«In Siria cadevano le bombe russe, ma il trattamento dei migranti è stato diverso»
«In Siria erano le stesse bombe russe a colpire i civili. Ma la reazione è stata diversa. Dovremmo usare questa opportunita per favorire il cambiamento». Non le manda di certo a dire Carola Rackete, ospite di ChiassoLetteraria. Lei che nel 2019, a soli 31 anni, è diventata suo malgrado «famosa» per avere forzato il blocco navale ed essere entrata con la Sea Watch 3 nel porto di Lampedusa «per salvare la vita a 42 migranti». Ma, ci tiene a precisarlo, «in quell’occasione è stata data un’immagine» di lei «bidimensionale», mentre i suoi obiettivi sono molto più ampi: «Combattere le ingiustizie, organizzarsi contro lo squilibrio generale che c’è nel mondo e raggiungere la sicurezza». La reazione dell'UE e della Svizzera alla guerra in Ucraina, secondo l'attivista e ambientalista, «ha mostrato che esistono delle possibilità di accoglienza ai migranti». Questa situazione «ha aperto nuove possibilità, come lo Statuto S, che però nessuno ha pensato di concedere ai siriani o agli afghani».
Frontiere più sicure, non con Frontex
Rackete evoca il cambiamento, perché «la sicurezza di tutto il pianeta è a rischio e la migrazione può essere vista come un’opportunità per raggiungere la sicurezza in tutto il pianeta». Già, perché in un futuro non molto lontano è plausibile un grande spostamento di persone, anche a causa della crisi climatica. «Molte persone vorrebbero stare a casa loro, ma devono andarsene, sono costrette. Se non puoi coltivare la terra perché è arida, non hai nessuna scelta, devi lasciare la tua casa. Nessuno lo fa a cuor leggero». Ecco perché è necessario «rendere più sicuro attraversare le frontiere». Utopicamente, «bisognerebbe abolire le frontiere. E si risparmierebbe anche sulle spese militari, che sono astronomiche. Dobbiamo permettere alle persone di muoversi, anche perché sono i Paesi occidentali i maggiori responsabili dei problemi ambientali».
Come non fare riferimento a Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera su cui gli svizzeri si esprimeranno domenica? «Io non ho dubbi, non voglio farne parte - spiega senza mezzi termini l’attivista -. Non hanno un approccio umano. È una polizia dei confini razzista. E chi è convinto che sia possibile cambiarla dall’interno, non si rende conto che i metodi di controllo non funzionano. Vogliamo davvero sparare a vista a chiunque si avvicina al confine? L’unico modo per riformare Frontex sarebbe abolirla e rendere le frontiere piu permeabili». Nella pratica, un ammorbidimento ai confini, con flussi liberi. Utopicamente, «bisognerebbe abolire le frontiere».
Per i diritti delle popolazioni indigene
Laureata in tutela ambientale, Carola Rackete oggi si occupa di questo, come pure di lotta contro il razzismo. E si batte per i diritti delle popolazioni indigene sul loro territorio. Come i Maasai in Tanzania e i Sami in Svezia e Finlandia. «La loro sopravvivenza è a rischio, perché la crisi climatica nell’Artico è alle stelle. Diventa impossibile vivere lì». Ecco perché «serve un cambiamento nella società: scorporare il ragionamento che tutto si basi sulla crescita economica e coinvolgere le persone in progetti pratici, che salvaguardino il pianeta». L’attivista lancia la necessità di un «un movimento di resistenza e lotta alle ingiustizie» di cui tutti dovrebbero sentirsi «responsabili in quanto abitanti della terra». «I rischi, se non facciamo niente, li conosciamo. L’allarme sono gli scienziati a lanciarlo. Dobbiamo restare impegnati». E non risparmia critiche alle organizzazioni che pubblicamente si dichiarano a favore dell’ambiente, ma poi «calpestano» i diritti delle popolazioni indigene e dimenticano l’importanza dei territori che occupano.
Nonostante non si senta una «capitana di nave», Carola Rackete è rimasta molto toccata dall’esperienza avuta in Italia, con un’eco internazionale. «Molte persone, tre anni fa, si sono riversate nelle strade in mio favore. Il che dimostra che sono alla ricerca di leader e di modelli diversi. Per la ragazza bianca arrestata, che svolgeva un lavoro da uomini, c’è stata mobilitazione, ma non viene fatto nulla per molte persone che vengono criminalizzate e messe in prigione in Grecia o a Malta. Nessuno si muove, perché sono persone nere. Dovremmo cambiare le cose e difendere chiunque subisca quello che ho subito io, anche se non hanno la pelle bianca».
Sui social per cambiare le cose?
Quando è stato annunciato l'acquisto di Twitter da parte di Elon Musk, Carola Rackete ha espresso la volontà di cancellare il suo profilo. «Non penso che i social network siano indispensabili per un cambiamento della società. Abbiamo bisogno della conversazione one to one. Soprattutto post pandemia, necessitiamo di incontri di persona, di vederci, parlarci personalmente. Se vogliamo davvero coinvolgere le persone nel cambiamento, dobbiamo uscire nel mondo, parlare, includerle. E fare qualcosa di importante». Non a caso, il suo libro si intitola Il mondo che vogliamo.
«Agire è una responsabilità»
«Dal libro di Carola Rackete emerge il ritratto di una donna impegnata, libera, che possa essere da modello per tanti» dichiara il coordinatore di ChiassoLetteraria, Marco Galli. E lei, di solito restia a parlare a incontri e conferenze, vi partecipa perché ritiene «importante motivare le persone e la società civile a fare qualcosa, a reagire contro le ingiustizie. Lotta contro il razzismo, lotta per i dirtti delle donne, di genere. È una nostra responsabilità».
L'appuntamento
Carola Rackete incontrerà il pubblico di Chiasso Letteraria domani, sabato 14 maggio, alle ore 13 presso il Cinema Teatro.