Il caso

La seconda vita del cubo di Rubik

Il rompicapo simbolo degli anni Ottanta ha per decenni continuato ad avere successo, ma soltanto da poco è tornato di grandissima moda. Calciatori, influencer, nostalgici e giovanissimi: fra le centinaia di milioni di appassionati c’è di tutto
© Shutterstock
Stefano Olivari
10.01.2023 13:30

Il Natale appena passato ha dimostrato che il cubo di Rubik, uno degli oggetti simbolo degli anni Ottanta, gode di ottima salute: presente in tantissime vetrine, di cartolerie e negozi di giocattoli, è stato fra i regali più scelti per ragazzini presunti intelligenti e per adulti nostalgici e a 45 anni dalla sua nascita rimane saldamente il giocattolo più venduto della storia, con 400 milioni di pezzi ufficialmente venduti ed il miliardo toccato con le imitazioni. Come si spiega questo successo trasversale, cavalcato anche da calciatori ed influencer?

Scarpa

Uno dei video più cliccati delle ultime settimane è quello con Gustavo Scarpa ripreso mentre completa il cubo di Rubik, impresa che lui riesce a compiere in 34 secondi. Il centrocampista brasiliano, appena ingaggiato dal Nottingham Forest dopo una buonissima carriera in patria (fra le altre cose ha vinto due coppe Libertadores con il Palmeiras), è pieno di interessi ed il meno da calciatore sembra proprio il cubo di Rubik, per cui ha una passione smodata: a provarlo anche il fatto che il Palmeiras negli ultimi anni abbia messo in vendita cubi di Rubik con i colori sociali. Peraltro tanti club calcistici negli ultimi tempi hanno nel loro merchandising ufficiale un cubo di Rubik personalizzato, su tutti il Manchester City che nel 2015 per lanciarlo organizzò una sfida fra David Silva, Mangala e Zabaleta: vinse David Silva, con un tempo di poco superiore ai 25 secondi. Negli anni Ottanta quasi sarebbe stato campione del mondo…

Record

Per risolvere il cubo di Rubik bisogna essere più intelligenti della media? Discussione che dura da decenni, in ogni caso per arrivare all’obbiettivo di completare le sei facce con nove quadrati dello stesso colore ci sono schemi che può imparare chiunque. Il superclassico metodo a strati, quello che per tutti è stato l’entry level, prevede il completamento della prima faccia, la preparazione delle quattro facce laterali e poi la rifinitura in base al alcuni (i principali sono quattro) algoritmi. Tutto memorizzabile da una persona normale, ma anche lungo da eseguire e per questo gli speedcuber, cioè i partecipanti alle gare di velocità, seguono altre strade. Il record mondiale di velocità è di 3 secondi e 47 centesimi, stabilito dal cinese Yusheng Du nel 2018, ed il dibattito fra matematici sul numero massimo di mosse per completare il cubo, in qualsiasi condizione di partenza lo si trovi, ha trovato dopo decenni una sintesi nel numero di 20.

Carolina la professionista

Per trovare professionisti dello speedcubing non è necessario andare negli Stati Uniti, ce ne sono anche di vicini a noi. Fra i più noti in Europa c’è Carolina Guidetti, che non vive di tornei ma di tutto l’indotto: la ventiquattrenne di Crevalcore, provincia di Bologna, ha 77.800 follower su Instagram, 77.200 iscritti al suo canale YouTube ma soprattutto quasi un milione su TikTok, la pubblicità non le manca e da mesi si sta dedicando a tempo pieno al Cubo di Rubik, anche come organizzatrice di gare. Lei è brava nel cubo di Rubik classico, il 3x3 (ha una media intorno ai 10 secondi), e bravissima nel 5x5, specialità in cui nel 2022 era il dodicesimo in Italia contando anche i maschi, oltre che la prima donna.

Nerd

Nonostante luminose eccezioni come la Guidetti, il cubo di Rubik rimane un passatempo da nerd maschio, come dimostrano il sesso prevalente degli spettatori ai tornei e i più grandi campioni a livello internazionali: il già citato Du Yusheng, il ventunenne americano Max Park specialista nelle risoluzioni con una mano sola, il mito australiano Feliks Zemdegs che è un personaggio già storicizzato anche se ha soltanto 27 anni. Esiste anche una federazione interazionale, la WCA (World Cube Association), che organizza i tornei delle mille sottospecialità oltre che del 3x3. I prossimi Mondiale saranno in agosto a Seul e fa impressione notare che i campioni degli anni Ottanta viaggiavano sui 20 secondi mentre la media del campione mondiale in carica, il tedesco Philipp Weyer, è inferiore ai 7 secondi. Si parla di medie perché ovviamente per i tempi sono decisive le diverse condizioni di partenza e quindi il risultato viene determinato da più prove, di solito tre.

Reale contro virtuale

Il successo dell’invenzione del professore di architettura ungherese Erno Rubik, in vendita dal 1977 con il nome di Magic Cube e soltanto 3 anni più tardi come Cubo di Rubik, fu immediato soprattutto in Occidente, con i libri che insegnavano a risolvere il rompicapo sempre in testa alle classifiche: nel solo 1981 Soluzione semplice al Cubo di Rubik, di James G. Nourse, vendette 6 milioni di copie. Infiniti gli usi del cubo nell’arte e nelle cultura popolare: film, video musicali, videogiochi, manga, canzoni. Addirittura esiste un museo dedicato soltanto al Cubo di Rubik, nel New Jersey. Ma il grande ritorno a cui stiamo assistendo ha forse radici più profonde rispetto a quelle di un normale passatempo generazionale: il cubo di Rubik è infatti diventato il simbolo del gioco, e metaforicamente della vita, reali contro il virtuale. Risolverlo al computer è possibile ma è senza senso, non dà alcuna soddisfazione nemmeno con la grafica più evoluta. Il Cubo di Rubik non ha sceneggiatura, non ha storia scritta da altri, non ha trucchi né potrebbe averne. E chi se lo porta in giro ha la sensazione di far parte di un club esclusivo. È per molti ma non per tutti perché non occorre un’intelligenza da Nobel, ma tante qualità che messe insieme sono più rare dell’intelligenza: perserveranza, concentrazione, manualità, memoria visiva, equilibrio. Nel sito ufficiale si sostiene che il Cubo può essere risolto dal 5,8% della popolazione mondiale, ma è una percentuale molto ottimista, come gli anni Ottanta che a ondate ritornano.