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La Pasqua ebraica passaggio dal giogo alla libertà

Nella lingua del popolo d’Israele è detta Pesach e durante la tradizionale cena si commemorano la fuga dalla schiavitù in Egitto e l’inizio dell’esodo verso la Terra promessa – A farcela conoscere sono le parole di Micaela Goren Monti
Tavola imbandita con le semplici pietanze che vengono consumate durante il Seder, la cena pasquale ebraica.© Shutterstock
Nicola Bottani
Nicola Bottani
03.04.2021 06:00

In questi giorni è tempo di Pasqua anche per gli ebrei, ricorrenza religiosa legata a doppio filo con quella cristiana che ricorda gli ultimi giorni della vita di Gesù e la sua resurrezione. Il popolo d’Israele la chiama Pesach.

A introdurci nella festività di Pesach, come se aprisse le porte della sua casa e ci invitasse a conoscere i suoi famigliari, riunitisi – come indicano i precetti religiosi – dopo il tramonto per la cena della Pasqua ebraica, è Micaela Goren Monti.

«La tradizione vuole che ogni famiglia tenga un posto libero a tavola per chiunque bussi alla porta e chieda di partecipare al Seder, come è chiamata in ebraico la cena pasquale. Quindi, vi invito volentieri alla nostra festa, in cui si commemorano e ricordano la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù in Egitto e l’esodo verso la Terra promessa. Sono momenti cruciali e fondamentali della nostra storia e perciò Pesach per noi ebrei è una delle ricorrenze più importanti dell’anno».

La parola Pesach significa “passaggio” e può anche essere espressa con “passare oltre”
© Shutterstock
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Sono queste le parole con cui ci accoglie Micaela Goren Monti che poi spiega: «La parola Pesach significa “passaggio” e può anche essere espressa con “passare oltre”. Quindi, sintetizza ciò che si ricorda passo dopo passo con il Seder, il cui significato è invece “ordine”, “sequenza”. E difatti il Seder si svolge seguendo un ben preciso rituale, iniziando dalla domanda “Perché questa notte è diversa dalle altre?”, posta dal capofamiglia al commensale più giovane. L’idea è quella di coinvolgere i bambini con delle domande per far sentire loro il significato della festività. È anche lo spunto che permette poi agli adulti di procedere con invocazioni, canti e soprattutto la lettura della Haggadah, traducibile con “narrazione”. È l’antico libro grazie al quale i commensali più anziani ricordano, sviluppano e approfondiscono gli episodi vissuti dal popolo ebraico e commemorati a Pesach (appunto: la liberazione dal giogo egizio e l’inizio di un cammino di libertà verso la Terra promessa). Un esodo comunque caratterizzato da ulteriori fatiche e sofferenze. Pesach è fondamentalmente un’esperienza percettiva, sensoriale e naturalmente di rievocazione storica. Quello che conta è il “come se”: ovvero “come se foste voi stessi usciti dall’Egitto oggi”, il rivivere quell’esperienza veicolandola attraverso l’emozione della narrazione e il gusto del cibo simbolico presente in tavola».

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Cibi semplici ma significativi
Ecco dunque che sulla tavola imbandita per il Seder troviamo alimenti poveri, essenziali nella loro semplicità ma altamente simbolici.

«Il nostro piatto pasquale è composto in primo luogo da pane azzimo, erbe amare e uova sode, senza scordare vino e una zampa d’agnello arrosto, che però non viene consumata. È infatti portata in tavola per ricordare il sangue di agnello con cui erano stati contrassegnati gli stipiti delle porte delle case degli ebrei schiavi del faraone Ramses II affinché l’angelo sterminatore risparmiasse i loro primogeniti dalla morte a cui erano stati invece condannati quelli degli egizi. È l’ultima delle dieci piaghe d’Egitto, dopo la quale il faraone finalmente si decise a liberare gli ebrei».

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Bere vino è un altro momento importante della festa perché ricorda una ebbrezza di libertà

Prima di passare al perché di erbe amare, uova e pane azzimo, ci concediamo una pausa, come per prenderci il tempo di appoggiare le labbra a uno dei quattro bicchieri di vino prescritti come un obbligo dal rituale. «Bere vino – sono sempre parole di Micaela Goren Monti – è fondamentale ed è un altro momento importante della festa perché ricorda una ebbrezza di libertà. I quattro bicchieri di vino si consumano in memoria delle altrettante espressioni utilizzate da Dio nel momento in cui annunciò a Mosè, guida degli ebrei, l’ormai prossima liberazione dal giogo del faraone. Le espressioni sono “li sottrarrò” dalle sofferenze dell’Egitto, “li farò uscire” dal luogo di schiavitù, “li redimerò e li prenderò come mio popolo”. Il vino caratterizza anche il primo gesto del Seder: viene offerto come segno di benvenuto a chi varca la soglia di casa per partecipare alla cena della nostra Pasqua».

Si mangia appoggiandosi al fianco sinistro perché così facevano gli uomini liberi

E dopo il brindisi? «Ci si lava le mani con l’acqua lasciata cadere da una caraffa e si prende posto a tavola. Importante è mangiare stando appoggiati sul fianco sinistro oppure con il rispettivo gomito appoggiato sul tavolo. È un altro richiamo alla liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù. Anticamente solo agli uomini liberi era concesso di prendere i pasti stando in una posizione comoda e rilassata».

Pane azzimo. © Shutterstock
Pane azzimo. © Shutterstock

Dell’agnello e del vino ora sappiamo. Qual è invece il significato di erbe amare, uova e pane azzimo «Sedano, foglie di insalata come l’indivia o prezzemolo sono le erbe amare del Seder e simboleggiano l’amarezza della schiavitù del popolo d’Israele. Si consumano dopo averle intinte in acqua a cui è stato aggiunto sale o aceto, condimento che perciò ricorda le lacrime versate dagli ebrei in Egitto. L’uovo è invece tipico del lutto ed è un alimento che viene anche offerto ai parenti di un defunto al termine delle cerimonie funebri. Nel contempo è anche simbolo di rinascita, della vita che comunque si rinnova nel tempo».

Prima dell’inizio della Pasqua in casa si elimina ogni traccia di cibi lievitati
Charoset e azzime. © Shutterstock
Charoset e azzime. © Shutterstock

Gli altri simboli e gesti
Un’altra breve pausa, poi Micaela Goren Monti spiega ancora: «Le azzime sono un pane non lievitato come quello che gli ebrei portarono con sé fuggendo dall’Egitto, pane che non fecero in tempo a far lievitare. Anche le azzime hanno quindi un grande significato, tanto che prima dell’inizio della Pasqua i precetti religiosi e la tradizione prevedono che ogni ebreo contribuisca a pulire a fondo e attentamente la casa per eliminare ogni traccia di cibi lievitati, fosse anche una sola, minuscola briciola. Nel Seder, una azzima sottratta e nascosta nel corso della cena da bambini e ragazzi è il pretesto affinché i più giovani fra i commensali la possano restituire in cambio di doni, permettendo così il proseguimento della liturgia con altre letture, canti e l’augurio finale di ritrovarsi per la successiva Pesach tutti insieme a Gerusalemme. Senza però aver scordato di assaggiare anche il Charoset, magari spalmato fra due fette di pane azzimo. È un denso impasto che a sua volta simboleggia la malta utilizzata dagli ebrei per costruire gli edifici del faraone e viene preparato tritando finemente e amalgamando fra loro datteri, mele, banane, frutta secca come noci o nocciole, pinoli e molti altri ingredienti, a seconda delle tradizioni locali e famigliari. Per il Charoset esistono mille e più ricette, come sono anche le sfaccettature della vita e della cultura ebraiche».

Centro Judaica: un nuovo ponte fra culture

l polo universitario di Lugano lo scorso 27 gennaio, in concomitanza con il Giorno della memoria che commemora l’Olocausto, si è arricchito di una nuova offerta culturale e di studio. In quella data è stata infatti sottoscritta ufficialmente una convenzione fra l’Università della Svizzera italiana, la Facoltà di teologia di Lugano e la Fondazione Goren Monti Ferrari per la creazione del nuovo Centro Judaica. L’accordo è stato firmato da Boas Erez, rettore dell’USI, René Roux, suo omologo della Facoltà di teologia, e Micaela Goren Monti, presidente della fondazione e che ci ha introdotti nella Pesach, la Pasqua ebraica.

René Roux, Micaela Goren Monti e Boas Erez (da sinistra) mentre firmano la convenzioneper la costituzione del Centro Judaica. © Tipress
René Roux, Micaela Goren Monti e Boas Erez (da sinistra) mentre firmano la convenzioneper la costituzione del Centro Judaica. © Tipress

Obiettivi e attività
«L’obiettivo principale del Centro Judaica Goren Monti Ferrari è di promuovere e favorire la ricerca e la didattica nell’ambito della cultura ebraica, tenendo in particolare considerazione il rapporto con il canton Ticino», spiega innanzitutto Micaela Goren Monti.

«Negli ultimi cinque anni la fondazione – prosegue Micaela Goren Monti – ha promosso, in collaborazione con l’USI e la Facoltà di teologia di Lugano, incontri con scrittori israeliani come Abraham Yehoshua, noto anche quale drammaturgo e accademico, e testimoni della Shoah come Liana Segre e le sorelle Bucci. Ha inoltre promosso il ciclo di conferenze “Eva e le altre”, dedicato all’approfondimento di argomenti quali la donna, la tradizione del cibo, la sessualità e il perdono nelle tradizioni ebraica, cristiana e islamica. La fondazione si è pure occupata di ebraismo e cristianesimo nell’età dei diritti umani, bioetica interculturale e dei Rotoli del Mar Morto, gli antichi manoscritti giudaici di contenuto religioso rinvenuti a cavallo della metà dello scorso secolo nelle Grotte di Qumran, nel deserto della Giudea. Reperti ai quali se ne sono aggiunti altri grazie alle scoperte fatte recentemente nella stessa area da una missione archeologica impegnata nella zona dal 2017 sotto l’egida dell’Autorità israeliana per le antichità».

Intendiamo consolidare la linea archeologica, filosofica e giuridica della cultura ebraica
Liliana Segre, testimone della Shoah, a Lugano nel 2018 a Lugano. © CdT/Archivio
Liliana Segre, testimone della Shoah, a Lugano nel 2018 a Lugano. © CdT/Archivio

Verso il futuro
E quali sono gli auspici per il futuro, per quel che riguarda la collaborazione fra Fondazione Goren Monti Ferrari, Università della Svizzera italiana e Facoltà di teologia di Lugano? «Con la fondazione del Centro Judaica intendiamo consolidare la linea archeologica, filosofica e giuridica della cultura ebraica, senza scordare di sviluppare quella letteraria e quella storico-sociologica relative a Shoah, diaspora, memoria e cittadinanza, coinvolgendo anche il territorio del canton Ticino, come peraltro è già stato fatto in passato. Un altro obiettivo per il futuro è di metterci in rete con le università svizzere e con i centri che la fondazione ha in Israele all’Università Ben Gurion del Negev nella città di Be’er Sheva e a quella di Tel Aviv, nonché negli Stati Uniti alla New York University».

Gli ebrei hanno saputo conservare la memoria della propria storia e identità

«Gli ebrei – afferma in conclusione Micaela Goren Monti – hanno vissuto per millenni in una situazione di diaspora, senza un proprio centro sociale e politico. Tuttavia, nonostante la mancanza di un territorio, una lingua e una organizzazione politica comune, hanno saputo conservare la memoria della propria storia e identità. Sono stati altresì in grado, non senza passare attraverso tragiche esperienze, di essere riconosciuti come cittadini a pieno titolo di Stati e entità politiche molto differenti. Centri di studio e approfondimento come quelli di Judaica sono quindi importanti per sottolineare e far conoscere tutti questi aspetti, mettendoli in relazione con i contesti storici, religiosi e sociali di tutte le culture in cui ci siamo inseriti e con le quali ci confrontiamo quotidianamente».

L'agricoltura detta i tempi

Orologio a Gerusalemme. © Shutterstock
Orologio a Gerusalemme. © Shutterstock

La festività
Pesach (museoebraico.it, portale dell’omonimo museo di Venezia) inizia il 15 del mese ebraico di Nissan, nella stagione in cui in terra d’Israele maturano i primi cereali. Segna quindi l’inizio del raccolto dei principali prodotti agricoli. In terra d’Israele Pesach dura 7 giorni, con il primo e l’ultimo che sono di festa solenne. Fuori da Israele, nella diaspora, la dispersione del popolo ebraico nel mondo, Pesach dura invece 8 giorni. La diversità della durata (comunitaebraicabologna.it) è dovuta al fatto che in tempi remoti non era facile far pervenire tempestivamente nella diaspora l’esatta data delle ricorrenze. Per evitare errori le si facevano perciò durare un giorno in più, come è ancora oggi. Nella diaspora, sempre per non cadere in errori e tenendo pure conto dei fusi orari nel mondo, i giorni di festa solenne sono i primi due e gli ultimi due.

Il calendario
Secondo la tradizione, il calendario ebraico parte dalla creazione del mondo che risale al 3760 prima dell’era cristiana (comunitaebraicabologna.it). Il 2021 d. C. corrisponde così al 5781. Il calendario ha una base sia lunare sia solare. Segue un anno lunare di 12 mesi di cui ognuno conta 29 o 30 giorni (354 in totale). Poiché le festività ebraiche seguono le stagioni agricole dell’anno solare (365 giorni) e devono cadere nella stagione giusta, bisogna colmare la differenza di 11 giorni tra l’anno lunare e l’anno solare. Si aggiunge così un tredicesimo mese 7 volte ogni 19 anni. I mesi del calendario ebraico portano nomi di origine babilonese: Nissan, Iyar, Sivan, Tammuz, Av, Elul, Tishrì, Cheshvan, Kislev, Tevet, Shevat e Adar. Il tredicesimo mese che viene aggiunto è Adar Sheni.

Due segnalazioni per chi ama leggere

Infarinatura
Di tradizioni, precetti religiosi, feste, letteratura, cibi, segreti e ricette da tutto il mondo legate alle tradizioni del popolo d’Israele si narra in Viaggio illustrato nella cucina ebraica (Nardini Editore) di Claudio Aita. È una lettura agile e gradevole, grazie anche alle belle foto che l’accompagnano.

Approfondimento
Per approfondire maggiormente i temi legati alla Pasqua ebraica vale invece una lettura il libro Haggadah – Il racconto della Pasqua (Einaudi) a cura di Elena Loewenthal. Sono in buon numero le pubblicazioni dedicate al mondo ebraico e alla sue tematiche dalla scrittrice e traduttrice italiana. Inserite il suo nome in Google.