«Jacques Chirac lascia un’eredità importante»

L’ex presidente francese, Jacques Chirac, è morto all’età di 86 anni. Per due volte capo dello Stato, si era ritirato da tempo dalla vita pubblica. Aveva sofferto di un ictus nel 2005 e da allora era stato ricoverato più volte. Sul suo operato abbiamo sentito il parere di Pierre Bréchon, professore emerito di Scienze politiche all’università Sciences Po di Grenoble.
Cosa rappresenta per la Francia la morte di Chirac?
«Jacques Chirac lascia un’eredità importante. In Francia il capo dell’Eliseo dirige la politica nazionale, per questo ha un potere molto personalizzato. Chirac ha ricoperto due mandati presidenziali, dal 1995 al 2007, e complessivamente ha avuto una carriera politica molto lunga a livello nazionale, europeo e internazionale».
Chirac è stato un presidente molto amato dai francesi?
«Dipende dal periodo, perché generalmente la popolarità degli uomini politici è legata alla congiuntura. Non è mai stato molto popolare prima di essere eletto presidente e nel corso del suo primo mandato presidenziale ha avuto alcune difficoltà, come quando ha dissolto l’Assemblea nazionale. Dopo essersi ritirato a vita privata la sua figura ha acquisito maggiore popolarità. È un fenomeno normale quando si abbandona la scena pubblica. Le persone dimenticano le contestazioni e tendono a ricordare soprattutto i momenti migliori. Chirac è stato un politico legato alla destra gollista, ma spesso ha avuto atteggiamenti che sembravano più vicini alla sinistra. Ha assunto varie posizioni a seconda dei periodi. Nel 1979, in occasione delle elezioni europee, si oppose alla politica neoliberale dell’allora presidente Valéry Giscard d’Estaing e del suo primo ministro Raymond Barre evocando il “travaillisme” alla francese. Si può dire che in alcuni momenti ha avuto degli orientamenti di sinistra, ma in generale la sua impostazione era gollista. Chirac era un repubblicano nazionalista affermato».
Vede alcune similitudini tra Chirac ed Emmanuel Macron?
«È ancora presto per poter fare un paragone tra i due personaggi. La principale differenza risiede nel loro percorso. Chirac è entrato in contatto con la politica a 20 anni, durante il periodo universitario, e ha poi abbracciato il gollismo nel 1958. Macron, invece, ha un profilo più intellettuale, è stato banchiere ed è entrato nel mondo della politica nel 2012, nell’entourage dell’allora presidente François Hollande. In seguito è stato nominato ministro dell’Economia e poi si è presentato alle presidenziali nel 2017 vincendole. Chirac era soprannominato il “bulldozer” per il suo stile. Era un vero animale politico. Ha combattuto nei movimenti gollisti, spesso con conflitti molto duri, è stato tradito ma è stato anche traditore».
Quali sono stati i momenti di maggior successo della presidenza chiracchiana?
«Il secondo mandato è stato segnato da una serie di misure prese in campo sociale, come quelle a favore dei disabili, e sanitario, con il “Plan cancer” volto ad aiutare i malati di cancro. A queste si aggiungono poi le posizioni prese nell’ambito della guerra in Iraq, opponendosi nel 2003 all’intervento militare di Washington. Chirac amava molto gli Stati Uniti ma al tempo stesso manteneva un atteggiamento gollista nei loro confronti. Direi che questi tre campi sono quelli in cui l’ex presidente si è distinto».
E quelli più difficili?
«Direi durante il primo mandato, quando ha sciolto l’Assemblea nazionale nel 1997 nella speranza di avere una nuova maggioranza a lui favorevole. È stato un fiasco, una mossa che lo ha portato quasi a perdere il potere per cinque anni, in quanto durante la coabitazione alla francese è il primo ministro che ha più potere, in quel caso il socialista Lionel Jospin».