La rivoluzione invisibile delle unità di misura
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Il 20 maggio scorso si è celebrata la Giornata Mondiale della Metrologia, la scienza che si occupa di studiare e realizzare i sistemi di misura. Quattro delle sette unità fondamentali verranno profondamente ridefinite attraverso la più grande rivoluzione del sistema metrico sin dalla sua creazione. Paradossalmente la grandezza di questo rinnovamento consiste proprio nel fatto che nulla cambierà. Ma di cosa stiamo parlando?
Il chilogrammo, il metro e il secondo fanno parte del linguaggio comune, eppure non è banale capire quale sia il loro reale significato. Da una parte le unità di misura non sono altro che convenzioni, dall’altra trovarne una definizione pratica, accurata ed affidabile è tutt’altro che facile.
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Inizialmente l’uomo utilizzava le parti del proprio corpo per stabilire i pesi e le misure, ma con l’avanzare della civiltà è sorta la necessità di avere parametri più stabili, che non cambiassero col tempo e fossero accessibili a tutti. Gli antichi egizi furono tra i primi a cimentarsi in questa impresa, adottando per le distanze il cubito, di lunghezza pari all’avambraccio del faraone. Il cubito fu riprodotto in barre di granito della medesima dimensione e distribuito alla popolazione, creando quello che oggi chiameremmo un «etalon», o in italiano «campione».
La svolta
Il grande passo avanti nel mondo della metrologia avvenne nel Diciottesimo secolo durante la rivoluzione francese. Appellandosi a rigorosi principi logici, gli scienziati francesi cercarono di creare un sistema di misure che fosse «per tutti i tempi, per tutte le persone». Così convennero che un secondo corrispondesse ad 1/86400 della durata del giorno, un chilogrammo alla massa ad un litro di acqua e un metro at 1 parte su 10 milioni della distanza dal Polo Nord all’equatore. Queste ultime due grandezze vennero concretizzate in due manufatti in platino prudentemente custoditi nell’Ufficio Internazionale dei Pesi e delle Misure di Parigi, in modo tale che chiunque potesse calibrare i propri strumenti di misura con semplicità.
L’idea egualitaria piacque molto alla comunità scientifica internazionale, così un secolo dopo, il 20 maggio 1875, 14 nazioni firmarono una convenzione che sancì l’inizio ufficiale del sistema metrico, lo stesso che utilizziamo ancora oggi. In quella sede si stabilì che un chilogrammo e un metro equivalessero ufficialmente agli artefatti parigini, condividendo anche la definizione del secondo per scandire il tempo. Ognuno dei Paesi membri, tra i quali la Svizzera, ricevette una copia dei campioni. In questo senso le unità di misura sono come un linguaggio internazionale, che permette a tutti di comunicare in modo univoco. Per assicurarsi che non ci siano ambiguità ed errori sono stati creati istituti nazionali di metrologia in ogni Paese e ognuno di loro si assicura che entro i propri confini si rispetti la convenzione di Parigi.
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Le costanti universali
Ma i tempi cambiano. La definizione delle unità basata sugli artefatti mal si sposa con la forte spinta per degli strumenti di misura più precisi imposta dalle nanotecnologie e dalla meccanica di alta precisione. Negli ultimi decenni questa necessità ha portato la comunità metrologica mondiale a ripensare la definizione del chilogrammo e di altre tre unità di base: il Kelvin, l’Ampère e la mole (vedi riquadro a lato). L’obiettivo era trovare un metodo uguale per tutti, disponibile a chiunque in qualunque momento e non soggetto a variazioni nel tempo. Affidarsi a degli oggetti, infatti, non assicura né stabilità né precisione, perché sono inevitabilmente soggetti a logoramenti e variazioni imprevedibili.
La soluzione risiede in un sottile artifizio teorico: l’uso delle costanti universali. Queste ultime sono dei numeri che connettono tra loro grandezze fisiche e non dipendono dal sistema utilizzato, dalla posizione geografica, dalle condizioni atmosferiche o da chi sta effettuando la misura. L’idea era stata già testata con grande successo per il metro nel 1965, l’anno a partire dal quale esso corrisponde alla distanza percorsa dalla luce nel vuoto in una determinata frazione di secondo. La teoria della relatività, infatti, ci assicura che la velocità della luce è una costante universale. A partire da oggi, il chilogrammo sarà basato sulla costante di Planck, un valore che in meccanica quantistica permette di convertire la frequenza di oscillazione della luce in energia, scoperta, peraltro, che valse ad Einstein in suo premio Nobel. Grazie a questa innovazione ora possiamo determinare la massa di un oggetto con una incertezza equivalente allo spessore di un singolo foglio di carta su una pila alta 10 chilometri.
Le applicazioni concrete
Contrariamente a quello che potrebbe sembrare, queste ridefinizioni non sono vezzi teorici, ma concreti precursori dei progressi tecnici e scientifici. Quando è stato inventato il primo orologio atomico nel 1955 si è potuto sincronizzare due apparecchi elettronici con una precisione impensabile prima. All’epoca nessuno aveva in mente applicazioni concrete, ma nel 1973 è stato sviluppato il sistema di localizzazione GPS, quotidianamente utilizzato dai nostri smartphone, il cui meccanismo di funzionamento si basa principalmente sull’orario precisissimo fornito degli orologi atomici.
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La precisione e l’universalità delle misure tocca le nostre vite quotidiane ad esempio in campo medico. Quando si somministrano medicamenti negli ospedali una goccia in più o in meno può fare la differenza tra una terapia efficace e un sovraddosaggio letale. Allo stesso tempo è importante che ci siano dei confronti internazionali, infatti spesso i farmaci sono sviluppati in altri Paesi e i dosaggi sono testati e perfezionati all’estero. Diventa quindi fondamentale che la quantità indicata dagli scienziati stranieri sia esattamente la stessa somministrata dai nostri medici e non ci si può permettere nemmeno il più piccolo errore.
Definendo le unità di misura sulla base di valori indipendenti dall’apparato sperimentale, i metrologi hanno le mani libere da catene metodologiche e possono sviluppare nuovi sistemi per calibrare i pesi e le misure. In questo modo non ci saranno più limiti all’accuratezza che si potrà raggiungere e possiamo solo immaginare i frutti tecnologici di questa lungimirante rivoluzione.
L’INTERVISTA A BEAT JECKELMANN: RESTIAMO AL PASSO COI TEMPI
La riformulazione delle unità di misura fondamentali coinvolgerà da vicino il METAS, l’istituto di metrologia svizzero. Il suo direttore della ricerca, Beat Jeckelmann (nella foto sotto), ci spiega in che modo.
Qual è il ruolo del METAS?
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«Abbiamo tre compiti principali. Il primo è comparare gli standard di misura svizzeri con quelli degli altri Paesi. È l’unico modo per assicurarci di avere il giusto valore delle unità. Poi ci rivolgiamo alle industrie, offrendo servizi di calibrazione e certificazione degli strumenti. Infine siamo responsabili di monitorare il rispetto dei vincoli legali di alcuni strumenti di misurazione. Ad esempio, quando pesiamo la frutta e la verdura al supermercato vogliamo pagare il giusto prezzo per la merce che stiamo acquistando. E alla pompa del carburante vogliamo che la quantità di liquido riportata sia quella effettivamente erogata. Le verifiche dirette sul territorio sono effettuate dall’ufficio di verificazione cantonale, ma il METAS si assume la responsabilità dei controlli».
Chi ha bisogno di calibrare gli strumenti di misura con tanta precisione?
«In primo luogo i ricercatori: l’innovazione scientifica e tecnologica è possibile solo se si può misurare qualcosa meglio di quanto si facesse in precedenza. Poi ci sono le applicazioni industriali. Ad esempio nella produzione decentralizzata di un’automobile: i vari componenti sono assemblati in decine di fabbriche diverse sparse per il mondo e i margini di errore sono ridottissimi. Non c’è spazio per misure grossolane e i progettisti devono essere sicuri che tutti i componenti combaceranno alla perfezione quando saranno assemblati».
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Quali sono le vostre sfide maggiori?
«Restare al passo coi tempi in tutti i settori. In passato la metrologia interessava solo campi classici come la fisica, oggi invece dobbiamo occuparci anche di realtà come biologia o medicina».
In che senso?
«In queste discipline c’è un grosso problema di tracciabilità e riproducibilità degli esperimenti. Ci sono moltissime condizioni che possono variare e non sempre è possibile ricondurre i loro risultati a delle unità di misura standard e condivise da tutti. Questo porta a incomprensioni tra gli studi condotti in diverse nazioni: se si usano metodi differenti i risultati non sono comparabili. Per questo è necessario stabilire degli accordi. Se torniamo all’esempio della medicina capita spesso che ogni azienda produttrice delle apparecchiature utilizzi dei metodi di misura diversi dalle altre. Quando si fanno delle analisi del sangue il risultato può variare in base al macchinario utilizzato, ma questo non dovrebbe accadere e può portare a gravi incomprensioni. Stiamo facendo un grande sforzo per cercare di convincere tutte le comunità scientifiche dell’importanza di unità di misura universali».
Il 20 maggio quattro unità sono state profondamente mutate, quali saranno i cambiamenti?
«Nell’immediato non c’è stato alcun cambiamento ed è questa la parte difficile da comunicare. È una rivoluzione, ma non succederà nulla sul piano pratico. L’idea è che si cambia la definizione, ma le unità restano le medesime. Abbiamo posto le basi per diventare molto più accurati in futuro e la bellezza di queste definizioni sta proprio qui. Se qualcuno domani inventasse un metodo migliore per misurare la temperatura, noi metrologi potremmo adottarlo liberamente senza dover toccare la definizione. Inoltre le nuove formulazioni sono anche stabili nel tempo. Se misuri la massa di un oggetto oggi e fra trent’anni vuoi che un’eventuale variazione sia dovuta ad un cambiamento dell’oggetto e non della tua unità di misura».
Dopo molti tentativi abbiamo raggiunto delle definizioni durature?
«Sicuramente le definizioni entrate in vigore il 20 maggio 2019 sono le più lungimiranti di sempre. L’ultima unità che dobbiamo ripensare è il secondo, che attualmente è legata ad un atomo specifico, il cesio. Questo pone delle limitazioni all’accuratezza dei nostri orologi atomici. Probabilmente entro una decina di anni saremo pronti per legare anche il secondo ad una costante fondamentale».