L'intervista

La Svizzera multilaterale e il senso di eccezionalità

Il nostro Paese, chiamato a conciliare neutralità e sicurezza collettiva, invoca per sé un trattamento speciale – Ma ne ha veramente diritto? Ne discutiamo con lo storico Sacha Zala che domenica 13 aprile sarà ospite al festival «Echi di Storia»
©MARTIAL TREZZINI
Maurizio Binaghi
09.04.2025 06:00

Il dibattito attuale sulla neutralità e sul grado di integrazione del Paese nel sistema multilaterale trae le sue origini nella seconda metà del XIX secolo, quando la Confederazione diventa il centro dell’internazionalismo liberale. Le due guerre mondiali cambiano le carte in tavola.

La Svizzera, chiamata a conciliare neutralità e sicurezza collettiva, invoca per sé un trattamento speciale. Ma ne ha veramente diritto? Ne discutiamo con lo storico Sacha Zala che domenica 13 aprile proporrà al festival «Echi di Storia» un intervento dal titolo «La Svizzera tra costruzione e crisi del multilateralismo: quale margine di manovra per la neutralità elvetica?».

Professor Zala, come nasce il rapporto tra Svizzera e multilateralismo? È vero che un ruolo lo giocano le grandi esposizioni universali?
«Nella seconda metà del XIX secolo prende forma un nuovo processo multilaterale che rappresenta una svolta rispetto all’ordine precedente, noto come “concerto europeo”, un sistema di potere dominato da cinque grandi che determinano l’assetto geopolitico del continente. In quel contesto, la Svizzera – repubblicana e neutrale – è vista come un’eccezione, quasi un errore storico, e non ha voce in capitolo nelle decisioni internazionali. La sua esistenza è garantita solo perché le potenze ne hanno riconosciuto la sovranità, per tutelare i propri interessi. Un momento di svolta si verifica nel 1851, con la prima Esposizione Universale a Londra. Questi eventi, pur rappresentando l’apoteosi del nazionalismo (ogni Paese desidera mettere in mostra i propri progressi e traguardi), danno anche impulso a una nuova forma di collaborazione tra Stati. Attorno alle esposizioni nascono le prime conferenze internazionali su temi molto diversi, dalla scienza alla comunicazione. Queste conferenze vedono la partecipazione di delegati nominati dagli Stati, che fungono da rappresentanti ufficiali. Con il tempo, la frequenza e la complessità crescente di questi incontri porta alla necessità di creare uffici permanenti per gestirli: è così che nascono le prime vere e proprie organizzazioni internazionali. Questo internazionalismo liberale dell’Ottocento è particolarmente sostenuto dalla Svizzera, che ospita molte delle conferenze e dei primi uffici permanenti. Berna è la prima capitale dell’internazionalismo elvetico, mentre Ginevra lo diventerà in seguito».

Nella seconda metà del XIX secolo questo cosiddetto internazionalismo liberale influenza anche il modo con cui gli Stati interagiscono tra loro?
«L’intero funzionamento del sistema internazionale muta d’aspetto, passando da una politica dettata dalle Potenze a una determinata soprattutto da ampi incontri multilaterali. Nasce l’epoca dei  congressi. La Svizzera, pur essendo uno Stato neutrale, ha un forte interesse a parteciparvi. Da un lato, teme che il proprio status di neutralità, riconosciuto nel 1815 al Congresso di Vienna, possa essere messo in discussione; per questo promuove la codificazione dei diritti e doveri degli Stati neutrali, come avverrà alla conferenza dell’Aja del 1907 con l’adozione di una specifica convenzione. Dall’altro lato, la Confederazione riconosce in questo nuovo scenario un’opportunità per espandere il proprio raggio d’azione. Nonostante le riserve legate alla sua neutralità, la Svizzera si afferma come uno degli attori più attivi del nuovo internazionalismo liberale. Attraverso l’impegno diretto dello Stato e il contributo di importanti giuristi svizzeri, viene codificata una parte significativa del diritto internazionale. Ciò pone le basi per politiche di mediazione e consolida il ruolo della Svizzera nei dibattiti sull’arbitrato internazionale».

La Prima guerra mondiale mette bruscamente fine alla via arbitrale per la risoluzione dei conflitti. Con la creazione della Società delle Nazioni, nel 1919, la questione del rapporto tra neutralità e multilateralismo viene al pettine.
«Va ricordato che la neutralità nel XIX secolo è probabilmente lo status più comune. Nel 1919, però, si concretizza il concetto di sicurezza collettiva garantita da un’organizzazione multilaterale come la Società delle Nazioni (SdN). La neutralità diventa incompatibile con l’idea di un sistema di sicurezza collettiva. Se un membro della Società è attaccato, tutti gli altri membri sono ipso facto in guerra con l’aggressore. E se tutti i Paesi si uniscono alla SdN, diventa impossibile farsi la guerra l’un l’altro. In teoria, non è quindi possibile essere neutrali e far parte di questo sistema, mentre nella realtà politica ciò è perfettamente possibile».

Come risolve la Svizzera questa contraddizione?
«Nel 1920 il Consiglio della Società delle Nazioni riconosce alla Svizzera uno statuto speciale. Per evitare un possibile rifiuto popolare all’adesione, le è concessa un’eccezione: pur facendo parte della Società, non è obbligata a partecipare alle sanzioni militari. In questo modo, la Confederazione gode della protezione offerta dalla sicurezza collettiva senza sostenerne i costi militari. Per giustificare questa posizione agli occhi degli altri Stati neutrali, si enfatizza la lunga tradizione elvetica di neutralità. Il giurista Max Huber sostiene che la neutralità non impedisce la partecipazione a sanzioni economiche, ma esclude quelle militari, rendendo compatibile la neutralità con la collaborazione alla sicurezza collettiva».

Nel 1945, però, questa eccezione non è più accettata dagli Stati Uniti e dall’Organizzazione delle Nazioni Unite.
«L’ONU nasce come una continuazione della coalizione di guerra. La questione della neutralità neppure è messa sul piatto e non è stata mai veramente codificata. Quando il consigliere federale Max Petitpierre chiede di mantenere l’eccezione svizzera, il presidente dell’Assemblea generale dell’ONU dichiara inaccettabile tale proposta. Per la Svizzera è uno smacco cocente, che ha pesato per decenni. La Dichiarazione di Londra del 1920, inizialmente un successo diplomatico, si trasforma col tempo in un ostacolo: la Svizzera continua a considerarsi un’eccezione in virtù della sua neutralità e insiste per un trattamento particolare che il nuovo ordine internazionale non è più disposto a concedere, né nel 1945, né soprattutto oggi».