Il reportage

La Polonia e i rifugiati ucraini, storia di accoglienza e mugugni

A Varsavia, tra i profughi della guerra – Oggi, nel Paese, il 3% dell’intera popolazione è di origine ucraina – Parte dell’opinione pubblica interna, a fronte di questi numeri, non ritiene più sostenibile continuare a supportare a fondo perduto i nuovi arrivi
© EPA/ALBERT ZAWADA
Mauro Mondello
09.01.2023 06:00

Gran parte dei 7 milioni di profughi ucraini è stata accolta in territorio polacco. Oggi, nel Paese, il 3% dell’intera popolazione è di origine ucraina. Parte dell’opinione pubblica interna, a fronte di questi numeri, non ritiene più sostenibile continuare a supportare a fondo perduto i nuovi arrivi.

Grochow, sulla riva destra della Vistula, è uno dei quartieri residenziali storici di Varsavia. Ai lati del viale Aleja Stanów Zjednoczonych, sei corsie lungo cui corrono senza sosta gli autobus avanti e indietro dal cuore della capitale polacca, si stagliano i profili degli enormi palazzoni d’epoca sovieti-ca, decine di piani grigi e appartamenti dai soffitti bassi costruiti dopo la Seconda guerra mondiale, che oggi formano una delle aree più popolate della città.

La sensazione di famiglia

È anche in questi edifici che hanno trovato alloggio tanti dei rifugiati ucraini in fuga dalla guerra, soprattutto donne con bambini decise a lasciare le sistemazioni di fortuna delle prime settimane e a costruire una routine quotidiana via via più consuetudinaria. «Siamo scappati il 14 marzo del 2022, fra qualche mese sarà un anno», racconta Olena Kotovska, trentaduenne che ha lasciato la sua casa e la sua attività, un negozio di fiori, in-sieme ai suoi bambini di due, cinque e otto anni. Viene da Makiivka, uno dei centri più importanti nell’oblast orientale di Donetsk, lo stesso luogo nel quale l’esercito ucraino ha colpito, con un attacco missilistico portato con i lanciarazzi di fabbricazione statunitense Himars, una base russa, provocando, secondo fonti di Mosca, almeno settanta morti. «Mio marito lo sento quando posso, per il Natale ortodosso (lo scorso sabato, ndr) abbiamo fissato una chiamata per pranzo, così abbiamo fatto finta di mangiare insieme. Non è molto, ma per i bambini è fondamentale, anche per non perdere la sensazione di famiglia, l’idea che il padre sia andato via per sempre: glielo ripetiamo sempre, che fra qualche mese torna».

Contribuire alle spese

La grande maggioranza di profughi ucraini, oltre sette milioni dall’inizio della guerra, è composta da donne e bambini. Più di un milione e mezzo è stato accolto in territorio polacco, e Varsavia, secondo i dati resi noti dal sindaco Rafał Trzaskowski, ospita circa 150.000 rifugiati ucraini, il numero più alto, fra le città polacche: oggi il 3% dell’intera popolazione della Polonia è di origine ucraina. Anche in seguito a questi numeri eccezionali e per rispondere ai mugugni di parte dell’opinione pubblica interna, che non ritiene più sostenibile continuare a supportare a fondo perduto i nuovi arrivi dall’Ucraina, l’esecutivo polacco ha deciso di approntare un provvedimento che dal 1. marzo 2023 richiederà ai cittadini ucraini di contribuire alle spese di vitto e alloggio forniti dalle istituzioni. I profughi alloggiati in strutture finanziate dal governo dovranno contribuire al 50% dei costi oltre i 120 giorni di permanenza, e al 75% oltre i 180 giorni. Resteranno comunque esentate le donne incinta e gli anziani.

Trovare casa è difficile

«Dopo alcuni messi passati a ospitare gratuitamente diverse famiglie, ho deciso di affittare la mia casa - spiega Marta Olowska, fotografa polacca di quarantacinque anni che ha seguito anche come fotoreporter l’invasione russa d’Ucraina -. Lo so che sembra quasi crudele, come se io mi voglia arricchire sulle spalle di povera gente, ma in realtà è stato meglio così per tutti. Io me ne sono andata nel mio appartamento in campagna, mentre le due signore che ho ospitato, insieme ai loro due figli, fino a luglio, e che oggi hanno un lavoro regolare, con i bambini che vanno a scuola, possono vivere serenamente, senza sentirsi costantemente in debito, senza avere la sensazione di essere di troppo. Oggi trovare un appartamento a Varsavia è diventato impossibile e non è nemmeno una questione di soldi - continua Marta -, semplicemente non c’è disponibilità. Con lo scoppio della guerra e l’esponenziale aumento della popolazione, nel giro di pochi mesi la città è letteralmente impazzita». Affittare un monolocale, in un quartiere periferico della capitale polacca, oggi può costare fino a 5.000 zloty, circa 1.000 franchi, una cifra di oltre il 50% più alta rispetto al gennaio 2022 e che è molto alta anche in relazione agli stipendi medi del Paese.

La pressione sale

La pressione sulla Polonia, in questo modo, è in continuo aumento, sia dal punto di vista economico che sotto il profilo umanitario. Olga, Alina, Darya, Olesia, non avrebbero ad esempio mai immaginato, appena un anno fa, di passare insieme, in un altro Paese, le festività natalizie. Sono originarie di Horlivka, Kramatorsk, Poltava e Nikopol, città dell’Est ucraino più profondo e industriale, oggi abbandonate, dopo l’inizio dell’invasione russa. Si sono conosciute al centro di aiuto umanitario PTAK, il grande hub di assistenza per i rifugiati ucraini che il governo polacco ha allestito nei 150.000 metri quadri dell’Expo di Varsavia e nel quale si trovano, oltre ai diversi servizi educativi, alla mensa popolare, all’ufficio di orientamento al lavoro, anche gli enormi capannoni che dallo scorso aprile ad oggi hanno alloggiato più di settantacinquemila persone e nel quale vivono ancora cinquemila sfollati.

Dopo mesi di ricerca le quattro donne, che oggi lavorano (due in una lavanderia di Śródmieście, nel centro di Varsavia, un’altra come interprete, un’altra ancora come cameriera al caffè Jaiko, nel quartiere residenziale di Mokotow), sono riuscite ad affittare un piccolo appartamento, due stanze doppie e una cucina con soggiorno, fra i palazzoni popolari di Pruszków, nella periferia profonda della capitale polacca. Quest’anno hanno festeggiato il Natale due volte. La prima, lo scorso 25 dicembre, hanno organizzato un pranzo in casa con altre amiche ucraine conosciute al centro. La seconda, il 7 gennaio, secondo il calendario giuliano della Chiesa ortodossa, sono rimaste insieme in un risto-rante del centro, dopo la Messa solenne. «Sono felice di essere qui», spiega Olga, 29 anni, che ha lasciato in Ucraina, a combattere, il marito, appena sei mesi dopo essersi sposati. «Mi sento al sicuro, riesco persino a immaginare di nuovo il futuro. Ma è solo per ora: io voglio rientrare in Ucraina, a casa mia, festeggiare il Natale a Kramatorsk con mio marito, i miei amici e il resto della mia famiglia, oggi sparsa ovunque in Europa: tornare a casa per me, per tutte noi, è la cosa più importante».

Non volevo partire

«L’Ucraina deve vincere, tutto deve tornare com’era prima nel 2014, non ci sono altre opzioni. La Russia deve abbandonare il nostro territorio, compresa la Crimea, e accettare la sconfitta», dice Mykola, 83 anni, uno dei pochi uomini che si intravedono nel centro umanitario di PTAK, esentato dal divieto di espatrio imposto dalle autorità ucraine in quanto ritenuto inabile, per età e condizioni fisiche, a prestare servizio militare come riservista. «Quest’anno non c’è stato Natale, né Capodanno, non ci sarà nulla per me. Cosa dovrei festeggiare? La mia casa, a Izyum, è stata completamente distrutta dai bombardamenti. Sono dovuto scappare, alla mia età, dal posto nel quale sono nato, io che nella mia vita non ero andato mai da nessuna parte, al massimo ero arrivato a Charkiv, e già mi sembrava un viaggio infinito. Eppure io non me ne volevo andare. Mi ha costretto mia figlia, dicendomi che i miei nipoti già erano costretti a lasciare il padre, non potevano rinunciare anche al nonno. Non ho potuto dire di no».

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