L'esperto

«La lungimiranza non è mai scontata»

Nostra intervista a Massimiliano Zappa, dell'istituto federale WSL – Con lui torniamo a fare una riflessione su quanto accaduto in Vallemaggia
© CdT/Gabriele Putzu
Paolo Galli
03.07.2024 06:00

Massimiliano Zappa è responsabile di gruppo nella sezione previsioni idrologiche presso l’istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio WSL. Con lui facciamo un’ulteriore riflessione su quanto accaduto.

Facciamo fatica a capire un aspetto, in particolare, vedendo cadere un ponte o una pista di pattinaggio: quando le responsabilità vanno attribuite alla natura e quando, anche, alle costruzioni fatte dall’uomo sulla natura.
«La collega che si occupa di gestire le statistiche dei danni provocati dal maltempo mi ha riferito che la pista di ghiaccio si era già allagata altre volte. Non sarebbe allora da escludere che il suo posizionamento non era ideale. In questo caso, il fenomeno è stato di tale entità da far crollare ogni argine. Vale per una pista, può valere per un ponte. Se arriva un’ondata giusta, con la giusta densità, porta via tutto. Parliamo di forze davvero rilevanti, che si muovono lungo il fiume e che, se trovano l’albero, un grosso sasso, possono arrivare a strappare ogni ostacolo che dovessero trovare sul loro cammino. Se una costruzione ha tenuto per decenni, non significa che terrà un anno in più».

Ma un ponte non dovrebbe essere costruito in modo da essere indistruttibile?
«Dovrebbe, ma va considerato che in diversi casi vengono costruiti su vecchi letti di fiumi. Partiamo dal fiume, per capirci: prima c’era un fiume; poi si è costruito, arginando il fiume, e quindi si è costruito sempre più vicino al nuovo passaggio del fiume; il fiume a quel punto, un determinato giorno, straripa, e allora vengono fatte e rinnovate le carte dei pericoli, per capire dove costruire o meno; si vuole però anche rinaturare il fiume; e allora gli si concede più spazio, rinunciando a zone edificabili; poi arriva un evento estremo che supera quanto stimato sulla precedente esperienza. Insomma, c’è tutto uno storico che riguarda i fiumi e le costruzioni a ridosso. Pensate alla Germania, all’alluvione del 2021 nella valle dell’Ahr: il fiume, a un certo momento, ha deciso di riprendersi il corso che aveva prima delle correzioni umane e ha quinti travolto tutto ciò che ha trovato sul suo cammino. Da un lato è comprensibile che, a un certo punto, dopo decenni in cui non succede nulla di preoccupante, si decida di costruire, pensando che ciò che si costruisce terrà. Però la natura ogni tanto ci mostra che non abbiamo considerato tutto».

L’esperienza nel gestire un bene come l’acqua, di base, manca sempre. Non è mai definitiva. Però, man mano, si riesce a prevenire meglio

In Svizzera l’acqua è un elemento particolarmente centrale: siamo ancora in grado di gestirla sulla base di ciò che abbiamo costruito?
«Di regola siamo in grado. In Ticino abbiamo iniziato a gestire l’acqua dopo la piena del 1978. Poi ce ne sono state altre, e abbiamo imparato a gestire l’elemento. Abbiamo imparato quando l’acqua era particolarmente presente, ma anche quando è stata assente, come nei casi di siccità. L’esperienza nel gestire un bene come l’acqua, di base, manca sempre. Non è mai definitiva. Però, man mano, si riesce a prevenire meglio. Oltre San Gottardo, per esempio, tutto quanto implementato dopo la serie di alluvioni del 2005 (che causarono sei vittime, ndr) è servito per gestire gli importanti episodi dello scorso anno. Lo stesso evento di Saas-Grund è stato gestito meglio rispetto a quanto accaduto a Briga trent’anni fa. Si impara, insomma. Ma detto questo, non possiamo comunque cancellare i rischi residui, quelli che non sono ponderabili. Possiamo però fare in modo, là dove ci ritroviamo a quantificare i danni materiali, di preservare il più possibile la popolazione.

L’accelerazione del riscaldamento globale non genera la necessità di nuovi interventi in termini di messa in sicurezza delle strutture?
«Se hai un grado in più di temperatura, avrai il 7% di acqua in più da gestire. È la legge di Clausius-Clapeyron. Ciò porta a più periodi di magra, ma anche a episodi più frequenti di piogge intense».

Come una grossa spugna, che quando fa caldo riesce ad assorbire più acqua, ma che quando fa freddo non riesce più a trattenerla.
«E causa eventi di precipitazioni più intense rispetto a quelle osservate nel passato e utilizzate a mo’ di paragone per disegnare e dimensionare alcuni fattori, come gli argini dei fiumi e le protezioni a infrastrutture sensibili. Un singolo evento non è una prova del cambiamento climatico. Ma in ogni evento estremo, da un anno a questa parte, c’è la firma del cambiamento climatico, perché siamo vicini o abbiamo superato la soglia di 1,5 gradi di riscaldamento globale. Tornando alla sua domanda iniziale, penso che qualcuno non ha dato la giusta priorità alle indicazioni scientifiche presentate negli ultimi decenni o, comunque, non ha agito di conseguenza. La lungimiranza non è mai scontata, e soprattutto ha un costo».