L'intervista

Il vero «volto» del Fentanyl

Il fotografo ticinese Federico Hurth, prima di altri, aveva descritto e fotografato la piaga di questa droga fra le strade di Los Angeles
© Federico Hurth
Matteo Generali
15.06.2024 20:15

Il Fentanyl, un potente oppioide sintetico usato in medicina per alleviare il dolore, è divenuto in pochi anni una droga capace di causare, ogni anno, migliaia di vittime negli Stati Uniti. Ne avevamo parlato in un approfondimento di Martina Salvini. Ne parliamo, ancora, con il fotografo ticinese Federico Hurth, che nel 2022 a Los Angeles aveva immortalato in netto anticipo quella che sarebbe poi divenuta la droga degli zombie. «I HATE LA», il lavoro statunitense di cui l’artista luganese ci ha dato un'anteprima, è la sintesi di un primordiale avvento del Fentanyl sulle strade californiane. Visti due anni dopo, gli scatti appaiono come una limpida e preoccupante visione di quello che sarebbe stato.

Il progetto «I HATE LA» ha i presupposti della visione di un ragazzo europeo che vive e viaggia a Los Angeles come nel più classico sogno americano: sbocchi professionali, bella vita, soldi, musica, feste. E invece…
«E invece niente di tutto questo, è stata la figura del tossicodipendente, meglio conosciuta come «crackheads», del senzatetto o veterano di guerra ad avere la meglio. L’attrattività estetica che la strada ha da proporre mi ha da sempre incuriosito. Per questo, ho deciso di imbattermi nella zona più pericolosa e trasandata di Los Angeles: Skid Row. ''I HATE LA'' è una raccolta di foto veramente crude e toccanti raffiguranti la dipendenza e la distruzione fisica che abitano nei corpi di quelle persone. Molti di loro mi hanno detto che abusano di Fentanyl, tagliato con l’eroina, per chiari motivi economici: costo irrisorio e aumento netto della percezione di straniamento».

Eri a conoscenza dell’esistenza della sostanza?
«Prima della partenza per gli Stati Uniti avevo sentito parlare del Fentanyl, eppure non vi avevo prestato particolare attenzione. Ho capito la potenza di tale sostanza dopo una settimana di perlustrazione e scatti a Skid Row. Oltre alle foto e alle parole scambiate con i protagonisti, un fatto raccontatomi da un amico di Los Angeles mi aveva davvero aperto gli occhi: il tuttofare del palazzo dove risiede il mio amico viene chiamato a riparare un lavandino nell’appartamento di una coppia, rivelatasi in seguito tossicodipendente, poiché scomponeva pastiglie di Fentanyl in cucina. Proprio per questo motivo, quando il ragazzo della manutenzione ha aperto la porta della stanza, è stato invaso dal Fentanyl puro che lo ha intossicato fino a portarlo alla morte. Solo allora ho capito la portata e la pericolosità di quanto visto nelle giornate precedenti. Mi sono incuriosito e documentato e da quel momento ho iniziato a concepire l’idea di ''I HATE LA'', il primo progetto internazionale che sin dal titolo vuole concentrarsi sulla dicotomia presente in California: ci si aspetta sfarzo e lusso eppure la situazione è davvero allo sbaraglio, soprattutto dopo il Covid».

Gli esperti cantonali in merito alla piaga Fentanyl si sono detti vigili ma non credono alle nostre latitudini vi possa essere un abuso così massiccio come negli Stati Uniti, sei d’accordo?
«Probabilmente in Ticino e nelle altre zone ''tranquille'' svizzere non assisteremo a un'ondata a macchia d’olio come a Los Angeles o San Francisco, altra città estremamente toccata dalla sostanza. Tuttavia, sono convinto che in zone come Torino, specialmente nel triangolo del crack noto come ''Barriera di Milano'' o più in generale il nord Italia, piuttosto che Francoforte ma anche Basilea o Zurigo, il Fentanyl troverà presto casa. Questo perché un venditore senza scrupoli non si fa molte domande in merito alla condizione dei suoi clienti. Il Fentanyl costa poco e tagliarlo con le droghe classiche, per così dire, porta un forte incremento alle entrate. Francoforte è una città disastrata dalla droga, di giorno e di notte. I crackheads hanno poco da dire e poco da dare. Di conseguenza una dose tagliata male o tagliata bene non è nelle loro preoccupazioni».

Come detto «I HATE LA» è stato il tuo primo lavoro su scala mondiale: è stato d’ispirazione per i lavori successivi in Brasile, nelle banlieue di Parigi e in Corea del sud?
«Esattamente, il viaggio in California è servito per sbloccarmi: sono andato oltre l'estetica di queste persone, ho visto la loro vita, mi hanno raccontato la loro storia. E per questo si viene inevitabilmente toccati. Le forti emozioni provate fanno sì che ancora oggi mi senta molto legato a quegli scatti e alle persone con cui mi sono interfacciato. Per questo motivo sto aspettando l’occasione giusta per pubblicare gli scatti. Aver custodito con cura questo ''bimbo'' di Los Angeles mi ha spronato maggiormente, ha incrementato la mia dose di adrenalina e pazzia. È stato un viaggio denso di significato che mi ha spronato a perseverare su quella onda: raffigurare la strada, in modo oggettivo, senza giudicare i tossicodipendenti o i gangster che decidono le sorti di quelle vie. Dopo gli USA mi sono recato a Scampia, Napoli. Ne è nato ''Wounds and Scars'', il mio primo lavoro interamente autoprodotto e già pubblicato: una serie di fotografie che meglio inquadrano le Baby Gang campane. In seguito ho approfondito in maniera più artistica e meno cruda, rispetto a ''I HATE LA'', le strade di Seul: un progetto sugli homeless coreani che lavorano e vivono nella periferia. Uno scorcio di Moonvillage, un quartiere paradossale che si mescola nella ricca e moderna città coreana. Proprio questa raccolta fotografica, intitolata ''Untitled Seul'', sarà esposta dal 17 giugno al 31 luglio alla Serene Gallery di Lugano».

Da poco uscito troviamo anche «On parle pas», una raffigurazione delle banlieue parigine, un racconto estremamente dettagliato della vita di strada, dal punto di vista delle gang. L’estetica, i luoghi e l’atmosfera: è un rimando al film «L’odio»?
«Assolutamente, in chiave moderna. Parigi ha sempre il fascino, la nomea della città iconica, più di Londra, Milano o Berlino. Per questo motivo le banlieue, ben distanti da quell’immaginario, mi hanno sempre affascinato. Anche se a dirla tutta oggi il termine banlieue e quel tipo di vita è diventato parecchio chic... Nelle periferie francesi l'estetica è simile alla nostra, al nord Italia, ma la cosiddetta street criminality è più massiccia, più tangibile. In un certo senso è il Sudamerica in Europa: c'è ancora il kalashnikov, sono ancora come negli anni 90, proprio come nel celebre film con Vincent Cassel. Ho vissuto l’esperienza parigina come una naturale conseguenza di Scampia e inoltre volevo dare un anticipazione al viaggio in Brasile, a Rio, che uscirà a breve. Esagerato per situazioni vissute, personalità incontrate e fotografate».

Federico Hurth, fotografo.
Federico Hurth, fotografo.