Energia

La lotta tra Russia e Occidente non si limita a gas e petrolio

Litio, cobalto e nickel, così come le terre rare, sono fondamentali per la transizione energetica – Questi minerali potrebbero però diventare strumenti di pressione strategica nelle mani della Cina, alleata di fatto di Mosca
© REUTERS/Ivan Alvarado
Gian Luigi Trucco
24.12.2022 06:00

L’embargo occidentale sull’acquisto del petrolio russo, con tetto di prezzo a 60 dollari al barile e sanzioni su shipping, servizi assicurativi e finanziari, è da poco entrato in vigore, e si attendono le contromisure di Mosca. È probabile che la Russia devierà i flussi di export in misura ancora maggiore verso gli acquirenti asiatici, la Turchia e altri Paesi «terzi», riuscendo anche ad aggirare in parte le sanzioni. Ed è altrettanto probabile che i Paesi europei riusciranno ad acquistare il petrolio russo, magari mescolato con quello simile di altre fonti, e i prodotti raffinati, proprio da questi Paesi, attraverso una sorta di triangolazione.

Per quanto riguarda il gas naturale, la situazione è ancor più complessa e le posizioni dei Paesi occidentali appaiono divergenti di fronte alla minaccia di Mosca di un taglio alle forniture, allo spettro del razionamento e delle chiusure industriali. I nuovi giacimenti mediterranei e l’import di altra origine non sono sufficienti a coprire il deficit.

«Weaponization» in atto

Vi è un altro spettro con cui l’Europa è confrontata, e riguarda i metalli, sia quelli tradizionali che quelli essenziali nelle nuove tecnologie e addirittura critici per l’attuazione della cosiddetta transizione ecologica. Se petrolio e gas sono divenuti strumenti di «weaponization», cioè di pressione strategica, lo stesso potrebbe presto accadere per altre materie prime, e la Cina potrebbe questa volta diventare ancor più l’arbitro dei mercati.

Una ricerca condotta da Eurometaux, istituzione cui fanno capo fra gli altri colossi come l’elvetica Glencore e la anglo-australiana Rio Tinto, ha evidenziato l’enorme carenza di materie prime con cui l’Europa deve fare i conti nei prossimi anni se vuole perseguire gli obiettivi del «Green Deal», o comunque per cimentarsi in modo concorrenziale con le altre aree mondiali nella realizzazione di batterie al litio, pannelli fotovoltaici, motori elettrici per veicoli, turbine eoliche, eccetera.

Secondo il rapporto le sostanze più critiche sono litio, cobalto ed elementi delle terre rare, ma non meno importanti sono nickel, grafite e manganese. Per litio e cobalto l’incremento della domanda, da qui al 2050, sarebbe superiore al 3.000%, ma lo stesso trend interessa i metalli più tradizionali: alluminio e rame (+5 milioni di tonnellate), nickel (+400.000 tonnellate), zinco (+300.000 tonnellate). Per alcune di queste materie prime, a iniziare dalle terre rare ma non solo, tali incrementi comportano l’estrazione e la lavorazione di quantità abnormi di rocce in condizioni spesso difficili, tenuto anche conto della pericolosità, della radioattività di certe sostanze e delle condizioni ambientali. Forse il caso più drammatico è quello del cobalto, di cui la massima produttrice è la Repubblica Democratica del Congo. Nelle sue miniere spesso lavorano bambini che estraggono minerale a mani nude, si ammalano e muoino per il contatto prolungato con la roccia radioattiva.

Al di là di questi casi limite vanno considerati, nelle proiezioni di mercato, vari fattori: i potenziali conflitti locali e le crisi geopolitiche a più ampio raggio, embarghi e blocchi, tanto più considerato che, in molti di questi comparti, la posizione della Cina è nettamente preminente, per gli accapparamenti effettuati, l’influenza nella produzione ed il know-how acquisito nelle lavorazioni.

Miliardi di tonnellate di metalli

Secondo dati della Banca Mondiale, se nel 2050 il 70% dell’elettricità avesse origine da fonti alternative (pannelli solari e pale eoliche), ciò comporterebbe l’estrazione di almeno 3,5 miliardi di tonnellate di metalli.

Ovviamente, prescindendo dalle difficoltà teniche, incluse quelle di assicurare adeguate filiere di fornitura, da problemi di estrazione, lavorazione, logistica e altro, senza considerare «incidenti» geopolitici, è prevedibile che un potenziale squilibrio tra domanda e offerta possa determinare in futuro significativi aumenti dei prezzi.

Dazi europei «inflazionistici»

Non va poi trascurato l’effetto della nuova iniziativa europea CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism), una serie di dazi applicati a metalli e materiali ritenuti ricchi di carbonio. Gli esperti stimano che l’impatto inflazionistico di questa misura possa essere rilevante, facendo lievitare, ad esempio, il prezzo dell’acciaio di almeno 200 euro la tonnellata. Valori simili si potreanno avere per altri materiali importati. Oltre che una discutibile misura «ecologica», la CBAM viene considerata una misura protezionistica mascherata.

Il rapporto di Eurometaux fornisce indicazioni più o meno utili e applicabili: diversificare gli approvvigionamenti (obiettivo in molti casi di non facile realizzazione), accrescere gli investimenti nella raffinazione, superando però ostacoli sociali e ambientali abbastanza tenaci. Basti pensare, ad esempio nel campo delle terre rare, che gli stessi USA e altri produttori inviano il materiale grezzo in Cina per la raffinazione, a causa della pericolosità del processo e dell’inquinamento che esso causa.

Un’altra soluzione indicata è quella del riciclaggio che tuttavia difficilmente sarà in grado di fornire soluzioni concrete a un progetto che pare rispondere, secondo molti specialisti, più a istanze ideologiche e pressioni frettolose, come la «road map» evidenzia, piuttosto che a motivazioni reali e ragionevoli. 

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