Il caso

Il sindacato di Djokovic manda il tennis nel caos

La PTPA, co-fondata dal serbo, ha intentato una maxi-causa contro ATP, WTA, ITF e ITIA - L’associazione, nata nel 2020, ha messo in discussione tutto il sistema che ruota attorno alla disciplina - Oltre alla ripartizione dei montepremi, l’accento è stato posto sulla salute e sulla privacy dei giocatori
© Ap Photo/Lynne Sladky
Alex Isenburg
22.03.2025 06:00

Qualcosa era nell’aria, certo, ma uno scossone di questo genere, quello non era preventivabile. Il terremoto che ha colpito il mondo del tennis negli ultimi giorni è stato poderoso, ma per valutarne la magnitudo, per il momento, è troppo presto. Più che un guanto di sfida, la Professional Tennis Player Association (PTPA) ha dichiarato guerra ai massimi organi governativi, indirizzando la battaglia sul campo legale. La PTPA, infatti, ha deciso di sganciare la bomba, intentando una maxi-causa rivolta ai due circuiti professionistici, ATP e WTA; alla Federazione Internazionale, ossia l’ITF; così come all’ITIA, che si occupa di regolare le questioni relative al doping e alle scommesse. Insomma, il sindacato - co-fondato da Novak Djokovic nel 2020 – nel suo atto di accusa di 163 pagine, non ha sostanzialmente risparmiato niente e nessuno, mettendo in discussione tutte le fondamenta dell’attuale sistema tennistico.

Le accuse

Delle avvisaglie, come accennato, ve ne erano già state nel momento stesso della creazione della PTPA. La visione, moralmente nobile, che ha dato il là all’associazione, era quella di garantire ai giocatori un ruolo maggiormente profilato nel processo decisionale e consentire dei buoni guadagni anche a coloro che non si trovano nelle primissime posizioni del ranking. Fin qui, per l’appunto, nulla di appuntabile, in quanto il problema che riguarda la disparità tra le classi di tennisti è ben nota. Già a partire dalla sua fondazione, tuttavia, la PTPA è stata ostracizzata da ATP e WTA, che l’hanno accolta con sospetto e non l’hanno mai riconosciuta. Per anni, poi, l’organizzazione – guidata ora dal direttore esecutivo Ahmad Nassar, che ha come mentore l’ex Commissioner NBA, David Stern – si è mossa con cautela. Finché, per l’appunto, non è giunta questa azione collettiva – sottoscritta da 12 giocatori – con cui è stata denunciata una sorta di collusione che starebbe danneggiando pesantemente i giocatori.

Sentitisi intrappolati come pedine di una partita a scacchi altrui, la PTPA ha deciso di ribaltare direttamente la tavola. «Gli organizzatori del Tour e dei tornei – leggiamo nell’introduzione – hanno cospirato per evitare la concorrenza tra loro e gli eventi esterni, controllando così la paga e le condizioni di lavoro dei giocatori». Le restrizioni alle quali i tennisti devono sottostare, per la PTPA, sono «draconiane», stesso termine utilizzato per descrivere il sistema del ranking, considerato poco meritocratico. Già, perché tutto, o quasi, è stato messo in discussione: la determinazione dei montepremi; la programmazione della stagione e dei tornei stessi; le direttive che regolano le partecipazioni alle esibizioni; le licenze, dal costo elevato, che i tornei devono acquisire per far parte del calendario. Non da ultimo, poi, c’è stato il duro attacco alla già citata ITIA. Le pratiche investigative attuate da quest’ultima, secondo gli accusatori, si spingono ben oltre il dovuto, tra perquisizioni, sequestri dei telefoni e interrogatori svolti senza la presenza di avvocati.

«Caso deplorevole»

Accuse pesanti che, evidentemente, hanno suscitato immediate reazioni da parte di chi è stato citato in giudizio. La WTA si è discostata, dichiarando il caso legale «infondato, deplorevole e fuorviante», mentre l’ATP ha replicato così: «Sono accuse del tutto prive di fondamento, difenderemo con vigore la nostra posizione. Dal momento della sua creazione, la PTPA ha faticato a ritagliarsi un ruolo significativo nel mondo del tennis, la decisione di intraprendere azioni legali è quindi poco sorprendente». Perfino la figura presidenziale della stessa organizzazione, ossia Andrea Gaudenzi, è stata presa di mira. Lui, ex giocatore e ormai manager di prestigio, che per taluni rappresenta il giusto tassello da frapporre fra giocatori e organizzatori dei tornei. La sua immagine, invece, è ben diversa agli occhi del sindacato nato poco prima degli US Open del 2020 e finanziato principalmente dal miliardario Bil Ackman. Infatti, Gaudenzi – che si era subito detto contrario alla creazione della PTPA – è stato accusato di non badare all’interesse dei giocatori. Ad esempio, per aver confermato la sede delle ATP Finals a Torino, nel suo Paese natale, senza aver seriamente considerato altre potenziali offerte gradite agli stessi tennisti.

Ecco, ma chi, esattamente, sostiene queste tesi? Vasek Pospisil - co-fondatore del sindacato e braccio destro di Djokovic – sul suo profilo X ha affermato di aver «parlato con oltre 300 giocatori prima di presentare la domanda e tutti ci hanno sostenuto molto, compresi i migliori. ATP e WTA hanno diffuso così tanta paura nel corso degli anni che non è facile pubblicare il proprio nome, ma il supporto dei giocatori per questa iniziativa è innegabile». Dinnanzi a ciò, allora, come si spiegano le parole espresse da Carlos Alcaraz – citato peraltro come esempio dalla stessa PTPA in un passaggio relativo alle difficili condizioni dei giocatori - e di certo non un signor nessuno? «Sono rimasto sorpreso – ha rivelato il numero 3 del mondo durante una conferenza stampa a Miami - nessuno mi aveva detto nulla. Sinceramente, alcuni aspetti sono condivisibili e altri lo sono meno, ma non sto dalla parte di chi ha scritto questa lettera, perché non ne sapevo niente». Qualcosa, insomma, sembra non quadrare.

Nole nell’ombra

Il mistero, inoltre, si è infittito per ciò che concerne i famosi 12 giocatori che hanno apposto la propria firma sul tanto discusso documento. Sì, poiché se il sostegno da parte di tutti è stato così forte, stupisce il fatto che i volti più noti siano il già menzionato Pospisil e il sempre controverso Nick Kyrgios. Chi, invece, può vantare della miglior classifica in singolare, è Varvara Gracheva, numero 65 WTA, seguita da Sorana Cirstea, che si situa appena fuori dalla top 100. E Novak Djokovic? Il serbo non figura in quanto ha deciso di non inserire il proprio nome. Per evitare che fosse strumentalizzato, si dice, ed evitare che la battaglia venisse percepita come una sua lotta personale contro l’ATP.

A proposito della sua mancata sottoscrizione, Nole ha risposto così: «Non avevo bisogno di firmare perché volevo che altri tennisti si facessero avanti, io sono già stato molto attivo in questioni politiche che riguardano la nostra disciplina. Si tratta di una classica causa legale, una faccenda tra avvocati. Sono state utilizzate alcune parole forti, ma immagino che il team legale sappia cosa sta facendo e che terminologia usare per sortire il giusto effetto». Pur essendosi parzialmente defilato, Djokovic va considerato come uno degli artefici di questa class-action e, considerando anche le tempistiche, sembra che il serbo si stia preparando il terreno. La sua carriera da giocatore, ormai, sta volgendo al termine e immaginarselo, in futuro, in qualità di dirigente di alto rango, sembra sempre meno inverosimile.

Tribunale o diplomazia?

L’obiettivo primario, quello di farsi sentire dopo anni in cui la PTPA è stata ignorata dagli organi governativi, è stato pienamente centrato. «Abbiamo ripetutamente cercato di negoziare con loro – hanno scritto nel ricorso – per risolvere le suddette questioni. Tuttavia, siamo stati respinti, non abbiamo avuto altra scelta». Il terremoto di cui parlavamo in apertura, per loro, non è volto a sconquassare il tennis, bensì a salvarlo e migliorarlo per le generazioni future. Resta difficile prevedere se lo status quo verrà effettivamente rivoluzionato e se, a questo punto, prevarrà la giustizia in tribunale oppure il dialogo e la diplomazia.

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