Medio Oriente

Israele e Hamas, ora è vera tregua

L’intesa è stata raggiunta e domenica saranno liberati i primi tre ostaggi – Non è la fine della guerra ma il piano in tre fasi permetterà ai palestinesi di iniziare a tornare nelle loro case a nord di Gaza e di ricevere un’ondata di aiuti umanitari – Si teme che una delle due parti violi il patto – Biden: «Ho fatto squadra con Trump»
© EPA/ABIR SULTAN
15.01.2025 22:23

Dopo 467 giorni di guerra e un notevole bilancio di vittime da entrambe le parti, l’accordo per una tregua e la liberazione degli ostaggi è stato raggiunto. Comincerà domenica, quando saranno liberati i primi tre ostaggi, come ha annunciato in serata il premier del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, da Doha dove si sono tenuti i colloqui.

Hamas ha comunicato di aver «risposto in modo responsabile e positivo alla proposta». L’ultimo atto formale sarà domani mattina, quando si riunirà il Gabinetto di sicurezza israeliano per l’approvazione finale, visto che ci sono ancora dettagli da discutere.

Non è la fine della guerra, ma è l’inizio di qualcosa che potrebbe essere positivo per entrambe le popolazioni coinvolte. La preoccupazione da parte israeliana è che, come accaduto nel novembre 2023, Hamas violi i patti e faccia, di fatto, riprendere la guerra. Da qui l’opposizione all’accordo di alcuni gruppi politici e familiari di ostaggi.

Il ruolo degli USA

Fino all’ultimo si è temuto che l’intesa potesse saltare. Da giorni il mantra «siamo vicini» è rimbalzato da Doha, dove da settimane erano riuniti mediatori, a Washington, a Gerusalemme, al Cairo. Oggi c'è stato uno scambio di accuse tra Israele e Hamas in quanto il secondo non aveva ancora risposto formalmente alla proposta vergata dai mediatori e incolpava il Paese ebraico della cosa, dal momento che avrebbe posto altre condizioni. In particolare, non avrebbe presentato le mappe con i dettagli del ritiro delle truppe da Gaza. Inoltre, all’ultimo momento Hamas ha chiesto il ritiro immediato dell’esercito dal corridoio Philadelphi, il confine tra Gaza e l’Egitto, l’unico non controllato non in tempi di guerra da Israele, dal quale, secondo i militari, nella Striscia entrano armi, contrabbando e altro. Anche questo scoglio è stato superato dai mediatori.

È stato Donald Trump il primo a dare l’annuncio. Sul suo account di Truth, il presidente eletto ha scritto: «Abbiamo un accordo per gli ostaggi in Medio Oriente. Verranno rilasciati presto». Successivamente il prossimo inquilino della casa Bianca in un altro post si è intestato il successo che definisce «epico» e che, dice, non sarebbe avvenuto se non fosse stato eletto. Anche Biden si è poi espresso: «L’accordo a Gaza è stato uno dei più difficili della mia carriera. Con Trump abbiamo fatto gioco di squadra».

Scambio di prigionieri

Ci sono ancora diverse questioni «minori» che saranno finalizzate dopo che l’accordo inizierà a essere implementato. Tra queste, la verifica israeliana dei circa 1.000 prigionieri di palestinesi che dovrebbero essere rilasciati nella prima fase in cambio degli ostaggi. Si tratta in gran parte di cittadini di Gaza detenuti da Israele dall’inizio della guerra, ma che non hanno partecipato al massacro del 7 ottobre. Anche il numero di prigionieri palestinesi che scontano l’ergastolo per omicidio o terrorismo, si parla di 250 e che saranno rilasciati come parte dell’accordo, non è stato finalizzato. Questi dovrebbero essere rilasciati all’estero.

Dettagli che non impediscono l’inizio delle tre fasi dell’accordo raggiunto, che ricalca quello israeliano presentato dal presidente USA Biden a maggio e sostenuto dalle Nazioni Unite, ma respinto da Hamas, e poi ripresentato a luglio con Hamas che non volle neanche sedersi al tavolo.

Secondo le bozze circolate, la prima fase di sei settimane vedrà la liberazione di 33 ostaggi tra cui donne, bambini (come i due fratelli Bibas, il più piccolo dei quali, Kfir, compirà due anni proprio questo sabato, dopo aver trascorso la maggior parte della sua vita come ostaggio a Gaza – e forse potrebbe uscire per primo, se vivo, con mamma e fratello ), anziani e civili feriti.

Tre ostaggi verrebbero rilasciati il primo giorno, quattro una settimana dopo, se Israele comincia a ritirarsi dalle zone popolate di Gaza. Dopo sedici giorni, si dovrebbe discutere sugli altri ostaggi da rilasciare nella seconda fase. Gli ostaggi in vita, saranno i primi a uscire dalla Striscia. Tra questi, anche due civili che sono entrati a Gaza nel 2014 e nel 2015 e da allora sono ostaggio di Hamas. Per la liberazione invece delle soldatesse rapite, la ratio sarà di 50 prigionieri palestinesi a uno, contro i trenta per gli altri.

Durante la prima fase, le forze israeliane si ritirerebbero dai centri abitati, ai palestinesi sarebbe consentito di iniziare a tornare nelle loro case nel nord di Gaza e ci sarebbe un’ondata di aiuti umanitari, con circa 600 camion in arrivo ogni giorno.

Nella seconda fase tutti i rimanenti ostaggi, vivi e morti, sarebbero rilasciati e nella terza si discuterebbe di ricostruzione e nuova governance per Gaza. Israele manterrebbe fino alla fine delle tre fasi una presenza sul corridoio Philadelphi, e quello Netzarim, che taglia in due la striscia. Israele inoltre aumenterebbe la zona cuscinetto al confine con Gaza e una forza internazionale sovrintenderebbe alla ricostruzione e nuova governance. Dei 251 rapiti il sette ottobre, a Gaza ora ci sono 94 ostaggi. Di questi certamente 34 sono morti, non si conosce la condizione degli altri. Nelle mani di Hamas oltre ai due civili entrati nel 2014 e nel 2015, ci sono i corpi di due soldati uccisi nel 2014.

In serata ci sono state manifestazioni di forte giubilo a Gaza, anche con spari, sfilate di miliziani di Hamas armati e inni al leader delle brigate al Qassam e mente del massacro del sette ottobre, Mohammed Deif, che secondo Israele sarebbe stato ucciso a luglio, morte mai confermata da Hamas. In Israele invece alcuni manifestanti si sono riuniti a Tel Aviv.

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