Il caso

In Europa e negli USA si protesta nelle aule, Lugano osserva silenziosa

Nella Svizzera romanda gli studenti universitari manifestano in massa per la Palestina mentre nei campus americani e in alcuni atenei italiani si arriva addirittura all’occupazione delle sedi - All’USI, invece, il conflitto esploso nel Medio Oriente non ha sin qui suscitato particolari reazioni
©2023 Anadolu
Dario Campione
15.11.2023 06:00

In Italia, sono ormai oltre 4 mila i docenti e ricercatori universitari che hanno sottoscritto un appello per il cessate il fuoco a Gaza in cui chiedono «l’interruzione immediata delle collaborazioni con istituzioni universitarie e di ricerca israeliane fino a quando non sarà ripristinato il rispetto del diritto internazionale e umanitario». Una petizione che ha spaccato il mondo accademico e ha generato un “contro-appello”, a difesa del rapporto con i colleghi docenti dello Stato Ebraico e per «ristabilire la verità dei fatti».

Oltre alle firme dei professori, al grido «Palestina libera» negli atenei (e nei licei) della Penisola è cresciuta negli ultimi giorni una massiccia mobilitazione a sostegno del popolo di Gaza e della Cisgiordania. Gli studenti hanno occupato L’Orientale di Napoli e la Sapienza di Roma, provocando le dure reazioni dei Senati accademici che si sono schierati dalla parte di Israele.

Il fenomeno delle proteste e delle manifestazioni nei luoghi del sapere non è soltanto italiano. Si è sviluppato in prima battuta in molti campus statunitensi, e ha raggiunto in fretta l’Europa. E pure il nostro Paese. Sebbene non in modo uniforme. Un ampio servizio pubblicato qualche giorno fa sul quotidiano ginevrino Le Temps raccontava come le università e le scuole universitarie della Svizzera romanda fossero diventate «il luogo in cui si esprime un massiccio sostegno alla Palestina. Abbastanza per mettere sotto pressione gli studenti ebrei». Mentre al contrario, nella Svizzera tedesca, suscitando peraltro non pochi dubbi, i rettorati delle Università di Zurigo e di Basilea hanno vietato le manifestazioni a favore della Palestina, con il pretesto che potrebbero degenerare e creare disturbi all’ordine pubblico.

E in Ticino? Nulla, o quasi. Né all’USI né alla SUPSI sono sorti movimenti o gruppi di discussione sulla guerra in Medio Oriente. Se la domanda, inevitabile, è: perché?, le risposte possibili sono molte. E diverse tra loro.

L’opinione del prorettore

Lorenzo Cantoni dirige il Master in Digital Fashion Communication realizzato dall’Università ticinese in collaborazione con la Sorbona ed è anche prorettore per la formazione e la vita universitaria dell’USI. «Sicuramente Lugano è un ateneo giovane - dice Cantoni al CdT - ma non per questo ha una vita interna meno vivace di altri. Nella nostra Università sono attive numerose associazioni studentesche riconosciute, molte delle quali centrate su aspetti legati allo sviluppo professionale e alla competenza tecnologica. Si tratta di sodalizi democratici, aperti, partecipativi. Interessati pure a ciò che accade nella società o ai grandi eventi internazionali. Dopo lo scoppio della guerra, ad esempio, è sorta un’associazione a sostegno dell’Ucraina, animata soprattutto dagli studenti provenienti dal Paese invaso dalla Russia».

Riguardo al conflitto in Medio Oriente «c’è stata una chiara e molto equilibrata presa di posizione della rettrice, condivisa da tutto il corpo docente», dice ancora Cantoni. Il quale nega una presunta «insensibilità» degli studenti sulla questione specifica. «Quando abbiamo organizzato la settimana dell’internazionalizzazione il riscontro è stato molto positivo, molti docenti trattano nei loro programmi situazioni complesse come l’Afghanistan o il Sudan, e all’incontro sul tema della libertà di parola hanno partecipato moltissimi studenti».

I «fattori» di Boas Erez

«Una componente importante della crescita di sensibilità da parte dei ragazzi verso determinate questioni è la presenza o meno di facoltà e di percorsi di studio nel campo delle scienze politiche e delle scienze sociali - dice al Cdt l’ex rettore dell’USI, Boas Erez, oggi ordinario di Matematica nell’ateneo ticinese - Anche gli insegnamenti di filosofia sviluppano quel mix disciplinare che sfocia, poi, in una maggiore attenzione verso alcune grandi questioni. Non è un caso che le proteste di Ginevra e Losanna siano cresciute nelle università e non alla scuola politecnica». 

Altro elemento chiave, spiega ancora Erez, è il funzionamento delle istituzioni accademiche. «A Ginevra e Losanna gli studenti sono abituati a prendere la parola nei consessi formali, nei quali sono rappresentati peraltro con numeri significativi. A Lugano, ad esempio, dovremmo lavorare affinché gli studenti possano essere più presenti e avere più forza degli organismi di direzione dell’ateneo».

Ciò detto, secondo l’ex rettore dell’USI altri due fattori influiscono sull’apparente, maggiore disinteresse di chi studia nell’Università luganese rispetto alla possibilità di manifestare sui grandi temi internazionali. Il primo è la presenza di «moltissimi pendolari» provenienti in gran parte dall’Italia. Il secondo è «la permeabilità sociale e politica. Nella Svizzera romanda le manifestazioni di piazza sono sempre state autorizzate, e spesso gli studenti si sono mobilitati su questioni politiche. Basti ricordare quando hanno tentato di prendere a torte in faccia uno dei vicepresidenti dell’UDC».

Differenze sostanziali

A Lugano, è vero, non c’è un di partimento di scienze politiche. «E questo diminuisce probabilmente la sensibilità verso certe tematiche. Ma la mancata mobilitazione sui fatti di Gaza dipende forse dal fatto che non abbiamo, o abbiamo pochi studenti che provengono dalla regione in guerra e che sono per questo interessati a coinvolgere i propri colleghi sul tema». A dirlo è Federica Frediani, che all’USI insegna Dottrine politiche e Configurazioni geopolitiche e narrative della regione del Medio Oriente Mediteranneo.

«La giovane età dell’ateneo non influisce, io credo, sulla questione - dice Frediani al CdT - la presenza di studenti arabi e palestinesi avrebbe potuto invece polarizzare l’attenzione sulla guerra, anche se poi non so quanto questa stessa polarizzazione avrebbe potuto essere utile per fare emergere un pensiero elaborato».

Le differenze sostanziali con la Svizzera romanda, i tanti italiani pendolari, i numeri dell’ateneo, alla fine, hanno fatto sì che a Lugano le proteste siano rimaste mute.

«Nelle Università con decine di migliaia di studenti è più facile trovare chi è pronto a manifestare - conclude la professoressa Frediani - Ma va anche detto che da quando insegno qui non mi ricordo di aver mai visto una manifestazione degli studenti all’USI».

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