«In quel segmento di oceano posati anni fa i primi idrofoni del Sound Surveillance System»
La Marina americana aveva rilevato l’implosione del sommergibile Titan in tempo reale. E lo aveva fatto grazie al sistema di sorveglianza sottomarina con cui da decenni gli Stati Uniti ascoltano minuto per minuto quanto si muove sui fondali di tutto il mondo. La rivelazione del Wall Street Journal, che ha citato fonti istituzionali a sostegno di questa informazione, non ha in realtà colto di sorpresa. Non gli esperti di cose militari, che ben conoscono - e da moltissimo tempo - il cosiddetto Sound Surveillance System (SOSUS), le cortine di idrofoni disposte secondo sbarramenti prefissati e ancorate sul fondo del mare lungo i bordi della piattaforma continentale dell’Atlantico e del Pacifico.
Il grande fratello non è soltanto quello occhiuto che ormai ha disseminato di telecamere ogni angolo possibile di città e paesi, e lanciato in orbita centinaia di satelliti. C’è anche quello che registra ogni suono. In Terra e in mare.
L’esperto del Politecnico
«Chiunque si occupa di guerra sottomarina sa bene di che cosa si parla - dice al Corriere del Ticino Mauro Gilli, ricercatore associato al Politecnico ed esperto di tecnologia militare internazionale -. Da decenni i mari sono monitorati attraverso la propagazione acustica, che nell’acqua è formidabile. Ci sono aree del pianeta giudicate molto più importanti di altre a livello strategico-militare, e proprio in quel segmento di oceano, teatro della tragedia del Titan, furono posati, anni fa, i primi idrofoni del Sound Surveillance System».
È facile immaginare che la guerra fredda prima, la competizione con la Cina adesso, abbiano spinto gli USA a intensificare i controlli sottomarini. «Gli idrofoni - spiega ancora Gilli - non sono soltanto fissi, agganciati cioè al fondo del mare, ma anche mobili. Trasportati da imbarcazioni e rilevati da navi, aerei, elicotteri». È quindi del tutto «certo», dice il ricercatore del Politecnico di Zurigo, che le autorità statunitensi abbiano sentito l’esplosione subito. «Il motivo per cui non hanno voluto comunicare immediatamente la notizia possiamo soltanto congetturarlo. A ciascun rumore è associato un determinato range di possibili eventi: è possibile che gli esperti americani non fossero certi al 100% che si trattasse dell’implosione del sommergibile di OceanGate».
L’analisi dei dati
Sta di fatto che, domenica pomeriggio, i servizi di intelligence della U.S. Navy hanno informato la Guardia costiera di quanto avvertito dai sensori. «L’analisi dei dati acustici - ha scritto il Washington Post - aveva rilevato un’anomalia coerente con un’implosione o un’esplosione nell’area in cui stava operando il Titan quando ha smesso di comunicare. Sebbene non definitiva, l’informazione è stata immediatamente condivisa con la Guardia costiera», ma l’operazione di ricerca e salvataggio non si è comunque fermata. Questo perché, ha poi detto Il contrammiraglio John Mauger, «si stavano verificando ulteriori dati acustici provenienti da altre fonti».
È stato giusto andare avanti? «Il rilevamento acustico era un’informazione significativa, ma la ricerca doveva continuare per esaurire tutte le possibilità - ha detto, sempre al Washington Post, Mark Cancian, consulente senior del Center for Strategic and International Studies - Sospettavano ciò che era successo, ma non potevano esserne sicuri. In definitiva, avevano davanti soltanto linee su un grafico. E convincere le persone che non stai più cercando cinque naufraghi perché le linee su un grafico indicano un’implosione, non è semplice».
Le possibili cause
Le possibili cause dell’implosione del batiscafo restano in ogni caso incerte, anche per l’ovvia difficoltà di analizzare i rottami del Titan, pure individuati dai robot di ricognizione - cinque frammenti principali, tra cui il cono di coda del sommergibile e due sezioni dello scafo pressurizzato, ha ripetuto giovedì alla stampa, a Plymouth, il contrammiraglio John Mauger.
Gli esperti, tuttavia, concordano su due ipotesi, le più probabili, riassunte all’Associated Press da un ex comandante di sottomarini della Royal Navy, Ryan Ramsey: «O il portello, con i suoi 17 bulloni che lo sigillavano alla carena, ha avuto un cedimento, determinando il collasso dello scafo sotto l’enorme pressione sottomarina; o lo scafo stesso aveva un difetto, e si è improvvisamente fratturato, sempre a causa della pressione. L’unico aspetto positivo di questa tragedia, se così possiamo dire - ha aggiunto Ramsey - è che l’incidente è stato istantaneo e i passeggeri non hanno avuto il tempo di capire che cosa stesse succedendo».
Secondo quanto ricostruito nelle ultime ore dai media americani, in passato - vale a dire tra il 2021 e il 2022, almeno 46 persone avevano viaggiato con successo sul sommergibile di OceanGate fino al sito del relitto del Titanic. Questo, almeno, è quanto si ricava dalla documentazione che OceanGate, la società di Stockton Rush, ha depositato nella cancelleria del Tribunale distrettuale di Norfolk, in Virginia, competente per le questioni relative al naufragio del Titanic.