L’intervista

«La guerra in Libia sta impantanando la crisi umanitaria legata ai migranti»

Claudia Gazzini, esperta dell’International Crisis Group, analizza il conflitto scoppiato lo scorso mese di aprile
Migranti tratti in salvo dalla Guardia costiera libica raggruppati nei pressi della città di Khoms, a circa 120 km ad est di Tripoli.
Osvaldo Migotto
30.08.2019 11:03

Della guerra civile scoppiata in Libia lo scorso aprile si parla poco, eppure è da quel Paese che continuano a partire barconi colmi di migranti alla volta dell’Europa. Per fare il punto sulla situazione abbiamo intervistato Claudia Gazzini, specialista di Libia presso l’International Crisis Group.

L’offensiva militare su Tripoli del generale Haftar non ha ottenuto i successi sperati. Quali sono gli imprevisti che ha trovato?

«Quando è stata lanciata l’offensiva contro Tripoli Haftar e le sue forze contavano sulla neutralità dei gruppi armati presenti nella capitale e quindi si immaginavano una rapida entrata a Tripoli. Questo non si è verificato perché le forze di Misurata e quelle di Tripoli e di Zintan si sono mobilitate, schierandosi contro l’avanzata delle forze di Haftar. A ciò va aggiunto che potenze internazionali, come la Turchia in primis, ma anche il Qatar in maniera più discreta, si sono adoperate per equipaggiare le forze di Tripoli per arrestare l’offensiva di Haftar. Quindi i droni e gli esperti militari forniti dalla Turchia a Tripoli sno stati essenziali per frenare l’offensiva di Haftar. Va aggiunto che una buona parte della popolazione della capitale libica si è schierata contro una presa militare di Tripoli da parte di Haftar».

Mi pare di capire che il tallone d’Achille delle milizie che difendono il presidente Farraj sia la difesa aerea. È così?

«Le forze di Tripoli e Misurata hanno degli aerei militari ma numericamente inferiori rispetto a quelli che ha la coalizione guidata da Haftar. Ciò dipende dal fatto che i lealisti in partenza avevano meno aerei, in più si trattava di velivoli ereditati dall’era Gheddafi, mentre Haftar ha avuto aiuti dagli Emirati e dall’Egitto per riequipaggiare i vecchi velivoli dell’epoca Gheddafi e anche per dotarsi di nuovi elicotteri da combattimento e forse anche aerei. Quindi sul fronte aereo le milizie fedeli a Sarraj sono in leggero svantaggio. Inoltre la coalizione Tripoli-Misurata ha meno piloti addestrati; può contare su piloti che erano ormai in pensione, mentre non ne ha addestrati di nuovi. La coalizione di Haftar ha invece addestrato nuovi piloti in Egitto».

E i droni turchi?

«I droni forniti dalla Turchia a Sarraj sono stati una risorsa chiave per bombardare le forze di Haftar fuori Tripoli ma anche in altri loro avamposti».

Il prolungamento di questa crisi che influssi potrebbe avere sull’emergenza migranti?

«Come ricorderà c’è già stato un bombardamento, non si sa se per errore o voluto, su un centro di detenzione per migranti. Ciò ha sollevato un dibattito sulla necessità o meno di liberare i migranti presenti nei centri di detenzione. Da quanto so, il Governo di Tripoli, incitato anche dal rappresentante del Segretario generale dell’ONU, ha aperto tre di questi centri, rilasciando le persone che vi erano rinchiuse. Tuttavia né il Governo libico né l’ONU hanno elaborato un piano d’azione sul cosa fare con le persone liberate. Quindi la crisi umanitaria legata alla presenza di migranti in Libia si sta un po’ impantanando».

In che senso?

«Non dico che la crisi stia peggiorando esponenzialmente, con il rischio di maggiori flussi verso l’Europa, però a Tripoli non si vede un piano chiaro su come gestire i migranti, sia quelli rinchiusi nei centri di detenzione sia quelli che vivono al di fuori di queste strutture».

Di fronte allo stallo sul fronte militare l’UE non ha carte da giocare?

«La guerra è alimentata dall’intervento di forze regionali. Da un lato Emirati, Egitto ed Arabia Saudita a sostegno di Haftar, dall’altro Tripoli sostenuta da Qatar e Turchia. Di fronte a questa volontà di continuare a sostenere militarmente le due forze in campo l’UE ha poche carte da giocare per fermare la continua violazione dell’embargo sulle armi da parte degli Stati regionali».

E le Nazioni Unite?

L’ONU sta provando a organizzare una conferenza internazionale a fine settembre, si dice forse a Berlino ma i dettagli non sono ancora chiari, per portare i Paesi che hanno un peso maggiore e diretto in questo conflitto ad adottare una posizione più costruttiva sulla crisi libica».