Il reportage

Il suono lacerante delle sirene riaccende la paura di Kiev

La capitale dell'Ucraina due anni dopo l'invasione russa – Nel Paese distrutte 1.300 scuole, due terzi degli studenti non frequentano più le lezioni
La capitale dell’Ucraina vive ore di attesa. Le sirene ieri sera hanno spinto molti a rifugiarsi nei bunker per paura dei bombardamenti. ©Copyright 2020 The Associated Press. All rights reserved
Nello Scavo
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24.02.2024 06:00

A Kiev risuona lo squillo delle sirene. Insistono per scendere nei bunker perché pare che sia più seria del solito, visto che tra l’altro siamo nella notte che ricorda quella di due anni fa e quindi hanno tutti paura che Putin voglia ricordarla a modo suo.

Le vedove non aspettano più. Ma molte non sanno neanche di esserlo, mentre i bambini attendono il ritorno dei papà, forse prigionieri, forse nascosti da qualche parte. La guerra che volge al suo terzo anno ha armi nuove e drammi antichi.

L’entità delle perdite militari ucraine è un segreto di Stato, strettamente custodito. Funzionari delle intelligence occidentali stimano che le vittime siano decine di migliaia e che i feriti siano ancora di più. Anche la Russia, galvanizzata dalle recenti vittorie sul campo, ha subìto pesanti perdite. Oltre ai morti, ci sono anche i dispersi. Le autorità ucraine affermano che circa 8.000 persone - civili e militari - sono prigioniere dei russi. Almeno 3.000 persone, per lo più militari, sono state liberati in decine di scambi di prigionieri di guerra, ma migliaia di famiglie sono state lasciate a sperare che non accada il peggio ai propri cari catturati.

Fuori dai villaggi di campagna, i tumuli di terra appena scavati sono spesso contrassegnati da semplici croci di legno, foto dei morti, fiori dai colori vivaci e bandiere ucraine giallo-blu. Basta questo per sapere che non sono defunti per cause naturali. E a ogni ora del giorno si vedono donne in lacrime e orfani con i fiori in mano e la disperazione di chi non riesce a spiegarsi perché le cose dovevano andare così.

Aule deserte

L’UNICEF, il fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, ha dichiarato che soltanto un terzo dei bambini in età scolare in Ucraina frequenta le lezioni di persona. Più di 1.300 scuole sono state distrutte e 3,3 milioni di minorenni vivono in stato di necessità. Il conflitto ha ucciso oltre 10.000 civili e ferito quasi altri 20.000, dicono le Nazioni Unite. Ma sono stime al ribasso, perché molte aree sono ancora inaccessibili. Tra i militari sopravvissuti agli scontri almeno 20.000 sarebbero quelli che hanno subito almeno un’amputazione a causa di mine anticarro, bombe aeree, missili e proiettili di artiglieria.

Volodymyr Zelensky non ha alcuna intenzione di cedere. E nonostante le cattive notizie dal fronte rilancia: «Prepareremo una nuova controffensiva, nuove operazioni. Non rimarremo fermi» nel terzo anno di guerra. «Stiamo preparando alcune sorprese per la Russia. Il Sud è importante», così come «la difesa dell’Est», ha sottolineato il leader ucraino a Fox News, il canale Tv filo repubblicano USA, insistendo sulla necessità di avere quanto prima sistemi di difesa antiaerei e caccia militari dagli alleati: «La cosa più importante è sbloccare i cieli. Penso che questa sia la nostra priorità».

Varcando la soglia del secondo anniversario dell’invasione, il leader ucraino prova così a cancellare gli insuccessi della controffensiva dello scorso anno, imputando il risultato proprio ai ritardi negli aiuti militari. E si fa portavoce di un Paese disposto a difendersi finché sarà necessario. A dettare la marcia non è soltanto il campo di battaglia, ma il calendario elettorale internazionale. A metà marzo Mosca attende la trionfale rielezione di zar Vladimir Putin. E fino ad allora, la parola «negoziato» sarà bandita anche dalla bocca della diplomazia. Poi toccherà alle elezioni europee di giugno, su cui l’intelligence occidentale ha già espresso più di un timore per le possibili infiltrazioni della propaganda russa. A novembre il momento più atteso: le presidenziali USA. Putin e Trump non si nascondono reciproche simpatie. Quali che siano i risultati, vuol dire mettere in preventivo altri 9 mesi di campagna militare che fiaccherebbero l’Ucraina più della Russia.

L’Unione Europea procede a passo incerto. Riesce ancora ad approvare nuovi pacchetti di sanzioni, seppure con negoziati sempre più complicati, in particolare con l’Ungheria, ma crescono i dubbi sulla loro efficacia. Lo ha ammesso lo stesso Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera: «Putin ha mobilitato l’intera economia, la società e il sistema politico per lo sforzo bellico. I talenti, quando possono, lasciano il Paese e il declino demografico si aggrava. Dobbiamo però riconoscere che si sono adattati alla guerra e che la loro economia è più resistente del previsto».

La parata dei leader

Oggi nella capitale Ucraina è prevista una parata di leader. Nel gelo di Kiev, dovranno scaldare il morale di chi teme di essere lentamente abbandonato e isolato. Prometteranno aiuti militari e sostegno incondizionato. Ma dalla prima linea arrivano le lamentele dei combattenti, con le scorte di munizioni sotto il minimo e l’Armata Russa che si riorganizza e può contare su una costante e martellante copertura aerea.

Ma basta fermarsi nei caffè o raggiungere i luoghi in una volta vivaci anche durante i momenti più duri della guerra, per percepire che il futuro, comunque andrà a finire la guerra, dovrà fare i conti con un dramma collettivo. «Lo stato della salute mentale in Ucraina è disastrosa. Le esigenze della popolazione, in particolare l’accesso a consulenze e terapie dei gruppi più vulnerabili, devono essere affrontati con urgenza», spiega in una nota Kirsten Sutherland, coordinatrice dei programmi umanitari di ActionAid. Non sarà facile e non è neanche una priorità. Ogni 10 dollari di aiuti inviati, spiegano fonti ONU, 9 vanno per sostenere l’impegno militare, e le briciole per l’assistenza sociale. Contabilità che alle 21 in punto la gente di Kiev smette di commentare. Suonano di nuovo le sirene. Nella notte che ricorda l’inizio della guerra, torna la paura di un nuovo attacco.