La corrispondenza

La fede a Gaza: «Oggi qui siamo oltre l’inferno»

Padre Gabriel è il punto di riferimento dei cattolici nella Striscia: «La gente è temprata, ma al male e al dolore non ci si abitua» – Racconta i bombardamenti continui: «E noi non possiamo fare altro che pregare» – Suor Nabila: «Ci sentiamo impotenti, ma non lasciamo la missione»
© AP/Fatima Shbair
Nello Del Gatto
10.10.2023 06:00

«Da quattro anni sono parroco a Gaza. Di momenti brutti ne ho già vissuti, ma stavolta è davvero dura». Esordisce così Padre Gabriel Romanelli, argentino, parroco dell’unica chiesa cattolica di Gaza, raccontandoci al telefono questi momenti terribili. «La nostra comunità è di 127 persone. Prima eravamo 135, poi alcuni sono andati via, altri sono deceduti. I cristiani a Gaza, secondo le ultime stime, in totale sono 1.077 su una popolazione di oltre due milioni nella Striscia». Padre Gabriel, che appartiene alla congregazione dell’istituto del Verbo Incarnato, da quattro anni è parroco della chiesa della Sacra Famiglia, l’unico punto di riferimento cultuale dei cattolici nella Striscia. Con lui operano alcune religiose. «Me compreso, siamo tredici religiosi: il tasso più alto di religiosi per fedeli al mondo», dice.

«Gaza è da anni un luogo più vicino all’inferno che al paradiso. La cittadinanza convive con le emergenze. Carenza di cibo, di strutture, di acqua, di elettricità. E poi l’oppressione del governo locale, l’impossibilità di uscire e infine i bombardamenti. Gente temprata, ma al male e al dolore non ci si abitua. Da quando sono cominciati i bombardamenti sabato scorso, la situazione è anche peggiorata». Un quadro drammatico, specie se a descriverlo è una popolazione già abituata a questo genere di fatti. Padre Gabriel spiega: «Sono ventotto anni che io vivo in Medio Oriente, e devo dire che una cosa così devastante non l’avevo mai vista, sia per la tempistica che per le modalità. Sono, siamo, veramente annichiliti da questa cosa che non sappiamo come andrà a finire. Anche le famiglie della nostra comunità sono terrorizzate. Eppure è gente che è abituata alla guerra, di crisi ne ha viste anche in passato, ma ci sono segnali che indicano che stavolta è diverso, che andrà peggio».

La notte è la parte più dura. Ci sono bombardamenti pesantissimi, anche in centro città. La gente non esce, sta chiusa all’interno, sperando di salvarsi
Padre Gabriel

Tentativi di normalità

Padre Gabriel spiega quali sono i momenti peggiori per i suoi fedeli durante queste crisi. «La notte è la parte più dura. Ci sono bombardamenti pesantissimi, anche in centro città. La gente non esce, sta chiusa all’interno, sperando di salvarsi. E noi non possiamo fare altro che pregare, e assistere anche moralmente chi ne ha bisogno, insieme anche alla Caritas e alle suore di madre Teresa. E speriamo che non duri troppo a lungo e che la Terra Santa possa trovare pace». La piccola chiesa è un punto di riferimento per tutti, indipendentemente dalla fede. Il parroco argentino cerca di far vivere una normale quotidianità ai ragazzi, organizzando anche gite al mare, tornei di calcio e altre attività. «La vita è dura, molto dura. Cerchiamo di mostrare una luce, una speranza. La nostra vita è questo: donare speranza, soprattutto a chi l’ha persa, a chi non ci crede più perché la vita è quasi impossibile». Spesso la sua chiesa diventa anche rifugio per quelle famiglie che scappano dalle abitazioni durante i bombardamenti e non trovano poi accoglienza nelle strutture dell’agenzia delle Nazioni Unite peri rifugiati palestinesi. «Sono molto colpito da quello che sta accadendo». «La settimana scorsa ero a Roma per l’elevazione a cardinale del nostro patriarca, Pierbattista Pizzaballa, che ci è sempre stato vicino. Non potevo immaginare che potesse succedere questo, così all’improvviso, con tanta violenza e veemenza». Padre Gabriel è rimasto bloccato a Betlemme, dal momento che sono stati chiusi tutti i confini con la Striscia. «Il problema non è per me, è che fuori da Gaza sono rimasti anche cibo, elettricità e tutto il resto che serve per vivere. Noi abbiamo i pannelli solari, ma vengono sempre danneggiati dai bombardamenti. Dividiamo con i nostri parrocchiani il poco che abbiamo».

Le lacrime più delle parole

È molto preoccupata e spaventata anche Suor Nabila, delle suore del Rosario, anche lei da molto tempo a Gaza. «Stiamo vivendo ore terribili», ci racconta. «Siamo chiusi all’interno, in mezzo ai bombardamenti continui. Sono anni che vivo qui e mai mi sono sentita in questo modo. Non riesco neanche a parlare per lo stress che sto vivendo. Ci sentiamo impotenti». Suor Nabila è una veterana di Gaza, ma all’orrore e al dolore non ci si abitua. «Tante volte siamo stati sotto le bombe, tante volte in pericolo. Ma oggi è diverso. Vorremmo aiutare di più ma non abbiamo nulla da offrire per il momento, se non un po’ di conforto. Cerchiamo di essere vicini alle persone almeno con il telefono, i messaggi, per non farli sentire soli. Spesso non riusciamo neanche a caricarli, i telefonini, non riusciamo a fare la spesa, non funzionano le reti. Siamo tagliati fuori e senza sostegno. Ma temiamo che stavolta non finirà in pochi giorni e che sarà una lunga e straziante guerra. Io, in ogni caso, resterò qua. Non posso lasciare il Paese che servo e la mia missione. Uscire è molto pericoloso, ma nonostante questo io ogni tanto esco almeno per comprare un po’ di cibo per le persone qui. Davvero, non riesco nemmeno a parlare», ci dice in lacrime. «Sono troppo provata fisicamente e moralmente».

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