La coach degli apprendisti: «Le aziende spesso non capiscono i giovani»
Partiamo da uno studio che arriva dagli Stati Uniti, da sempre precursori di tendenze, nel bene e nel male. I ricercatori di Intelligent.com, un servizio web di rete sociale americano alternativo a Linkedin, hanno effettuato un’indagine tra le aziende statunitensi. Il quadro che emerge dall’analisi è molto preoccupante per chi è nato attorno al 2000: la famosa generazione Z ne esce con le ossa rotte dal profilo professionale.
Il 75% dei dirigenti intervistati ha dichiarato che alcune o tutte le assunzioni dei giovani nati in questo secolo sono state insoddisfacenti, mentre il 60% ha ammesso di aver assunto e licenziato lo stesso dipendente under 25 nel giro di un anno. Tra i problemi rilevati tra i figli della genZ, scarse capacità comunicative, mancanza di motivazione e scarsissima professionalità. Fattori negativi che gli esperti americani legano alla pandemia, che ha segnato nel profondo la vita dei giovani, confrontati per due anni con le rigide regole sanitarie dei vari lockdown.
Due mondi da unire
«È vero, il problema c’è anche in Ticino; ciò non significa però che siamo di fronte ad una generazione persa, anzi» avverte Sara Rossini, fondatrice e direttrice di Fill-up a Bellinzona. Lei è una che conosce da vicino la generazione Z , essendosi occupata da sempre di apprendisti. Scandagliando il mondo del lavoro confrontato con le nuove generazioni è ben coscente delle difficoltà che si riscontrano. Tuttavia Sara Rossini è convinta che alla base di tutto, ci sarebbe un grosso problema di comunicazione.
«Sono due universi professionali che spesso parlano lingue diverse: da una parte ci sono i giovani con la loro visione del mondo, dall’altra i datori di lavoro presi dalle loro attività quotidiane. Spesso in mezzo non c’è nessuno che li mette in relazione. Ecco perché tre anni fa ho deciso di dar vita alla mia azienda».
L’obbiettivo che si è fissata Sara Rossini è proprio questo: trovare un linguaggio comune per riavvicinare le due parti. Un lavoro che si inventa giorno dopo giorno, visto che in Svizzera non esiste un’altra azienda come la sua. Fill-Up è un unicum nel Paese.
Da tre anni fornisce un supporto diretto sia alle aziende formatrici sia agli apprendisti che bussano alla sua porta. La sua attività non è solo teorica, ma pure molto pratica. Alcuni dei suoi compiti? Chiamare a casa l’apprendista ritardatario, rendere attento l’imprenditore quando utilizza un linguaggio poco empatico nelle sue comunicazioni ai dipendenti, discutere con i genitori che fanno pressioni sui figli. È una professionista che cerca di risolvere i problemi, insomma.
La figura della coach
«Per tanti anni ho lavorato nell’ambito della formazione, sia per la Divisione della formazione professionale, sia presso Login professionale. Poi ho deciso di scombinare la mia vita. Ho lasciato il classico «posto fisso» e mi sono lanciata in questa avventura, perché percepivo l’esigenza di una figura di supporto che fino a quel momento non esisteva».
Attenzione, però: Sara Rossini non è un’orientatrice professionale. «Il giovane arriva da noi quando ha già deciso cosa fare. Noi lo accompagniamo nella ricerca di un’azienda formatrice, cercando di mettere in rilievo tutti i suoi punti di forza: prepariamo la sua lettera di motivazione, il curriculum vitae. Noi fungiamo da garante per il ragazzo che magari non ha un profilo forte, seguendolo sul posto di lavoro con attenzione, mentre per quanto riguarda le aziende dove operiamo, offriamo ai genitori un’ulteriore sicurezza per una formazione di qualità per i loro figli».
L’angoscia dei genitori
All’inizio Sara Rossini pensava di occuparsi soprattutto di apprendisti e di aziende, grandi o piccole che fossero, ma poi si è resa conto che pure tra genitori e figli c’erano grosse lacune nel campo della comunicazione. «Le mamme e i papà ci contattano spesso, perché sono preoccupati nel vedere il loro figlio ciondolare per casa insoddisfatto della scelta del suo apprendistato. Non sanno cosa fare e si fanno mille domande. Lo obbligo a tornare al lavoro? Gli faccio scegliere una professione qualsiasi basta che non stia con le mani in mano? Cosa devo fare se si chiude a riccio? D’altro canto i giovani sopportano a fatica le pressioni dei genitori. Quando ci chiamano dicendo «parlaci tu perché a me non ascolta», cerco da una parte di tamponare l’ansia di mamma e papà, dall’altra di capire e motivare il ragazzo. Percepisco giorno dopo giorno quanto sia importante per le famiglie avere una figura di riferimento esterna con la quale confrontarsi».
Tutto e subito
Secondo la direttrice di Fill-up, la generazione Z non è composta da fannulloni «piuttosto, da giovani incapaci di sopportare psicologicamente le pressioni; noto però che quando li stimoli, quando ad esempio fai loro un complimento evidenziando quanto di buono hanno fatto, il loro atteggiamento cambia. Il menefreghismo lascia il posto all’entusiasmo e il giovane si sente subito parte di una squadra. Le ditte formatrici dovrebbero essere consapevoli di questo e agire di conseguenza. Non serve a nulla rimarcare soltanto gli errori».
Nei vari colloqui che affronta quitidianamente, Sara Rossini nota pure una certa fretta nei ragazzi: «Alcuni vogliono raggiungere i loro obbiettivi senza far fatica. A loro spiego che gli scalini si fanno sempre uno dopo l’altro, perché se li si affrontano a sette a sette si rischia di farsimale. Ci vuole tempo per imparare bene le cose e questo lo devono avere ben in chiaro nelle loro teste. Per chi è nato nello scorso Millennio è l’abbiccì, ma non per questi ragazzi che sono il nostro futuro».
Mancanza di responsabilità
C’è poi un altro grosso problema: le numerose assenze per malattia. Molte aziende segnalano questa problematica anche in Ticino e pure Sara Rossini l’ha riscontrata sul terreno. Sembrerebbe che la generazione Z stia volentieri a casa al primo starnuto. «Forse - spiega la direttrice di Fill-up - perché hanno vissuto parte dell’adolescenza nel periodo pandemico, quando dovevano lasciare l’aula scolastica al primo sintomo di influenza». Un conto però è una malattia seria, un conto un piccolo dolore alla spalla. «Io li chiamo a casa e illustro loro la percezione che potrebbe avere il proprietario dell’azienda confrontato con tutte le loro assenze, cerco insomma di farli ragionare puntando principalmente sullo sviluppo in loro di una giusta consapevolezza, che è una competenza chiave per la crescita professionale». Sara Rossini è sicura: con il dovuto supporto, anche i figli della Generazione Z diventeranno professionisti leali e motivati. Sempre se, lungo il loro cammino, incontrino datori di lavoro disposti a valorizzarli.