Il caso

La Polizia torna a Gobbi, ma la polemica non si placa

La perplessità di PLR, Centro e PS dopo la decisione presa oggi durante la seduta del Governo: «Sarebbe stato meglio aspettare»
© CdT/Chiara Zocchetti
Martina Salvini
11.09.2024 19:15

La Polizia torna a Norman Gobbi. La decisione, presa oggi durante la seduta del Governo, «è stata adottata - scrive l’Esecutivo - dopo aver preso atto della chiusura dell’istruzione penale da parte del procuratore generale». E, soprattutto, «dopo aver consultato gli atti dell’incarto penale» sull’incidente stradale che ha visto coinvolto il direttore del DI nel novembre scorso. Proprio a seguito dell’apertura di un procedimento penale sull’incidente, a fine marzo Gobbi aveva annunciato di voler fare un passo indietro temporaneo. L’inchiesta giudiziaria, terminata a inizio giugno, è poi sfociata in due atti d’accusa per favoreggiamento nei confronti del sottoufficiale superiore di Gendarmeria di picchetto la sera dell’incidente e del capo gruppo in servizio quella notte. Nei confronti del consigliere di Stato, aveva invece chiarito il PG Andrea Pagani, «non è pendente alcun procedimento penale».

«Danno d’immagine»

Ora, a cinque mesi e mezzo dall’autosospensione, «la responsabilità politica della Polizia cantonale è affidata nuovamente a Norman Gobbi», ha fatto sapere il Governo. Il diretto interessato, da noi contattato per un commento, ha preferito rimandare al suo rappresentante legale, Renzo Galfetti. Il quale, a proposito della decisione dell’Esecutivo, fa notare che «sarebbe potuta arrivare anche prima». Ma, prosegue, «il Consiglio di Stato, per scrupolo e per prudenza, ha preferito visionare l’incarto ed esaminarlo a fondo, rilevando che non vi è alcuna possibile ipotesi negativa che riguarda Norman Gobbi. Di qui la decisione di accettare la revoca dell’autosospensione, già notificata al Governo dal consigliere di Stato Gobbi un paio di mesi fa». Sì, perché come ricorda l’avvocato Galfetti, «a seguito dei comunicati del procuratore generale che attestavano che contro Gobbi non vi era alcuna ipotesi di reato, il direttore del DI aveva revocato la sua sospensione». Tanto che, già in occasione della seduta di Gran Consiglio di metà giugno, il capo del DI aveva chiarito: «La mia autosospensione non è più tale. Spetta ora al Governo prendere l’ultima decisione». Come detto, però, l’Esecutivo ha preferito prendere tempo. «Per la verità - dice Galfetti - già i comunicati del PG avevano rimesso il campanile al centro del villaggio. In effetti, questo ‘‘caso’’ io l’ho definito fin dall’inizio semplice panna montata. Ora, finalmente, tutti concordano su questo aspetto e la panna è inacidita». Resta il fatto, secondo l’avvocato, che «Gobbi ha subito un danno di immagine: è stato vittima di calunnia e diffamazioni gravi», tanto che «ci sarebbero gli estremi per procedere contro chi ha diffuso false notizie». Tuttavia, «credo che l’onorevole Gobbi, per evitare di creare ulteriori polemiche, preferisca, da signore, soprassedere».

Un concetto ribadito pure dalla Lega dei ticinesi, che in un nota tuona: «Norman Gobbi è stato infangato ad oltranza, sul nulla, in quanto “ministro” leghista e coordinatore ad interim del movimento». E ancora: «L’intera vicenda non è altro che un cumulo di strumentalizzazioni interessate e di panna montata, priva di qualsiasi base reale. Il tempo è galantuomo e oggi i nodi vengono al pettine. Risulta confermata la malafede e la pochezza dei media e dei rappresentanti politici che hanno strumentalizzato e cavalcato l’incidente». Secondo il movimento di via Monte Boglia, inoltre, «l’ignobile pantomima sull’incidente stradale di novembre» è ora «chiusa definitivamente»: «Possiamo dunque ribadire che non esiste, né è mai esistito, alcun “caso Gobbi”. Esiste, per contro, un “caso Dadò”, un “caso MpS” e un “caso stampa di regime”».

«La questione non è chiusa»

Di tutt’altro avviso il presidente del Centro Fiorenzo Dadò che con la sua interrogazione aveva sollevato il caso. «A livello penale e politico, la questione non è affatto chiusa. Tanto è vero che sono stati rinviati a giudizio due poliziotti per favoreggiamento». Inoltre, fa presente, «in Gran Consiglio sono pendenti ancora molte domande». L’auspicio del presidente del Centro, dunque, «è che venga fatta massima chiarezza per un caso tutt’altro che limpido». Replicando alle parole dell’avvocato Galfetti, Dadò rileva invece che «un danno d’immagine c’è stato eccome, ma per le istituzioni, la Polizia e tutti i cittadini». E ancora: «Si cerca di attribuire colpe a chi solleva il coperchio del pentolone e non a chi ha cucinato la brodaglia. Quelli dell’avvocato sono nient’altro che metodi intimidatori nei confronti di politici e giornalisti che fanno il loro dovere. Peraltro, se fosse davvero solo panna montata, l’onorevole Gobbi non avrebbe bisogno di far parlare l’avvocato in sua vece».

Anche il presidente del PLR Alessandro Speziali solleva qualche perplessità. «Immagino che la decisione del Governo poggi su basi legali solide», premette. Ciononostante, «sul piano dell’opportunità sono rimasto molto sorpreso: il processo non è neppure iniziato e sono ancora pendenti gli atti parlamentari in Gran Consiglio. Dal momento che non si tratta solo di questioni legali ma ne va del rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni, ritengo che sarebbe stato più opportuno congelare qualunque decisione almeno fino alla conclusione del primo grado di giudizio». Insomma, sottolinea Speziali: «Mi sarei aspettato maggiore cautela».

«Ora si diano le risposte»

Opinione condivisa pure dal capogruppo del PS Ivo Durisch, secondo il quale «per una questione di opportunità si sarebbe potuto continuare con la sospensione fino alla fine del processo a carico dei due agenti». «La politica - gli fa eco il co-presidente del partito Fabrizio Sirica - è anche e soprattutto una questione di comportamenti. Ben venga che non ci sia nulla di penale a carico di Gobbi, ma allora che si dia finalmente anche una risposta alle interpellanze sul tavolo». Il caso che vede coinvolto il direttore del DI, conclude Sirica, «non è stato certo gonfiato, semmai il diretto interessato avrebbe dovuto adottare una comunicazione trasparente, che avrebbe anche evitato di alimentare i molti dubbi che ancora permangono».

In questo articolo: