Congiuntura

La Germania zavorra l’Europa e l’industria emigra negli USA

La prima manifattura d’Europa è alle prese con una contrazione economica che viene ormai definita strutturale - Gli effetti si fanno sentire in Svizzera e anche in Ticino, il cui export verso il Paese teutonico è calato del 10% nel corso del 2023
Il settore «automotive» tedesco delocalizza sempre più verso l’Europa dell’Est. © DPA/Marijan Murat
Dimitri Loringett
25.03.2024 22:30

C’è sempre meno «vapore» nella «locomotiva d’Europa»: oltre a parlare apertamente di recessione per la prima economia del Vecchio Continente, alcuni analisti alzano il tiro e parlano addirittura di «deindustrializzazione», verosimilmente a causa della crescente delocalizzazione di attività produttive. Stando a Deloitte, due aziende tedesche su tre hanno delocalizzato almeno parte delle loro attività, citando i prezzi elevati dell’energia e l’inflazione come motivi per il trasferimento. I settori più colpiti sono quelli dell’ingegneria meccanica, dei beni industriali e dell’automotive.

La situazione è tale che il Bundesrat (il Parlamento tedesco) ha approvato la settimana scorsa un «pacchetto per la crescita» (Wachstumspaket), una manovra di sgravi fiscali del valore di 3,2 miliardi di euro che mira ad alleviare anche il carico burocratico - un fattore spesso citato dalle aziende fra i principali motivi per delocalizzare.

Destinazione USA

Ad approfittare del «trasloco industriale» tedesco, perlomeno sul piano geografico, sono sempre di più gli USA, che ora superano la Cina. Stando a un’analisi del «Financial Times» (FT), nel 2023 le aziende tedesche hanno annunciato investimenti record pari a 15,7 miliardi di dollari negli Stati Uniti, il doppio dell’anno precedente e superiori di 5,9 miliardi a quelli annunciati in Cina.

Ad attirare gli investimenti tedeschi vi è in particolare l «Inflation Reduction Act» (IRA), il programma di sviluppo economico dell’Amministrazione Biden che mette sul tavolo circa 400 miliardi di dollari di incentivi fiscali per attività innovative e legate alla transizione energetica.

Le aziende tedesche, scrive il FT, hanno annunciato 185 progetti d’investimento negli USA nel 2023, di cui 73 nel settore manifatturiero. Il progetto più grande è stato un investimento di due miliardi di dollari da parte della filiale di veicoli elettrici Scout Motors di Volkswagen nella Carolina del Sud.

Tre caratteristiche strutturali

Il processo in atto in Germania, la cui economia rappresenta oltre un quarto del PIL dell’Eurozona, non è passeggero. Come si legge infatti nell’ultimo Osservatorio Ceresio Investors, le difficoltà discendono «da alcune caratteristiche strutturali e istituzionali del funzionamento del sistema tedesco».

La prima è legata all’export, il cui peso è raddoppiato a quasi il 50% del PIL: «Con la crescente regionalizzazione del commercio mondiale (iniziata già dopo il 2008) e il nuovo volto della globalizzazione, si tende a fabbricare nei principali mercati di sbocco», anziché esportare.

È il caso in particolare dell’industria automobilistica, che guarda sempre più all’area dell’Europa centro-orientale, ad esempio Polonia, Repubblica Ceca e Romania, per il trasferimento delle linee di produzione di costruttori quali VW, BMW e Mercedes. In altre parole, è più conveniente produrre laddove si vende.

Ed è proprio l’automotive la seconda caratteristica strutturale che affligge l’economia tedesca. Il settore è particolarmente rilevante per la Germania, dove dà lavoro a 2,1 milioni di persone e registra un fatturato pari a 438 miliardi di euro. «Questo settore ha ricevuto un colpo durissimo dal dieselgate scoppiato nel 2015 e sta realizzando una sofferta transizione all’elettrico», scrivono gli analisti di Ceresio Investors. «La produzione di autovetture in Germania è scesa molto ed è improbabile che torni ai livelli dei tempi d’oro, per la forte concorrenza cinese e per la strategia di delocalizzazione delle grandi case automobilistiche. Inoltre, un’auto elettrica ha un valore aggiunto molto inferiore a quella endotermica e ciò porta alla contrazione degli addetti», aggiungono.

La terza caratteristica è l’avversione al deficit e al debito pubblici: «L’estremismo ideologico del “Nullkommanichts” (zero virgola zero, ndr) sta costando molto caro all’economia tedesca nell’attuale frangente di transizione gemella verde e digitale», sostengono gli esperti di Ceresio Investors. «Infatti - spiegano - il governo federale aveva dirottato sugli incentivi green 60 miliardi (1,5% di PIL) di fondi non impiegati durante la pandemia e la Corte costituzionale ha bocciato tale dirottamento, costringendo Berlino a tagliare quegli incentivi e a fare altri risparmi, con il risultato di congelare le vendite di auto elettriche e di far annullare ordini già acquisiti dalle imprese, con crisi a catena nel Mittelstand (la spina dorsale manifatturiera costituita dalle medie imprese)».

L’impatto locale è realtà

Se la Germania si ammala, i suoi vicini non stanno meglio. Come noto, il Paese teutonico è il primo partner commerciale della Svizzera e gli effetti del la recessione da tempo si fanno sentire nella Confederazione. E anche in Ticino. Se si guardano i dati del commercio estero per il 2023, il calo dell’export svizzero verso la Germania è stato, in termini nominali, del 2,6%, mentre per il Ticino la contrazione è stata del 10%.

Guardando i flussi per categoria di merci, secondo l’Ufficio cantonale di statistica (Ustat) il calo in Ticino è dovuto «sostanzialmente alla forte diminuzione registrata nel comparto dei prodotti chimici», seguito da quello delle apparecchiature elettriche, che rimane tuttavia in linea con l’evoluzione nazionale.

Il KOF rivede al ribasso crescita e inflazione

Previsioni di crescita e inflazione riviste al ribasso per l'anno in corso: gli economisti consultati questo mese dal Centro di ricerca congiunturale del Politecnico federale di Zurigo (KOF) hanno aggiustato i loro pronostici seguendo quelli annunciati la scorsa settimana dalla Banca nazionale svizzera (BNS) e dalla Segreteria di Stato dell'economia (Seco).

Secondo i risultati del sondaggio Consensus Forecast, la crescita del Prodotto interno lordo (PIL) svizzero nel 2024 - escludendo le ricadute degli eventi sportivi - sarà dell'1,1%, rispetto all'1,2% previsto a dicembre. Le prime stime per il prossimo anno si aggirano intorno all'1,7%, così come per i prossimi cinque anni.

L'inflazione per l'anno in corso dovrebbe invece essere dell'1,4%, in calo rispetto all'1,6%, e continuare a scendere fino a circa l'1,2% nel 2025.

Per quanto riguarda la disoccupazione, le previsioni sono le stesse di dicembre: il tasso dei senza lavoro sarà del 2,2% nel 2024 e del 2,3% nel 2025, così come per i prossimi cinque anni.

Sempre secondo i 12 economisti interrogati dal KOF fra il 29 febbraio e il 20 marzo il corso franco/euro si situerà a 0,96 fra tre mesi e a 0,95 tra dodici mesi, mentre per il dollaro sono previsti rispettivamente 0,87 e 0,86. Negli stessi momenti i tassi delle obbligazioni a 10 anni della Confederazione saranno a 0,90% e a 1,00%. Il tasso di riferimento Saron (Swiss Average Rate Overnight) è invece pronosticato a 1,57% e 1,17%.

All'insegna della lieve progressione viene interpretata l'evoluzione del mercato azionario: per i prossimi tre mesi si scommette su un indice SPI a 15.068 punti e in un anno l'indicatore dovrebbe trovarsi a 15.805 punti. A titolo di confronto, l'SPI fluttua intorno ai 15.316 punti.