La Francia e le diaspore

Il termine diaspora evoca la realtà storica di separazione di popolazioni viventi in Paesi di diversa cultura. Ora in Francia oltre 5 milioni di abitanti di origine nord africana e religione islamica vivono in 1.500 «Quartiers prioritaires de la ville» con tassi di disoccupazione non lontani dal 20%. Si è rivelato un errore commesso da una politica burocraticamente pianificatrice ma dovuta anche al desiderio (un po’ ipocrita) di mostrarsi aperti verso gli emigranti. L’arrivo di stranieri in una comunità può essere origine di contrasti, accompagnati dalla diffidenza spesso figlia dell’ignoranza. L’incontro si sviluppa nel tempo armoniosamente quando l’immigrato vuole assimilarsi. Il caso, nell’immediato dopoguerra, con l’arrivo in Svizzera di lavoratori e lavoratrici italiani, spagnoli e portoghesi. Facilitati dal fatto che appartenevamo tutti alla stessa cultura, alla stessa matrice cristiana, condividevamo abitudini e parlavamo lingue glottologicamente simili. Senza queste premesse non è possibile chiedere l’assimilazione, vale a dire la rinuncia alla propria cultura e in tal caso un’armonica convivenza passa tramite l’integrazione, l’accettazione delle regole del vivere comune e il reciproco rispetto. Molto più difficile per le possibili zone d’ombra e di conflitto, le pretese di spazio per i singoli costumi, talvolta in urto tra loro. La situazione odierna in Francia è la conseguenza di una politica utopica e tecnocratica. Doveroso ricordare che pur dopo diversi anni, le ferite con il mondo di origine algerina non si sono emarginate. Rimane il ricordo di una guerra feroce, dove si è ricorsi alla tortura, durata ben otto anni, dal 1954 al 1962, e la Francia modo peggiore per lasciare l’Algeria non poteva trovare. Per accogliere sempre maggiori masse di nordafricani, già a partire dallo scorso secolo, la politica non ha trovato di meglio che utilizzare le famose «villes dortoir» dove accogliere gli immigrati. Mancando la capacità e la volontà politica di diluire nel tempo gli accessi per meglio organizzare l’accoglienza, si sono costruiti questi casermoni al margine delle città, lontani da industrie e relative occasioni di lavoro, distanti dai centri di vita, spesso mal connessi per mancanza di mezzi pubblici con i centri urbani. Con il tempo questi abitati si sono deteriorati, la disoccupazione ha facilitato il reclutamento per la criminalità, zone di commercio e spaccio di droga, dominate da una minoranza fuori legge che terrorizza il resto degli abitanti. Quartieri nei quali troppo presto l’autorità ha rinunciato ad essere presente, per proteggere i più deboli, e la polizia talvolta vi entra in tenuta da sommossa. Per costruzione, ricostruzione, impianti di servizi sociali, biblioteche, luoghi di svago non vi è governo francese, indipendentemente dall’orientamento, che non abbia sviluppato nuovi piani e investito molti miliardi. Somme distratte in parte agli investimenti nelle province francesi dimenticate e desertificate come dimostrato dagli studi di Christophe Guilluy. Un abbandono non estraneo alle proteste dei gilet jaunes. Ha colpito il fatto che coloro che hanno messo a ferro e fuoco non solo Nanterre e la periferia di Parigi ma anche di altre città francesi erano minorenni, scolarizzati in Francia, in prevalenza adolescenti discendenti da genitori magrebini ma, in virtù del passaporto ricevuto, loro stessi di nazionalità francese. Altra illusione sfumata, non basta un passaporto per fare un cittadino o una cittadina. Questi adolescenti sono degli apolidi, non più algerini o nordafricani, Paesi che talvolta non conoscono, con i quali spesso non hanno legami essendo nati in Francia, ma neppure francesi, un Paese al quale non sentono di e non hanno interesse ad appartenere, verso il quale hanno sentimenti di rancore, odio, dal quale si ritengono rifiutati. Per loro la Francia è l’Autorità, che li ostacola nelle attività ai margini della legge, che impone regole che li infastidiscono, condizionano e discriminano. In una notte hanno danneggiato e appiccato il fuoco a 750 edifici pubblici, comprese librerie e altri centri sociali creati per loro, ed i pompieri hanno dovuto spegnere 3.000 incendi. Centinaia gli autobus destinati ai trasporti pubblici bruciati, oltre a macchine private necessarie per la trasferta al lavoro. L’attacco con un’auto ariete alla casa di un sindaco ha pure una valenza simbolica. Più sospetti i saccheggi di negozi o grandi magazzini, per i quali si ipotizza una regia di bande criminali organizzate per rivendere quanto rubato. Oltre tremila arresti ed una cinquantina di gendarmi feriti completano un quadro preoccupante e che non ha risolto nulla. Opportuna una riflessione politica sugli orientamenti di questi giovani. I partiti gollista e social democratico devastati dalla disonestà dei dirigenti degli uni e dalla mediocrità degli altri hanno perso influenza. Al momento la partita si gioca tra Le Pen, con passato razzista, e Mélanchon con intenti rivoluzionari. Verso chi convoglieranno i loro voti gli abitanti di queste periferie, a che prezzo e condizioni? Il «malaise» della Francia e dei francesi è profondo e le politiche di immigrazione finora seguite fallite. Soldi e passaporti non bastano.