Sicurezza

«La mafia nigeriana ha alzato il tiro»

Il criminologo Alessandro Meluzzi fa il punto sulla potente organizzazione spiegando come penetra in Europa e come si espande - Guadagni esponenziali: dalla tratta di esseri umani al traffico d’organi, dallo spaccio di droga alla prostituzione
Alessandro Meluzzi, psichiatra, criminologo e opinionista italiano. (foto CdT/AC)
Andrea Colandrea
11.03.2019 06:00

(dal nostro inviato) - Alessandro Meluzzi - classe 1955 - psichiatra, criminologo e scrittore torinese, è uno degli opinionisti più presenti sugli organi informativi italiani e sui social media, nel cui ambito affronta spesso dibattiti sull’immigrazione e la sicurezza. Meluzzi, che è primate della Chiesa Ortodossa, ha anche svolto attività politica ed è stato parlamentare e senatore del centrodestra. Profondo conoscitore del fenomeno della mafia nigeriana, argomento di un suo nuovo libro in collaborazione con Giorgia Meloni (FdI), spiega la pericolosità di questa organizzazione, spezzando una lancia in favore dell’attuale Governo italiano, in primis per le decisioni prese dal ministro Salvini sul fronte dell’immigrazione.

Professor Meluzzi, lei si batte da anni contro l’immigrazione clandestina, il fondamentalismo islamico e la criminalità d’importazione: un territorio difficile, paludoso e nel quale la strumentalizzazione politica è la regola. Quali sono oggi, in Italia, le città più toccate dal fenomeno della criminalità africana?
«Intanto le tipologie di questa criminalità sono due. La prima è di matrice magrebina, perlopiù marocchina e tunisina, specializzata soprattutto in spaccio di droghe, anche leggere, e che al suo interno contiene anche segmenti di fondamentalismo islamico legato all’attività dell’ISIS e a tutto quanto vi ruota attorno. La seconda riguarda il complesso fenomeno della mafia nigeriana, che è un’organizzazione criminale internazionale con profonde radici in quello Stato africano. Ha basi nelle grandi metropoli del Sud, Benin City e Lagos, ma anche nella capitale Abuja, dove gestisce attività legate alla prostituzione, anche minorile, il traffico di esseri umani e di clandestini. C’è poi il traffico degli organi, finora sottovalutato, ma che costituisce una delle piaghe emergenti, nonché il traffico d’armi e quello di valuta. Le capitali della mafia nigeriana in Italia sono Torino e Bologna».

Lei ha ripetutamente denunciato l’evoluzione pericolosa che riguarda le attività illecite di quest’organizzazione criminale.
«Sì, in tempi più recenti la mafia nigeriana è diventata ancora più insidiosa dal momento che Lagos e Benin City si sono tramutate in capitali dell’ingrosso del mercato degli stupefacenti. In una prima fase, quest’organizzazione criminale agiva di riporto, di concerto con le mafie italiane, principalmente con l’ndrangheta e la camorra (si ricordi la guerra di camorra messa in atto – e vinta a Castelvolturno – contro le ramificazioni locali dell’organizzazione criminale campana). Oggi, nella Provincia di Caserta, la mafia nigeriana gestisce autonomamente anche altri traffici: quello di rifiuti tossici, la bassa manovalanza nell’agricoltura, eccetera. Ha esteso il suo raggio d’azione. Altrove ha già il monopolio dello spaccio delle droghe pesanti, tra cui anche la micidiale eroina gialla, che costa poco ed è molto tossica. L’Italia, ponte tra l’Europa e l’Africa, è il Paese europeo più esposto alla sua influenza e che ha anche preso meno misure per proteggersi. Qualcosa, però, è cambiato. Prima dell’arrivo al Governo del ministro dell’Interno Matteo Salvini, che ha ridotto gli sbarchi degli immigrati africani chiudendo i porti, l’Italia è stata per lungo tempo l’unica Nazione in cui chiunque poteva entrare e uscire senza problemi, mentre le frontiere della Grecia, della Slovenia, della Croazia, della Francia e della Spagna erano già chiuse. Queste tardive misure di protezione nell’ambito del decreto sicurezza erano strettamente necessarie, basti pensare che se quest’anno, come nell’anno precedente, fossero entrati in Italia altri 40-50 mila nigeriani (altrettanti hanno già fatto ingresso sul nostro territorio) la situazione sarebbe totalmente incontrollabile. Il quadro è già critico di per sé».

Come giudica la risposta dello Stato all’emergenza?
«Per lungo tempo non è stato fatto nulla. Quando Paolo Gentiloni era presidente del Consiglio aveva dichiarato che contro il fenomeno migratorio non sarebbe stato possibile trovare soluzioni. Gentiloni era dell’idea che chiunque si fosse messo in viaggio sarebbe dovuto essere accolto e portato sulle rive italiane e poi messo a carico del sistema fiscale nazionale con un costo, sull’arco di due anni, pari a 5 miliardi di euro. Con un carico di 37,5 euro dati alle cooperative di amici e di amici degli amici, di cui una parte – 5 euro al giorno, più telefonino, vitto e alloggio – erano destinati a ciascuno di questi sciagurati, tutto il resto veniva gestito da un vorticoso sistema clientelare con in testa la Caritas e una lista di diocesi cattoliche».

Il 6 marzo a Macerata è entrato nel vivo il processo al 30.enne nigeriano Innocent Oseghale, che il 30 gennaio 2018 avrebbe stuprato, accoltellato e fatto a pezzi la 18.enne Pamela Mastropietro con altri due connazionali. Un processo simbolico – come lei sostiene – per una criminalità avulsa dalla nostra società e che lei teme possa attecchire sempre di più. Eppure la stessa città di Macerata ha negato a Pamela una commemorazione ufficiale lo scorso 30 gennaio su decisione del sindaco Romano Carancini.
«Questa criminalità, in realtà, ha già attecchito. Alcune settimane fa, qui a Torino, è stata tagliata la gola a un ragazzo che stava camminando in strada, lungo le rive del Po. Non si sa ancora chi abbia commesso il delitto: non è un italiano, ma un individuo straniero legato allo spaccio di droga che si svolge sulle rive del fiume. Questa situazione, che anche la mafia nigeriana tenta di tenere un po’ sotto traccia, trova, secondo me, una sostanziale connivenza culturale da parte di tutti coloro che si ostinano a negarla. Trovo quindi che anche la posizione del sindaco PD di Macerata, negazionista e preoccupato di non offendere la comunità nigeriana che in quel territorio è fatta prevalentemente di cooperatori del mercato della prostituzione e degli stupefacenti, sia dissennata. Pamela Mastropietro è veramente una piccola martire, laddove Oseghale è sicuramente un membro della mafia nigeriana. Vi sono pesanti elementi probatori a suo carico, come l’incredibile tecnicalità che egli ha mostrato nella dissezione del cadavere (si è detto che la ragazza fosse ancora viva!) e che ha a che vedere con professionalità da chirurgo del settore, tipico di questo tipo di etnia e di situazione».

C’è chi sostiene che non vi sia stato alcun mutilamento di tipo rituale del corpo della ragazza. Insomma, niente cannibalismo, niente asportazioni di organi e nessun rito voodoo come lei, invece, continua a sostenere. Lo stesso procuratore di Macerata Giovanni Giorgio ha parlato di «notizia destituita di ogni fondamento».
«Il cadavere di Pamela Mastropietro è stato dissezionato con una professionalità assoluta, lo ha attestato l’anatomopatologo che ne ha esaminato i resti. Il corpo, è emerso, è stato lavato con varechina. Inoltre ne sono state asportate diverse parti. Sono stati dissezionati anche il fegato, il cuore, e una parte della laringe. E per occultare lo stupro è stato asportato l’intero apparato genitale della ragazza. I resti della giovane sono stati racchiusi in due valigie e portati via, non sappiamo dove e perché. Dalle intercettazioni telefoniche dei compari di Oseghale si è sentito dire che “queste cose lui le faceva già in Nigeria, avrebbe dovuto conservare il corpo per surgelarlo e mangiarlo”. I rituali del cannibalismo, tra cui bere il sangue, fanno parte della tradizione del juju e del voodoo in Africa e ora sono presenti anche qui da noi. Parliamo di strumenti che servono ad acquisire forza, potere e fortuna. E questi organi, va sottolineato, hanno un mercato. Basta guardare un video su Internet di cannibalismo e mafia nigeriana per poter vedere immagini raccapriccianti, per lo più riprese in Nigeria, dove c’è quello che Oseghale ha fatto, per qualsiasi cosa pensi il procuratore».

Converrà, tuttavia, che la Magistratura ha i suoi validi strumenti d’indagine.
«Se verso la criminalità nazionale c’è stato il tentativo di tenere alta la guardia, misteriosamente, anche tra i magistrati, c’è oggi il tentativo di mettere a tacere queste realtà. Ritengo, in generale, che si sia fatto largo una sorta di autorazzismo verso gli italiani e verso gli europei e il tentativo, comunque, di considerare l’africano soltanto come un buono. Laddove, invece, i dati ufficiali sulla criminalità ci devono mettere sull’attenti. Gli stranieri delinquono sette volte a uno rispetto agli italiani, quattordici volte a uno per quello che riguarda i reati sessuali e i nigeriani addirittura quaranta volte a uno. L’allarme dovrebbe essere massimo. Assistiamo invece al tentativo, per una preoccupazione anti razzista, filo migrazionista, filo globalista, eccetera, di negare la verità. Ma come diceva Lenin, i fatti hanno la testa dura, più delle opinioni».

Lei continua a denunciare il pericolo della mafia nigeriana in Italia. Cosa preoccupa di più le autorità?
«La mafia nigeriana ha il monopolio dello spaccio delle droghe pesanti, che gestisce in proprio: eroina, cocaina e droghe sintetiche. E questo un po’ ovunque. Qui a Torino basta percorrere una via del centro, come per esempio la via Ormea, per notare ogni giorno la presenza, giorno e notte, di quattro giovani nigeriani ad ogni angolo della strada: è la base dello sfruttamento del mercato della droga, che come visto può raggiungere facilmente anche i giovanissimi in virtù di una quantità inesauribile di manovali dello spaccio che ha abbattuto i costi degli stupefacenti e che facilita una diffusione capillare. C’è poi la prostituzione minorile: i delitti in questo ambito sono un’altra faccia della stessa realtà. Le forze dell’ordine, anche nelle nostre zone, si sono ripetutamente confrontate con il ritrovamento di cadaveri di giovani prostitute con corpi smembrati e talvolta privi di organi. È sceso in campo perfino l’FBI. Ci sono poi le tradizionali truffe online: chiunque è in possesso di un computer avrà subito un tentativo di raggiro da parte delle bande nigeriane, la loro diffusione è molto ampia. Altre attività riguardano il traffico di clandestini, quello d’armi, che diventerà sempre più importante e in prospettiva anche quello del controllo di intere zone di territorio, come avviene già in Sicilia e in altre realtà italiane. I profitti sono enormi».

Attività illecite che preoccupano anche la Germania

Professor Meluzzi, lei ha dichiarato: «Il cannibalismo rituale è la regola nella mafia nigeriana. Noi però non ne parliamo, forse per non apparire razzisti. Dovremo abituarci a certe cose: è la punta dell’iceberg destinata a dilatarsi». Ci spieghi meglio.
«Di queste pratiche rituali inquietanti sentiremo parlare a lungo. Con circa un milione di persone che si sono spostate, senza un lavoro, senza casa e senza legalità dal loro Paese, il reclutamento criminale diventerà sempre più ampio. Il fenomeno, del resto, si inserisce in un contesto internazionale. È notizia recente, in proposito, che i servizi segreti tedeschi si stanno occupando drammaticamente del flusso di mafiosi nigeriani che arrivano nel loro Paese anche dall’Italia». (Nel 2018 il numero dei richiedenti l’asilo nigeriani in Germania è aumentato del 30% rispetto al 2017, più di 10 mila unità, la quota di sicurezza si colloca sotto al 10%, come riferito dal quotidiano conservatore «die Welt» nella sua edizione online del 27 febbraio scorso, n.d.r.).

Lei ha anche denunciato un’emergenza informazione in Italia: giornali e televisioni nasconderebbero notizie di violenze sessuali, aggressioni più o meno gravi commesse da extracomunitari ai danni di cittadini italiani e delle forze dell’ordine. Viceversa questi media non esiterebbero a mettere in risalto episodi di razzismo contro gli stranieri in nome del politically correct. Non è esagerato?
«No, anzi. Lei pensi – per ricordare un caso concreto – a quella giovane atleta italo-nigeriana, Daisy Osakue, ferita ad un occhio dal lancio di uova da un gruppo di giovani, lo scorso luglio, a Moncalieri. Questa vicenda ha suscitato un clamore incredibile. Ricordo peraltro che questa donna è figlia di un nigeriano che aveva scontato cinque anni di carcere per omicidio e che era risultato essere membro di un’organizzazione criminale nigeriana. Ebbene, i telegiornali hanno parlato della vicenda di questa donna senza sosta per la durata di una settimana. D’altro canto, per l’omicidio di quel giovane lungo le rive del Po a Torino, di cui ho riferito prima, da parte della stampa c’è stato il silenzio assoluto. Vi sono molti altri esempi che indicano quali notizie devono essere dilatate e quali tacitate dai media mainstream. Purtroppo prevalgono visioni sorosiane, moraliste e migrazioniste».

I suoi dibattiti hanno un forte seguito mediatico, in televisione, sui social media e su altri organi d’informazione. Ha in programma di tenere una conferenza anche in Svizzera?
«Se mi inviterete in Ticino verrò molto volentieri. Sta per uscire il mio libro “La mafia nigeriana. Riti, potere e crimini”, firmato con Giorgia Meloni (leader di Fratelli d’Italia). L’occasione per presentarlo a Lugano potrebbe essere proficua».