Giornata mondiale

La musica suona in aiuto dei malati di Parkinson

Il 19 aprile, presso la sede di Lugano della Croce Rossa, partirà un progetto multidisciplinare che si propone di studiare i possibili effetti benefici di un «music intervention» per i pazienti – Per saperne di più sulla malattia, abbiamo parlato con il dottor Salvatore Galati, caposervizio di Neurologia all’EOC
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Jenny Covelli
11.04.2023 09:27

Paralisi agitante. Sono trascorsi 206 anni da quando il medico inglese James Parkinson definì in questo modo la malattia che porta il suo nome, in un saggio divenuto celebre. Era il 1817. La sindrome di Parkinson è una delle malattie neurodegenerative più frequenti. Nel mondo ci sono circa 10 milioni di parkinsoniani, in Svizzera ne vivono oltre 15.000. E con l’invecchiamento della popolazione si prevede una forte crescita nei prossimi anni. È stata anche definita «malattia dei grandi uomini», accomunando personalità come Francisco Franco, Franklin Delano Roosevelt, Yasser Arafat, Mao Zedong, Leonid Brežnev, Michael J. Fox, Giovanni Paolo II e Cassius Clay. L'11 aprile è la Giornata mondiale sul Parkinson, data di nascita di James Parkinson.

Che cos’è?

La malattia di Parkinson implica una perdita neuronale che riguarda prevalentemente i neuroni che producono la dopamina. Si tratta di un neurotrasmettitore coinvolto sia nel controllo motorio, sia nel sistema di ricompensa, di gratificazione. Due ambiti collegati. La dopamina, infatti, consente di selezionare i programmi motori più idonei. E quando la persona è in grado di scegliere il programma motorio più idoneo all’obiettivo che intende raggiungere (il movimento), si sente gratificato.

I sintomi

Ma ci sono anche altri sistemi coinvolti, che clinicamente possono esprimersi con sintomi non motori. «Indizi» di cui ci parla il dottor Salvatore Galati, caposervizio di Neurologia all’EOC, esperto in Disturbi del movimento, che si occupa di pazienti affetti da Parkinson da circa 20 anni. «Il paziente si esprime con rallentamento motorio. La mancanza di dopamina, come detto, impedisce al paziente di selezionare le strategie motorie. Nonostante li abbia in testa, non riesce a scegliere i movimenti adeguati».

Un altro sintomo precoce della malattia coinvolge il riposo notturno, ovvero la tendenza dei pazienti a vivere il sogno. Movimenti involontari e a volte bruschi. «Un paziente una volta si è ferito il braccio sinistro con la mano destra, sognando di afferrare un ladro che si era introdotto in casa». Disturbi conosciuti da relativamente poco tempo, se pensiamo ai 206 anni che ci separano dal saggio di James Parkinson. Tra cui la stitichezza, la deflessione del tono dell’umore («la mancanza di dopamina rende le giornate un po’ più grigie»).

«Il motivo per cui i pazienti si fanno visitare, molto spesso, è il tremore - prosegue il dottor Galati -, perché richiama l’attenzione della persona coinvolta e di chi le sta accanto. Ma un buon 40% dei parkinsoniani non trema e questo è un sintomo che il medico deve approfondire con maggiore attenzione». Ergo: il sintomo più specifico della sindrome parkinsoniana è il rallentamento motorio. A cui si aggiunge «la rigidità, un’ipertonia che il paziente può avvertire come un senso di rigidità» che causa dolore. E disturbi posturali. «Configurano la sindrome un insieme di sintomi. È come un mosaico: le tessere si aggiungono piano piano. Ci sono tante malattie neurologiche che si possono manifestare, quella degenerativa più frequente è la malattia di Parkinson».

Per spiegarlo ai pazienti, paragono la dopamina al pane. Dobbiamo dare il pane al cervello. Possiamo farlo con due strategie. La farina che è la levodopa, oppure qualcosa che somiglia al pane: la focaccia ovvero utilizzando i dopaminoagonisti

La terapia

La terapia farmacologica più efficace, i cui primi riscontri scientifici risalgono all’inizio degli anni Settanta, è a base di levodopa. L’intuizione di somministrarla per sopperire alla mancanza di dopamina (che non può essere somministrata perché non attraversa la barriera emato-encefalica) si deve allo scienziato svedese Arvid Carlsson (premio Nobel nel 2000). Il precursore della dopamina, la levodopa appunto, supera la barriera, viene convertita e rilasciata nel cervello. «Per spiegarlo ai miei pazienti - aggiunge il dottor Galati -, paragono la dopamina al pane. Dobbiamo dare il pane al cervello. Possiamo farlo con due strategie. La farina che è la levodopa, oppure qualcosa che somiglia al pane: la focaccia ovvero utilizzando i dopaminoagonisti».

Ma con la progressione della malattia, cambia pure la risposta ai farmaci. E se la levodopa inizialmente riesce a mascherare i sintomi motori (una fase definita «luna di miele»), successivamente questa risposta non è costante perché tra una compressa e l’altra cala l’efficacia (wearing-off) e paradossalmente in seguito possono comparire sintomi «opposti», le discinesie. Una serie di movimenti involontari, oggetto delle ricerche del neurologo dell’EOC, anche libero docente all’USI. Fluttuazioni motorie, movimenti scomposti, che richiedono terapie avanzate. «Come la stimolazione cerebrale profonda, che agisce sulla qualità dell’attività del cervello, riservata a un gruppo ristretto di pazienti con specifiche caratteristiche».

Il futuro

Il Parkinson, ad oggi, è purtroppo una malattia con un decorso ineluttabile. «Ma la ricerca prosegue (vedi la scoperta di un biomarcatore all’ETHZ e il chip dell’EPFL, ndr.). E all’orizzonte ci sono circa 150 molecole che si stanno studiando con l’intento di offrire una variazione di quella che è la storia della malattia. Per bloccare il processo neurodegenerativo», aggiunge il dottor Galati. «Siamo bravi per i primi 10 anni a controllare bene i sintomi con i farmaci (sintomatici). Ma non abbiamo farmaci (eziologici) che agiscono sulla causa. Farmaci che blocchino o ripristino la perdita neuronale».

La maggior parte della popolazione è convinta che la malattia di Parkinson colpisca solo gli anziani. Ed effettivamente l’incidenza aumenta con l’età. «Ma non è così infrequente in soggetti relativamente giovani». Il neurologo, in Ticino, segue 5 pazienti che hanno poco più di 40 anni e uno che è addirittura under 40. L’impennata è ovviamente sopra i 65 anni.

Un buon 40% dei parkinsoniani non trema e la malattia non è così infrequente in soggetti relativamente giovani

Il progetto Music Park

L’obiettivo non è rallentare il decorso della malattia, allo stato attuale non è possibile. Ma attenuare i sintomi e migliorare la qualità di vita dei pazienti. La cui aspettativa di vita è praticamente uguale a quella delle persone sane. «In 20 anni ho imparato che l’attività fisica cambia radicalmente la prognosi - sottolinea il dottor Galati -. Le attività complementari alla fisioterapia, come danza, Thai-Chi, Nordic Walking, offrono dei vantaggi».

È qui che si inserisce Music Park, il progetto che partirà il prossimo 19 aprile nato da una collaborazione multidisciplinare che coinvolge il Centro di Ergoterapia di Croce Rossa Svizzera Sezione del Sottoceneri (CRSS), il dottor Salvatore Galati, la dottoressa Daria Dinacci, neurologa esperta in neuroriabilitazione alla Clinica Hildebrand e all’Istituto di Neuroscienze cliniche dell’EOC, e il musicista Paolo Paolantonio, ricercatore al Conservatorio della Svizzera Italiana. Un progetto che si propone di studiare i possibili effetti benefici per i pazienti con malattia di Parkinson di un «music intervention» della durata di 10 settimane. «Non bisogna pensare alla musica come a qualcosa che non possa avere rilevanza», sottolinea il nostro interlocutore. «L’ascolto della musica è in grado di variare l’attività cerebrale. Come la ninna nanna per un neonato favorisce l’addormentamento. L’ascolto della musica raggiunge il cervello». E si attiva pure il fattore emozionale, che ha un impatto sul benessere psicologico del paziente. Senza dimenticare l’incremento dell’attività creativa e la possibilità di interazioni sociali. Oltre ad agire concretamente sul movimento.

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La musica, intesa come «intervento musicale», è stata utilizzata nell’ambito di attività con malati di Parkinson sia come strumento terapeutico complementare, sia nel contesto delle attività riabilitative, ed esistono numerose evidenze in letteratura del suo possibile impatto positivo. La musica può infatti facilitare l’intenzione al movimento e la produzione di azioni e la sua componente ritmica favorisce il proseguimento dell’azione motoria, la corretta cadenza tramite la sincronizzazione e può avere in questo modo effetti positivi anche sul cammino. «L’obiettivo è quello di creare un ambiente inclusivo e accogliente in cui i partecipanti abbiano la possibilità di creare un piccolo repertorio provando insieme ai membri del team brani di generi ed epoche diverse».

La musica può facilitare l’intenzione al movimento e la produzione di azioni e la sua componente ritmica favorisce il proseguimento dell’azione motoria, la corretta cadenza tramite la sincronizzazione e può avere in questo modo effetti positivi anche sul cammino

Le attività previste per lo svolgimento del progetto si svolgeranno presso la sede di Lugano della CRSS con il contributo di ergoterapisti, musicisti, psicologhe ricercatrici, e con la supervisione del dottor Galati e della dottoressa Dinacci. Attraverso interviste, questionari e polisomnografie, il gruppo di ricercatori di Music Park misurerà l’impatto del programma musicale sul benessere psicologico e fisico dei partecipanti.

«Anche l’aspetto sociale deve essere curato. Speriamo che questo progetto tiri fuori da casa i nostri pazienti e li faccia socializzare di più», conclude il dottor Galati. «Conoscere è importante, perché aiuta a vincere i pregiudizi. Tutti possiamo essere coinvolti direttamente o indirettamente in una situazione del genere. Si tratta di malattie che saranno sempre più frequenti. E dietro ci sono le persone. Le nostre persone».

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