In fuga da casa, al sicuro al Pronto Soccorso anche quando la violenza non è fisica
Sono le 23.00 di un sabato sera qualunque. In casa scoppia una lite e i toni, velocemente, degenerano. Non è la prima volta. Volano urla, insulti. Lei non ne può più, prende al volo la giacca e la borsa ed esce dalla porta. Non ha neppure il telefono con sé. Dove andare? La risposta è al Pronto Soccorso. Ed è lo stesso Ente ospedaliero cantonale (EOC) a fornirla, tramite il Gruppo di lavoro contro la violenza domestica.
«Nell’immaginario comune, al Pronto Soccorso si va per un problema fisico. Il messaggio che stiamo cercando di fare arrivare a tutta la popolazione è che possiamo occuparci del problema, anche quando non ci sono lesioni fisiche evidenti. Quale che sia la sfumatura del problema: una violenza psicologica, una violenza di tipo economico, una situazione da cui scappare. Se c’è la percezione che serva aiuto, il Pronto Soccorso può essere una buona porta d’accesso a una rete di supporto».
A parlare è la dottoressa Giulia Bruzzone medico capoclinica di Pronto Soccorso all’Ospedale regionale di Lugano. «il nostro aiuto è possibile anche se non c’è volontà di denuncia alle autorità». È proprio questo il punto: rendere consapevole la vittima che esiste un’alternativa in un momento di confusione, qualora non si senta pronta a sporgere denuncia alla polizia. «Vogliamo far capire che noi siamo uno strumento per arrivare a un primo contatto con gli esperti e per proteggersi dall’autore della violenza», prosegue la dottoressa. «Il nostro obiettivo principale, oltre alla cura di eventuali lesioni fisiche, è consentire alla persona di ricevere importanti informazioni da noi e dalle operatrici delle case protette. Avere un primo contatto». Non è mai un obbligo, ma una possibilità.
La denuncia è una scelta personale
C’è chi ha bisogno di (più) tempo per maturare un’idea, prendere coscienza. Spesso raggiungere la piena consapevolezza del problema, riconoscere e accettare di essere vittima di violenza domestica richiede tempo. In particolare nei casi di violenza non fisica.
Il dottor Enrico Zucconi, caposervizio di Pronto Soccorso e medicina d’urgenza all’ospedale Civico, usa il termine «spettatore» parlando del suo ruolo di medico. «Siamo spettatori che cercano di portare informazioni e consapevolezza nella mente della vittima. Per usare un’analogia: siamo come il grillo parlante con Pinocchio. Siamo un po’ fastidiosi, perché facciamo diverse domande: le domande sono estremamente importanti, perché altrimenti solo 1 donna su 25 dichiarerà spontaneamente in Pronto Soccorso di avere subito violenza. “Si sente sicura a casa? Ha bisogno di aiuto?” aprono di solito a lunghi silenzi che dobbiamo essere capaci di sostenere. Ci scontriamo con la soggettività». Quel «fastidiosi» è legato pure alla valutazione clinica in ospedale in caso di violenza fisica: da valutare come un’opportunità, non come una costrizione. «Prospetticamente, a livello legale, conta il referto medico, che equivale a una difesa, quanto si potrà portare in un’aula di tribunale».
Chiunque si rivolga al Pronto Soccorso è protetto dal segreto professionale. L’eventuale coinvolgimento delle autorità rappresenta una scelta della vittima. Non è prevista, eccetto in caso di decesso, una denuncia d’ufficio. «Il rapporto di fiducia che instauriamo con la vittima ci consente di metterla in contatto con la rete di supporto offerta dal Cantone. Questo contatto avviene con i nostri telefoni, affinché non resti traccia della chiamata. La vittima lascia il Pronto Soccorso con una potenziale possibilità in più. Sa che non c’è nessuno che l’ha giudicata né mai lo farà. Ha più conoscenza dei mezzi a sua disposizione». Insomma, è uscita di casa alle 23.00 nel pieno della lite. Ha deciso di tornare. Ma ora ha una consapevolezza in più. E sa come potrebbe, eventualmente, muoversi in futuro.
La punta dell'iceberg
Nell’affrontare il problema della violenza domestica c’è un colpevole ritardo. Eppure si percepisce (finalmente) una crescente maturità, frutto un po’ del caso e un po’ della cronaca. «Violenza domestica è un ossimoro. Il termine violenza deriva dal latino violentus: la radice vis significa forza e ulentus si riferisce all’eccesso. Mentre domus rappresenta la protezione, la sicurezza di una casa – prosegue il dottor Zucconi –. Un termine che descrive bene il tema. In molti casi, ma non la totalità, esiste un fil rouge: la perfetta storia d’amore viene macchiata da una tensione crescente, che sfocia nel primo episodio di violenza, magari verbale. Segue la fase chiamata “della luna di miele” in cui l’autore si pente, la coppia si rinsalda nell’idea che “non accadrà mai più”. L’assente consapevolezza della recidiva di violenza espone la vittima al ripetersi del ciclo della violenza domestica». I casi eclatanti di cronaca, quelli che indignano e risvegliano (temporaneamente) le coscienze, sono solo la punta dell’iceberg. «Fa riflettere la reazione immediata del vicinato di fronte all’errato utilizzo dei sacchi della spazzatura comunali, rispetto alla distanza riguardo ai comportamenti violenti, giustificandoli o catalogandoli come “fatti personali”».
L'appello alle scuole
Il dottor Zucconi è docente clinico della Facoltà di scienze biomediche dell’USI. «Quando durante la lezione sulla violenza domestica pongo la domanda agli studenti su chi, direttamente o indirettamente, sia entrato in contatto con la violenza domestica, la risposta è positiva per il 50-75% dei presenti in aula. Culturalmente è qualcosa di cui non si parla». L’appello della dottoressa Giulia Bruzzone verte proprio su questo: serve più attenzione all’argomento da parte degli enti di comunicazione e bisogna introdurre nel programma scolastico la tematica. «Attualmente è prerogativa della sensibilità dei docenti. Invece, dovrebbe essere inserito nel programma obbligatorio. Spesso è difficile riconoscere una situazione di violenza non solo per chi si trova “fuori”: è la vittima stessa a non definirsi tale. Una maggiore formazione a scuola sarebbe la colonna portante di una sensibilizzazione efficace».
Lo spettacolo
Il Pronto Soccorso rappresenta un luogo sempre aperto, dove un team di professionisti può offrire supporto clinico e psicologico, e dove possa essere garantita la messa in protezione immediata con o senza coinvolgimento della autorità. Per far arrivare a tutta la popolazione questo messaggio, giovedì 30 novembre alle 18.00 è previsto uno spettacolo gratuito al Palazzo dei congressi di Lugano: «Non tacere, riconosci e ferma la violenza domestica». Seguirà una tavola rotonda a cui parteciperanno medici, il Servizio per l’aiuto alle vittime del Cantone e un’avvocata del Gruppo di accompagnamento permanente in materia di violenza domestica.