermazioni dei cristiano-sociali in Svizzera e specialmente nel Cantone Ticino, il partito conservatore non fece mai veramente suo il loro progetto politico, accogliendone i postulati politici più per strategia elettorale e di equilibri di potere che per effettiva convinzione.


