La fucina del cuore delle stelle che potrebbe servire alla Terra

La fusione nucleare è il Sacro Graal dell’energia. Produrre una quantità di elettricità pressoché illimitata, a bassissime emissioni di CO₂ e a prezzi competitivi per il consumatore è il sogno di qualsiasi scienziato che opera in questo campo. Fa gola a tutti, al mondo intero, perché dentro quel reattore potrebbe esserci il futuro sostenibile dell’intera umanità. Sarebbe però troppo facile associare questa tecnologia alla transizione energetica in atto, soprattutto dopo le notizie arrivate nelle scorse settimane da Stati Uniti, Cina e Gran Bretagna che parlavano di straordinari progressi scientifici. Perché – ed è meglio chiarirlo subito – la fusione nucleare, al momento, è un settore di ricerca: sarà la fonte energetica di fine secolo (forse).
Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione entro il 2050 bisognerà utilizzare altre fonti: il Sole, il vento e la fissione nucleare. Tecnologie già disponibili e da sfruttare nel modo più efficace.
Genesi, analogie e differenze
Eppure, in un mondo occidentale che proprio questo inverno sta imparando a conoscere quanto possa essere angosciosamente fragile il rapporto fra politica, risorse energetiche e cambiamento climatico, pensare al futuro e alla fusione nucleare rappresenta – oltre a una promessa – una speranza. Ma a che punto siamo nello sviluppo di questa tecnologia, sulla quale lavoriamo da oltre cinquant’anni? E quali sono le prospettive? Lo abbiamo chiesto a Matteo Passoni, ingegnere nucleare e ordinario di Fisica dei plasmi al Politecnico di Milano. Con lui partiamo proprio dall’inizio: che cos’è la fusione? «Stiamo parlando di un’attività di ricerca avviata decenni fa e che si prefigge la realizzazione di un impianto in grado di produrre elettricità partendo dalla liberazione di energia derivante da processi di fusione nucleare», spiega. È bene sapere che tra fissione e fusione ci sono affinità, ma anche differenze fondamentali. Cominciamo dalle analogie: «Entrambi i processi sono esempi di reazioni nucleari, nelle quali un’interazione fra due nuclei porta alla loro trasformazione», commenta Passoni. «La conseguenza è la liberazione di una quantità di energia milioni di volte superiore a quella che si può ottenere con una reazione chimica (come ad esempio la combustione, ndr). Le differenze, invece, hanno a che fare con il tipo di processo. È possibile ottenere una reazione nucleare che liberi energia spezzando in due frammenti un nucleo pesante composto da un gran numero di protoni e neutroni, come l’uranio. Questa è la fissione nucleare. Nella fusione, invece, entrano in gioco due nuclei leggeri (composti da pochi protoni e neutroni) che possono formare – fondendosi – un nucleo più pesante. Ciò comporta una liberazione di energia per unità di massa anche maggiore rispetto alla fissione».
Il Sole sulla Terra
La fusione nucleare viene spesso dipinta con un concetto che potrebbe suonare come sensazionalistico: il Sole sulla Terra. «Di base è corretto», conferma Passoni. «Però bisogna intendersi. Se consideriamo il processo fisico, è giusto fare questa analogia, perché tutte le stelle traggono la loro energia dai processi di fusione nucleare. Se, per contro, confrontassimo il sistema-stella con l’impianto che si vuole realizzare sulla Terra per produrre energia, allora le differenze sarebbero importanti. Ed è proprio qui che risiedono le difficoltà incontrate dagli scienziati e dagli ingegneri che lavorano su questi progetti».
Sforzi immensi
Già, le difficoltà. Se l’umanità – nonostante i recenti progressi – è ancora lontana dall’ottenere energia elettrica dalla fusione nucleare, è perché il processo è estremamente complesso dal punto di vista scientifico e richiede sforzi tecnologici immensi. «Per comprendere gli ostacoli, è utile partire nuovamente dal processo fisico e confrontarlo con quello di fissione», sottolinea l’esperto. «Nella fissione nucleare, la rottura del nucleo in due parti avviene grazie a una reazione fra un nucleo pesante e un neutrone. Una delle caratteristiche fisiche del neutrone, come dice la parola stessa, è di essere elettricamente neutro. Non viene quindi respinto dal nucleo con il quale deve interagire. Altro aspetto importante: nell’atto della scissione del nucleo, vengono liberati ulteriori neutroni che permettono il meccanismo della reazione a catena. Sfruttando opportunamente questo processo, come sappiamo fare fin dagli anni Cinquanta, diventa possibile produrre grandi quantità di energia elettrica. Nella fusione nucleare, invece, entrano in gioco due nuclei, entrambi carichi positivamente. Di conseguenza, essi avvertono una repulsione che ne ostacola l’avvicinamento. Eppure, per ottenere la fusione, bisogna per forza avvicinarli a milionesimi di miliardesimi di metro. Bisogna in sostanza vincere questa repulsione elettrica, e lo si può fare solamente fornendo ai nuclei energia cinetica». È proprio questa barriera elettrica a rendere complicatissimo il processo di fusione.
Il movimento e il calore
Per vincere la repulsione, come detto, serve energia cinetica. Movimento. E come si accelerano i nuclei? Fornendo calore alla materia, portandola allo stato di plasma e raggiungendo temperature sufficientemente elevate. «Sono le condizioni che troviamo all’interno delle stelle», prosegue Passoni. «Ma non solo: oltre alla giusta temperatura, in questi corpi celesti c’è anche densità sufficiente a scatenare la fusione. Il sistema produce energia, e una parte viene riutilizzata per mantenere acceso il ‘‘motore’’». In pratica, il sistema si autoalimenta per tempi lunghissimi, anche miliardi di anni, come nel caso del nostro Sole. Ed è esattamente questo il segreto che si cerca di carpire alle stelle per replicarlo sulla Terra. «All’inizio servirà fornire potenza dall’esterno per accendere il reattore: una volta innescato il processo di fusione in modo efficiente, una parte dell’energia liberata verrà utilizzata per mantenere il plasma nelle condizioni necessarie e alimentare il reattore stesso».
Le due strade
Per dare vita al processo sulla Terra, la strada più promettente consiste nell’ottenere un plasma contenente due isotopi dell’idrogeno (deuterio e trizio, elementi che hanno alte probabilità di fondersi grazie alle loro particolari proprietà nucleari), portarlo a temperature elevatissime (150 milioni di gradi) e riuscire a confinarlo per un tempo sufficientemente lungo. «Sono due le strade principali che si stanno studiando», spiega l’esperto. «Una è quella di riuscire a confinare il plasma a bassa densità con l’uso di potenti campi magnetici, in modo stazionario. È la fusione a confinamento magnetico. L’altra è quella di portare il plasma a densità così elevate da permettere un tempo di confinamento brevissimo, nell’ordine dei nanosecondi. Il segreto, in questo caso, è ripetere il processo con una frequenza opportuna. È la fusione inerziale». Questo tipo di processo, spiega il professore, lo si ottiene grazie a centinaia di impulsi laser (onde elettromagnetiche) che colpiscono una piccola sfera di combustibile, facendola implodere tramite il calore trasmesso. Il risultato di entrambe le strade percorse dalla ricerca è lo stesso: la fusione di due nuclei di deuterio e trizio genera un nucleo di elio e un neutrone, liberando energia. «L’obiettivo finale è catturare l’energia dei neutroni, ad esempio con il litio, sia per produrre il trizio (elemento radioattivo non disponibile in natura), sia per produrre calore e trasformarlo in elettricità».
Il santo vale la candela
La ricerca scientifica sta lavorando su entrambi i fronti. Ma il traguardo è ancora lontano. I molti reattori sperimentali in Cina, Giappone, Europa e Stati Uniti non sono impianti a fusione completi. «Riassumendo: finora non è mai stato condotto un esperimento nel quale è stata prodotta energia da fusione nucleare in misura maggiore rispetto all’energia necessaria a far funzionare il sistema», sottolinea Passoni. «Non è una sorpresa. Si stanno compiendo delle tappe, un passo alla volta, esplorando le molte questioni scientifiche ed ingegneristiche necessarie per riuscire a costruire un vero impianto. Ecco perché la fusione nucleare giocherà un ruolo nullo o marginale nella decarbonizzazione da raggiungere nel 2050».
Ma non per questo bisogna rinunciare alla ricerca. Anzi. «La fusione è interessante per molte ragioni», conclude Passoni. «Il combustibile, deuterio e litio, è disponibile in grandi quantità. Ce ne sarebbe tanto e per tutti, con positive conseguenze geopolitiche. E poi si tratta di energia nucleare, milioni di volte più efficiente rispetto alle alternative. Si hanno inoltre importantissime ricadute tecnologiche, già disponibili oggi». E le scorie? «Il tipo di rifiuti prodotto dalla fusione sarebbe più ‘‘facile’’ da gestire rispetto a quello derivante dalla fissione. Gli scarti della fusione avrebbero un tempo di decadimento radioattivo nell’ordine dei secoli, mentre quelli della fissione arrivano anche a centinaia di migliaia di anni».
A gennaio la Cina ha battuto il record di temperatura - Ecco le scoperte più recenti
A metà gennaio, la Cina ha annunciato importanti progressi conseguiti con la sua macchina sperimentale per la fusione nucleare. L’Experimental Advanced Superconducting Tokamak ha prodotto un plasma a 70 milioni di gradi centigradi (cinque volte la temperatura del sole), mantenendo il processo stabile per più di 17 minuti. Il primato apparteneva al tokamak francese Tore Supra, che nel 2003 aveva mantenuto il plasma alle stesse temperature per 390 secondi.
L’annuncio del JET
Il 9 febbraio, i ricercatori del Joint European Torus (JET) vicino a Oxford hanno annunciato i risultati di un esperimento condotto a fine 2021. Il reattore, frutto di una decennale collaborazione europea, è riuscito a produrre 59 megajoules di energia da fusione in un processo durato cinque secondi (un record), il massimo consentito dai vincoli tecnologici della macchina.
In Svizzera si lavora all’EPFL
Anche in Svizzera si conducono esperimenti di fusione nucleare. Al Politecnico di Losanna c’è lo Swiss Plasma Center, che fa parte del consorzio europeo EUROfusion. Il centro si occupa di ricerca e della formazione dei futuri ingegneri nucleari.