L'intervista

«In Svizzera tutti dipendono da tutti, e nessuno può sfilarsi»

Oscar Mazzoleni è professore di scienze politiche all'Università di Losanna - Con lui parliamo di formule magiche, regole implicite e prospettive
© KEYSTONE / PETER KLAUNZER
Paolo Galli
13.12.2023 21:31

La formula magica, «un’espressione un po’ abusata», secondo Oscar Mazzoleni, professore di scienze politiche all’Università di Losanna, che sul tema delle elezioni del Consiglio federale ha pubblicato anni or sono un libro con alcuni suoi colleghi. Nel contempo, il sistema è tale da rendere l’elezione dei consiglieri federali spesso molto prevedibile.

Professor Mazzoleni, come leggere il voto? Che cosa ritenere?
«Due cose, in particolare. In primis, lo scarto tra le molteplici speculazioni e il fatto che, ancora una volta, l’elezione del Consiglio federale ha confermato i pronostici. Da un lato, abbiamo ritrovato la perfetta convergenza di interessi fra i partiti di governo, dall’altro la prevedibilità del risultato stesso, che in fondo era quello che ci si aspettava nelle settimane precedenti: il parlamento ha optato per una delle due candidature ufficiali socialiste. L’altro aspetto che mi ha colpito riguarda il cancelliere, questa sì una novità: ovvero la scelta di un esponente - chiamato di fatto a far parte del governo in qualità di moderatore, organizzatore e segretario - che non appartiene ai partiti di governo».

Restando sul primo punto, oggigiorno la rielezione dei consiglieri federali, salvo casi eccezionali, appare quasi scontata. Come quelle partite di calcio che finiscono 0-0 e in cui a vincere è la paura di subire un gol. È così?
«Questo risultato è il frutto dei vincoli esistenti, ossia della difficoltà di ciascun attore protagonista di decidere per sé; del fatto che tutti dipendono da tutti e che nessuno si può sfilare da questa regola implicita ma molto ferrea. Tutti dipendono da tutti perché l’elezione avviene in un sistema maggioritario. Se un partito decide di attaccare un altro partito, rischia di subire successive, se non immediate, rappresaglie. È un sistema elettorale che spinge a far sì che la concordanza non valga solo nel risultato, ossia nella distribuzione del numero di seggi ai singoli partiti, ma anche nel processo elettorale in quanto tale. Sappiamo che il Consiglio federale non è fondato su una vera coalizione di programmi vincolanti. Ma è comunque una coalizione basata sul fatto che ciascuno deve rispettare alcune regole implicite, anzitutto elettorali; deve sostenere gli altri affinché possa poi godere del proprio spazio in governo. Su questa premessa si fonda la formula cosiddetta magica; un’espressione certo un po’ abusata perché la distribuzione dei seggi non è rimasta immutata negli ultimi decenni. Ma è un fatto: se ci si sfila dalle regole della formula se ne pagano le conseguenze. Perciò rimane in piedi e continua a funzionare».

I Verdi, manifestando la loro insoddisfazione, dimostrano di voler contare di più, anche rispetto agli alleati

Insomma, la formula magica regge di fronte anche alle richieste di maggior dinamismo.
«Ma perché questa formula dovrebbe essere più dinamica? Nella sua storia il Consiglio federale è stato l’emblema della stabilità istituzionale e politica. Ciò non impedisce ad alcuni di criticare il fatto che il Consiglio federale è troppo sbilanciato, a sinistra o a destra».

La Gioventù socialista, per esempio, ha invitato il partito a uscire dal Consiglio federale «finché la sinistra non avrà conquistato un terzo seggio».
«Sì, va ricordato però che le regole formali sono immutate, salvo poche eccezioni, da 175 anni. Gli equilibri politici sono cambiati, quelli sì, ma è tutto accaduto in modo molto lento. Anche perché un sistema democratico di governo come quello svizzero favorisce, come nessun altro, la stabilità e la continuità. Non c’è quindi da stupirsi se poi l’elezione dei singoli consiglieri federali, al netto di alcuni momenti storici particolari, sia così prevedibile. Un effettivo maggiore dinamismo sarebbe invece il risultato di netto declino elettorale dei partiti di governo, oppure di un cambiamento del sistema elettorale che nessuna maggioranza oggi vuole».

Tra ecologisti e socialisti sono solo schermaglie passeggere? O questa giornata lascerà qualche traccia?
«La stabilità deriva anche dal fatto che la Svizzera è in pratica la sola democrazia al mondo con una Costituzione che indica un numero di fisso di seggi in governo. È quindi chiaro che la proposta dei Verdi cozza, in un modo o nell’altro, con gli interessi degli altri, e quindi anche dei socialisti. Ricordiamo peraltro quanto c’è voluto all’UDC per avere il secondo seggio e soprattutto ai socialisti per entrare in governo. Manifestando la loro insoddisfazione i Verdi dimostrano che non vogliono rassegnarsi e vogliono, in prospettiva, contare di più, anche nei confronti degli alleati socialisti. Rimane insomma un nodo scoperto, e vedremo come evolverà nei prossimi mesi».

Da Alain Berset a Beat Jans, con quali prospettive e con quali possibili novità?
«La scelta delle Camere è caduta su una persona con esperienza in un Esecutivo cantonale, ossia un candidato che ha dato prova di rispetto delle regole della collegialità e di cui ci si aspetta una rapida integrazione nel Consiglio federale. Sul piano politico, molto dipenderà anche dal dipartimento che erediterà, ma anche da come peserà il suo orientamento in dossier importanti, trasversali, in particolare nei confronti di un eventuale accordo quadro con l’Unione europea, su cui ha espresso posizioni più possibiliste di Berset».

Citava l’elezione del nuovo cancelliere, Viktor Rossi. Forse l’unica sicura novità di giornata.
«Mi sembra evidente che, in questo caso, hanno contato di più l’esperienza e la conoscenza dei dossier in qualità di vicecancelliere, la sua credibilità in questo ambito, piuttosto che il colore politico».