«La mafia c’è ma non si vede, aprire gli occhi è un dovere civico»
Procuratore generale della Confederazione, lei ha dichiarato di voler combattere fenomeni come il riciclaggio, il terrorismo, i crimini di guerra e che intende mettere sotto pressione le attività delle organizzazioni criminali mafiose in Svizzera. La mafia quanto è diffusa da noi?
«Occorre distinguere tra le analisi che
vengono portate avanti e i fatti riscontrati che sono la base per gli atti
d’accusa. Sappiamo che il fenomeno della mafia è reale, della ’ndrangheta
soprattutto e non solo in Ticino, la grande maggioranza dei casi con i quali
siamo confrontati si trovano soprattutto nei cantoni della Svizzera tedesca. I
numeri ci dicono che nel 2021 abbiamo avuto 49 procedimenti avviati sotto il
titolo Organizzazioni criminali. Si tratta di qualcosa di reale, malgrado la
difficoltà di provare l’esistenza di un’organizzazione criminale. Questo è un
compito difficile, ma è il nostro compito».
Voi potete indagare, ma poi occorre la cooperazione con altri Stati, cito soprattutto l’Italia. Questa è buona?
«Direi che la cooperazione che ho osservato dall’inizio del mio mandato è ottima. Sono stato a Roma in marzo e l’ho sottolineato. Quando i miei colleghi si recano in Italia (e lo fanno spesso), rientrano sempre con buoni risultati».
Quali sono i principali problemi che le attività mafiose possono provocare sul nostro tessuto sociale ed economico?
«Il problema è quello di rendere meno sano, direi malato, il nostro tessuto sociale ed economico. La mafia di oggi non è più quella degli anni ’70-’80 e lo dico a pochi giorni dal trentennale della strage di Capaci. Soprattutto, non è più un’organizzazione violenta, è composta da persone ben inserite nella società».
La vera domanda è: chi sono?
«Si può trattare di liberi professionisti come avvocati o ingegneri, medici, ma anche coloro che in apparenza sembrano onesti impiegati, che vivono una vita normale. Persone comuni che si comportano civilmente, sono gentili, vestono bene e in apparenza, lo ripeto, appaiono come persone comuni. Ma il loro scopo di questa apparenza è di inserire nel circolo economico normale i soldi guadagnati in stragrande maggioranza all’estero da attività criminali».
La Svizzera è per loro un paradiso?
«È quanto loro credono, perché abbiamo una piazza finanziaria ed economica ben sviluppata, abbiamo condizioni quadro all’avanguardia e siamo una società liberale. Le infrastrutture che loro cercano per tentare di legalizzare i soldi guadagnati illecitamente, in potenza, ci sono tutte. La nostra sfida sta qui: impedire loro di accedere a questo circuito, alla nostra normalità. Non è possibile che chi agisce illegalmente possa accedere a servizi pensati e calibrati per chi è onesto e opera nella legalità».
Insomma, da noi non si spara con la lupara, ma ciò non significa che sia tutto tranquillo. C’è un problema tra apparenza e realtà?
«Direi che è così. Non ricordo di avere recentemente vissuto da noi fatti di sangue violenti di mafia. E questo la rende invisibile, un fenomeno nascosto da una coperta di apparente legalità. Tocca a noi essere attivi e svegli per scovare ciò che accade ma non si vede».
Che ruolo svolge l’antenna ticinese del Ministero pubblico in questo ambito?
«È a tutti gli effetti parte integrante del Ministero pubblico. Per me è una sede strategica ed è assolutamente necessaria la cooperazione dei colleghi attivi in Ticino. Già solo dal profilo linguistico l’antenna ticinese è indispensabile per me. Abbiamo qui collaboratori preparati e motivati».
Per contro cosa si sente di chiedere al procuratore generale ticinese Andrea Pagani e ai suoi collaboratori in Procura?
«Con Pagani ci conosciamo e c’è uno scambio proficuo di conoscenze ed esperienze. Non ho richieste roboanti da fare, men che meno richieste da fare pubblicamente».
Per combattere in maniera più efficace occorre un numero di inquirenti maggiore. Ma in che misura e con quali aspettative?
«Quella sulle risorse è una discussione che non finisce mai. Direi infinita. C’è sempre lavoro per un inquirente in più, ma il discorso sulla quantità non può e non deve essere esasperato. È chiaro che alcuni settori sono strategici, non penso in maniera particolare alla Procura federale, bensì alla Polizia. Le indagini sono fatte in partenza dalla Polizia e sono in contatto con la direttrice di Fedpol e so che lei ha i numeri contati. È in questo ambito che dobbiamo avere l’occhio vigile. Ci sono nuove forme di criminalità e occorre avere persone preparate. I criminali lavorano con il computer e sono in grado di penetrare nelle reti protette di banche e altre Istituzioni. È quanto fa anche la malavita della Mafia. Il mondo dell’Internet è composito e serve chi riesce a scovare chi delinque così».
C’è chi afferma che chi delinque in Svizzera può vivere tranquillo. Questo ha un fondamento di verità?
«È il compito che spetta alla Polizia, la Procura, ma non solo. Tocca anche alle amministrazioni d’ogni genere vigilare e cogliere i segnali d’allarme, penso anche ai responsabili del registro di commercio e degli uffici di fallimento».
Ma allora siamo tutti un po’ inquirenti?
«In un certo senso direi di sì. I cittadini privati, gli imprenditori, anche gli impiegati che vedono qualcosa sono preziosi. Basta un comportamento sospetto a dare un segnale importante e ci vogliono cittadini che non hanno paura di dirlo, di persone che non voltano la faccia. Le grandi cose si vedono anche dalle piccole cose: il contratto di lavoro o lo stipendio pagato. Questi sono elementi importanti per costruire una prova per smascherare chi fa parte di questa società segreta. Abbiamo bisogno di tutti, vorrei dire ai cittadini che non chiudere gli occhi è un dovere civico. Non lasciamoli dormire sonni tranquilli e gustare i loro profitti illeciti».
In Ticino è stato ospite della Società degli impresari costruttori. Corrisponde alla realtà che il settore edile è attrattivo per chi è dedito al riciclaggio?
«Non possiamo concentrarci su un solo settore. L’edilizia è certamente uno di questi. Si sa che è così, ma pensate alla gastronomia, come pure ai nuovi settori dell’informatica. In fondo ogni genere di commercio è sottoposto al rischio del riciclaggio. I soldi in nero prodotti all’estero vengono introdotti ovunque in Svizzera per essere puliti e nel tentativo di essere legalizzati. La criminalità organizzata vive mostrando una parvenza esterna di legalità. Io non punto l’indice verso un solo settore, sarebbe un grave errore».
Veniamo all’attualità internazionale. Quanto accaduto in Ucraina ha portato una personalità come Carla Del Ponte a chiedere un mandato d’arresto per Vladimir Putin. È una mossa che ritiene pertinente?
«Vorrei solo richiamare la legge svizzera. Possiamo aprire un’inchiesta solo se una persona sospetta si trova da noi. Questa è la risposta, forse tecnica, ma concreta».
I rifugiati ucraini arrivati in Svizzera sono una fonte di informazioni che reputa attendibile?
«Non posso rispondere a questa domanda con certezza o con sicurezza. Siamo in una prima fase di quanto descritto. Non dobbiamo dimenticare che la prima ondata di rifugiati è arrivata dall’Ucraina occidentale, fortunatamente non così duramente colpita dalla guerra. Credo che le persone che hanno qualcosa da dire non sono ancora qui e arriveranno traumatizzate. Sarà un lungo processo per spiegare il loro vissuto. È soprattutto un compito della Polizia e sono loro grato. Lo facciamo perché i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra non sono soggetti alla prescrizione. Potrebbe accadere che tra 10 o più anni il Ministero pubblico potrebbe aprire un’indagine. E avere le prove originarie rende le cose più concrete. Dico che noi, in fondo, prepariamo una procedura ipotetica per la generazione dei procuratori che verrà. E questo è anche il senso dell’imprescrittibilità di questi crimini».
Come procede il lavoro della task force che lei ha voluto per accertare violazioni del diritto internazionale in qualche modo legate al nostro paese?
«Non è altro che una grande piattaforma di informazioni tra chi si occupa di crimini di guerra, chi si occupa di assistenza giudiziaria e chi indaga nell’ambito del riciclaggio di denaro ed altro. Si tratta di assicurare che ogni informazione non vada persa. In fondo è semplice, ma prezioso».