Guerra civile

«Il Sudan è in ginocchio», spiragli di dialogo in Svizzera

Il caos e l’instabilità causati dal perdurare del conflitto interno costringono la popolazione a sopravvivere in assenza di autorità – Oltre 16.500 le vittime – Gli USA propongono a Berna di ospitare un tavolo di pace – Amnesty: «Numerosi i crimini di guerra e gli attacchi ai civili»
©Salih Basheer
Matteo Galasso
25.07.2024 06:00

La guerra civile in Sudan, iniziata il 15 aprile dello scorso anno, ha causato un’immane crisi umanitaria che ha messo in ginocchio il Paese, diviso tra le Forze armate sudanesi (SAF), fedeli al Governo a est, e i ribelli delle Forze di Supporto Rapido (RSF) stanziati a ovest. «L’attuale situazione umanitaria è devastante», spiega al CdT Abdullahi Hassan, ricercatore di Amnesty International in Sudan.

Dall’inizio del conflitto - e in attesa di poter concretizzare eventuali colloqui di pace, magari in Svizzera -, oltre 11 milioni di persone sono state sfollate. «Più di 2,1 milioni di sudanesi hanno cercato rifugio nei Paesi vicini, come Repubblica Centrafricana, Ciad ed Egitto». Anche i rifugiati vivono in condizioni critiche. E la crisi «è aggravata dall’imminente rischio di inondazioni, che potrebbero causare ulteriori morti per carenze alimentari». Va considerato pure il difficile accesso agli aiuti umanitari, limitato dalle restrizioni imposte sia dall’esercito governativo sia dalle RSF.

Il caos e l’instabilità costringono la popolazione a sopravvivere in assenza di autorità; assenza che comporta anche un aumento della microcriminalità e della malavita organizzata. Hassan sottolinea che «tutti i cittadini sudanesi pagano gli effetti catastrofici del conflitto, in particolare in Darfur - a ovest del Paese -, dove le RSF hanno attaccato deliberatamente comunità di minoranze etniche. Milioni di civili affrontano ogni giorno violazioni dei diritti umani, inclusi attacchi indiscriminati e violenze sessuali, principalmente da parte delle RSF e delle stesse milizie alleate».

Il collasso del sistema sanitario

La crisi sanitaria desta altrettanta preoccupazione, con la diffusione di malattie come morbillo e colera, che rappresentano una minaccia continua per la popolazione. Hassan evidenzia che «il rischio di nuove epidemie in Sudan è molto elevato». La maggior parte degli ospedali è fuori uso, quelli ancora operativi affrontano gravi difficoltà nell’accoglienza e la cura dei pazienti. Le forniture mediche sono infatti limitate e le organizzazioni umanitarie, come Medici Senza Frontiere, subiscono spesso intimidazioni, attacchi e sequestri. «Il sistema sanitario è al collasso – prosegue – e la comunità internazionale ha il dovere di aumentarne urgentemente il supporto, attraverso la fornitura di servizi e un concreto sostegno alle organizzazioni umanitarie che operano in questo ambiente estremamente pericoloso».

Le ONG operano con difficoltà

Hassan ribadisce come le ONG siano costrette ad affrontare immense difficoltà operative. «La violenza generalizzata e le rigide misure imposte dalle parti in conflitto limitano la capacità di movimento. Gli attacchi ai convogli umanitari sono frequenti; molti operatori sono rimasti feriti o uccisi nell’ultimo anno. Amnesty continua insistentemente a chiedere alle autorità sudanesi di garantire la protezione dei civili e un accesso libero e sicuro ai suoi operatori». Il conflitto ha ripercussioni in tutta la regione, ben oltre i confini del Paese, uno tra più estesi Stati africani. Nel Sudan del Sud «hanno già cercato rifugio molti sudanesi», anche se i campi d’accoglienza sono già sovraffollati, con risorse limitatissime a causa della grave crisi che ha colpito il Paese. Hassan denuncia, inoltre, che «il piano umanitario delle Nazioni Unite è sottofinanziato e necessita di un incremento urgente dei fondi per assistere le persone colpite».

L’imminente carestia

La minaccia di una carestia imminente è sempre più realistica; tutta la popolazione è a rischio, mentre «le organizzazioni umanitarie riferiscono di una difficoltà estrema nel consegnare aiuti fondamentali a causa degli attacchi subiti e delle restrizioni imposte dalle autorità». «La situazione umanitaria – continua il referente di Amnesty – risulta col passare dei giorni sempre più critica, con 18 milioni di persone che rischiano di essere travolte dalla carestia». Gli operatori affrontano troppi ostacoli, come la limitazione dei visti e la restrizione dell’accesso alle aree controllate da gruppi diversi, come avviene nel sud-est del Paese, sotto il controllo delle Forze di Supporto Rapido (RSF). «Questa situazione ha causato la perdita di molte vite, soprattutto per la mancata fornitura dei preziosi aiuti umanitari dal Ciad».

Le prospettive

Le accuse di crimini di guerra sono in effetti numerose e preoccupanti. Amnesty ha documentato anche più crimini contro l’umanità dall’inizio del conflitto. Abdullahi Hassan sottolinea che «gli attacchi indiscriminati contro i civili hanno causato oltre 16.500 morti e migliaia di feriti. In Darfur, le RSF e le milizie alleate hanno preso di mira comunità non arabe ma anche musulmane». Le violenze, così come i saccheggi, sono frequenti. Amnesty chiede alla comunità internazionale di garantire giustizia e di documentare le violazioni attraverso una missione “fact finding” dell’ONU. Inoltre, «per prevenire ulteriori sofferenze civili viene chiesto di rispettare l’embargo sulle armi a tutti i Paesi che, come Cina e Russia, lo hanno finora violato».

Il ruolo della Confederazione

Guardando al futuro, le prospettive per la risoluzione della crisi umanitaria e gli sviluppi del conflitto rimangono incerti. «La zona del conflitto continua a espandersi – conclude il ricercatore – nonostante gli sforzi regionali e internazionali per negoziare la pace, che per la mancanza di coordinamento non hanno portato a risultati concreti e duraturi». Le Forze armate sudanesi e le RSF sembrano determinate a vincere militarmente, prolungando il conflitto. Amnesty sollecita da giorni l’intervento di attori internazionali più autorevoli, come l’UE e il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, affinché siano immediatamente sospese le ostilità per salvaguardare la popolazione. Uno spiraglio in questo senso arriva dagli Stati Uniti, che hanno promosso un tavolo di pace in Svizzera. È stato il segretario di Stato Antony Blinken, martedì sera, ad annunciare di aver invitato ai colloqui l’esercito regolare e le forze paramilitari di supporto rapido. Il DFAE, dal canto suo, sollecitato sulla questione, ha confermato questa prospettiva, così come la data, il 14 agosto, sottolineando di accogliere «con favore tutti gli sforzi per risolvere la guerra attraverso i negoziati» e di sostenere tali iniziative «con i suoi buoni uffici, in particolare attraverso il suo programma di politica di pace in Sudan e il suo ambasciatore in missione speciale per il Corno d’Africa».

Le prime vittime sono i bambini

«La guerra civile in Sudan sta avendo conseguenze devastanti per la sicurezza dei bambini», ha dichiarato al CdT Eva Hinds, portavoce di UNICEF in Sudan. Già cinque milioni di minori sono stati costretti a fuggire dalle loro case e vivono in campi sovraffollati, spesso senza accesso a servizi essenziali. «Le malattie e la fame creano una tempesta perfetta per la perdita di vite umane: 14 milioni di bambini necessitano di assistenza urgente». La mancanza di assistenza rende difficile la vita quotidiana dei più piccoli. Circa nove milioni di bambini soffrono la fame. «Le loro famiglie fanno scelte strazianti per sopravvivere». La popolazione più giovane affronta gravi problemi causati dalla mancanza di servizi di base. La portavoce ha spiegato che «il conflitto ha interrotto quasi tutte le vie di approvvigionamento, i sistemi di mercato e la produzione agricola, limitando, inoltre, l’accesso agli aiuti umanitari per mesi». I pochi ospedali ancora funzionanti sono al collasso, inoltre «molte strutture sanitarie sono utilizzate come rifugi dalle famiglie sfollate. E il personale sanitario, che non è pagato da mesi, sta abbandonando il Paese». Il rischio di epidemie è in aumento, soprattutto tra i bambini malnutriti, i più vulnerabili.

Le ONG continuano ad operare in un contesto estremamente pericoloso, ma «per garantire loro la fornitura di servizi salvavita è cruciale ottenere un accesso sicuro e prolungato a tutte le regioni», sostiene ancora Hinds. Eppure, «le differenze operative tra le regioni restano marcate. Alcune aree sono più accessibili, altre praticamente impenetrabili». Le ONG, ma anche le organizzazioni mediche, continuano a chiedere un canale sicuro per le forniture e per il personale, visto che le pressioni dal governo e dai ribelli sono costanti. Con 3,7 milioni di bambini sotto i cinque anni che soffriranno di malnutrizione acuta entro fine 2024 - di cui 730.000 in condizioni gravi - la distribuzione di cibo è anche ostacolata dallo stato delle infrastrutture civili, danneggiate dal conflitto. «È essenziale raggiungere questi bambini per prevenire un aumento delle morti causate dalla malnutrizione», ribadisce la portavoce.

La chiusura delle scuole da oltre nove mesi coinvolge circa 17 milioni di bambini e alimenta una delle peggiori crisi educative al mondo. L’assenza di istruzione non solo danneggia la formazione attuale dei giovani, ma compromette anche il futuro del Paese. «Le scuole forniscono non solo educazione, ma anche un ambiente sicuro e supporto psicosociale, fondamentali per il benessere dei bambini», conclude Hinds. Le organizzazioni stanno al momento lavorando per garantire l’accesso all’istruzione attraverso spazi di apprendimento sicuro, nonostante le sfide dello sfollamento e delle strutture utilizzate come rifugi. Le capacità di accoglienza restano pertanto molto limitate.