Il settore primario regge il colpo, ma sui pesticidi non è tutto limpido

Come sta l’agricoltura svizzera? Piuttosto bene. Almeno secondo i dati diffusi dall’Ufficio federale di statistica. Nonostante la trasformazione strutturale del settore sia proseguita anche nel 2023 (sono state censite 47.719 aziende, con una diminuzione dell’1,3%), è leggermente aumentata la superficie coltivata. Un altro dato degno di nota riguarda il trend verso aziende agricole più grandi: se da un lato quelle inferiori ai 30 ettari sono diminuite (-2,2%), dall’altro sono aumentate quelle al di sopra dei 30 ettari (+1,6%). È sempre più in voga, poi, l’agricoltura biologica, ora praticata da 7.896 aziende (+77, il 16,7% del totale) su una superficie di 190 mila ettari (+3.700 ettari, il 2% in più rispetto al 2022).
Quattro aziende in meno
E il Ticino? I numeri sottolineano una sostanziale tenuta dell’intero comparto, in linea con gli scorsi anni. Nel rilevamento dell’UST, infatti, a fine 2023 erano attive nel nostro cantone 1.027 aziende, in calo di 4 unità. Sono invece aumentate da 174 a 179 quelle che praticano l’agricoltura biologica. Già. Ma in tutta questa selva di dati, che fine hanno fatto le proteste degli stessi agricoltori? A inizio anno, come ricorderete, i contadini di mezza Europa erano scesi in piazza in quella che era stata definita la «rivolta dei trattori». Chiedevano, in buona sostanza, meno tasse, prezzi più equi e norme meno stringenti per la produzione. Anche in Svizzera, e in alcuni casi in Ticino, s’erano verificate delle (simboliche) manifestazioni a fronte di dati salariali impietosi per le famiglie contadine. «Durante quelle settimane avevamo lanciato anche una petizione online che ha raccolto più di 70.000 firme in una decina di giorni», ricorda a questo proposito Sem Genini, segretario cantonale dell’Unione dei contadini ticinesi. «E le richieste sono ancora sul piatto». Insomma, sotto la cenere cova ancora un certo malcontento. Cinque i punti principali contenuti nella petizione: un migliore riconoscimento dei molteplici ruoli svolti dall’agricoltura, il mantenimento delle risorse finanziarie per il preventivo 2025 e il credito 2026-2029, soluzioni pratiche adattate al contesto regionale per le famiglie contadine, nonché prezzi più alti per i produttori e il rifiuto di qualsiasi nuova restrizione produttiva a cui non corrisponda una rimunerazione. «In questo momento i contadini hanno troppe cose a cui pensare per stare dietro alle proteste: ci sono gli alpeggi da caricare, la fase vegetativa delle colture da seguire, ad esempio. Aspetteremo l’autunno per capire se le rivendicazioni avranno avuto effetto». Ma qualcosa, nel frattempo, si è mosso. In questi mesi si sta definendo la nuova politica agricola dal 2030 in poi. Gli scenari? «La volontà di ascoltare tutti gli attori coinvolti c’è», premette Genini, che sta partecipando alle riunioni nazionali della commissione consultiva sull’agricoltura. «La direzione principale intrapresa è che non ci sarà più una politica agricola, bensì una politica agroalimentare. È un cambio di paradigma». Verranno quindi coinvolti, oltre al settore primario, la ricerca, la scienza, gli stessi consumatori e via discorrendo. Un approccio quindi «olistico» alla materia, per cominciare a ragionare sull’intera catena produttiva e sulle sensibilità sempre più accentuate in ambito di sostenibilità, responsabilizzando al contempo anche tutti gli attori coinvolti. In questo contesto, continua Genini «c’è concordanza: ci vuole una chiara semplificazione e riduzione degli oneri amministrativi, così come bisogna garantire la sicurezza dell’approvvigionamento e dare delle prospettive finanziarie e sociali alle famiglie contadine».
Un obiettivo controverso
Intanto, prima del 2030, c’è un altro obiettivo da raggiungere: dimezzare entro tre anni l’impiego di prodotti fitosanitari, come richiesto da un’iniziativa parlamentare. Lo scorso anno, quasi il 20% di tutti i campi in Svizzera sono stati coltivati senza l’utilizzo dei pesticidi, permettendo agli agricoltori di ricevere dei nuovi, specifici pagamenti diretti. Dati incoraggianti, dunque. «Il settore segue bene quanto deciso dalla politica e i risultati lo dimostrano, qui da noi le famiglie contadine lavorano estremamente bene», sottolinea Genini. «Ma del resto non hanno altra scelta: per far quadrare i bilanci aziendali, per alcuni settori non bastano i ricavi dalle vendite dei prodotti bensì spesso è necessario rinunciare, per ricevere i finanziamenti, a una parte del raccolto a favore di tutta la popolazione con superfici dedite esclusivamente alla promozione della biodiversità (il 20% del totale, sebbene solo il 7% sarebbe richiesto per legge, ndr) e con appunto la rinuncia all’uso dei prodotti fitosanitari, qualcosa che in taluni casi si fa già da anni ma senza una specifica rimunerazione». La perdita di guadagno del contadino viene dunque compensata dai pagamenti diretti. Un fine nobile, quello del dimezzamento dell’utilizzo di certi prodotti chimici, che però nasconde qualche stortura, in particolare per quanto riguarda l’autosostentamento alimentare. «Se hai meno produzione, significa però che corri il pericolo di dover importare», evidenzia Genini. Tradotto: se, ad esempio, non ci sono abbastanza patate per soddisfare la domanda interna, bisogna ricorrere ai Paesi europei. Dove alcuni prodotti fitosanitari vengono però ancora utilizzati.
Dove trasformiamo il latte?
Al di là di questi aspetti ancora non ben definiti, ribadiamo la domanda: come sta l’agricoltura ticinese? «È messa piuttosto bene a livello strutturale, i dati statistici pubblicati sono incoraggianti», dice il segretario cantonale dell’UCT. «Il sistema tiene. E c’è ricambio generazionale: le aziende vengono riprese e non calano da alcuni anni, un aspetto positivo. Come è positivo l’aumento della superficie agricola utile. Il settore, dunque, non è in regressione». Altri aspetti specifici, invece, sono molto più delicati soprattutto per quanto riguarda i punti citati all’inizio e inerenti la petizione. Come noto, la chiusura della LATI, ad esempio, ha scosso il settore. Dove trasformare il latte prodotto in Ticino? «Si stanno cercando delle soluzioni di concerto con le associazioni di categoria e il Cantone», rileva Genini. «Durante la Camera cantonale dell’agricoltura, prevista oggi, ne parleremo di certo. Ma prima dobbiamo raccogliere i dati su quanto latte verrà ripreso dagli importanti attori presenti sul territorio, dal caseificio del Gottardo, dalla CETRA o eventualmente da singole aziende, e quanto invece rimane tagliato fuori».