La Svizzera multilaterale e il senso di eccezionalità

Il dibattito attuale sulla neutralità e sul grado di integrazione del Paese nel sistema multilaterale trae le sue origini nella seconda metà del XIX secolo, quando la Confederazione diventa il centro dell’internazionalismo liberale. Le due guerre mondiali cambiano le carte in tavola.
La Svizzera, chiamata a conciliare neutralità e sicurezza collettiva, invoca per sé un trattamento speciale. Ma ne ha veramente diritto? Ne discutiamo con lo storico Sacha Zala che domenica 13 aprile proporrà al festival «Echi di Storia» un intervento dal titolo «La Svizzera tra costruzione e crisi del multilateralismo: quale margine di manovra per la neutralità elvetica?».
Professor
Zala, come nasce il rapporto tra Svizzera e multilateralismo? È vero che un
ruolo lo giocano le grandi esposizioni universali?
«Nella seconda
metà del XIX secolo prende forma un nuovo processo multilaterale che
rappresenta una svolta rispetto all’ordine precedente, noto come “concerto
europeo”, un sistema di potere dominato da cinque grandi che determinano
l’assetto geopolitico del continente. In quel contesto, la Svizzera –
repubblicana e neutrale – è vista come un’eccezione, quasi un errore storico, e
non ha voce in capitolo nelle decisioni internazionali. La sua esistenza è
garantita solo perché le potenze ne hanno riconosciuto la sovranità, per
tutelare i propri interessi. Un momento di svolta si verifica nel 1851, con la
prima Esposizione Universale a Londra. Questi eventi, pur rappresentando
l’apoteosi del nazionalismo (ogni Paese desidera mettere in mostra i propri
progressi e traguardi), danno anche impulso a una nuova forma di collaborazione
tra Stati. Attorno alle esposizioni nascono le prime conferenze internazionali
su temi molto diversi, dalla scienza alla comunicazione. Queste conferenze
vedono la partecipazione di delegati nominati dagli Stati, che fungono da
rappresentanti ufficiali. Con il tempo, la frequenza e la complessità crescente
di questi incontri porta alla necessità di creare uffici permanenti per
gestirli: è così che nascono le prime vere e proprie organizzazioni
internazionali. Questo internazionalismo liberale dell’Ottocento è
particolarmente sostenuto dalla Svizzera, che ospita molte delle conferenze e
dei primi uffici permanenti. Berna è la prima capitale dell’internazionalismo
elvetico, mentre Ginevra lo diventerà in seguito».
Nella seconda
metà del XIX secolo questo cosiddetto internazionalismo liberale influenza
anche il modo con cui gli Stati interagiscono tra loro?
«L’intero
funzionamento del sistema internazionale muta d’aspetto, passando da una
politica dettata dalle Potenze a una determinata soprattutto da ampi incontri
multilaterali. Nasce l’epoca dei
congressi. La Svizzera, pur essendo uno Stato neutrale, ha un forte
interesse a parteciparvi. Da un lato, teme che il proprio status di neutralità,
riconosciuto nel 1815 al Congresso di Vienna, possa essere messo in
discussione; per questo promuove la codificazione dei diritti e doveri degli
Stati neutrali, come avverrà alla conferenza dell’Aja del 1907 con l’adozione di
una specifica convenzione. Dall’altro lato, la Confederazione riconosce in
questo nuovo scenario un’opportunità per espandere il proprio raggio d’azione.
Nonostante le riserve legate alla sua neutralità, la Svizzera si afferma come
uno degli attori più attivi del nuovo internazionalismo liberale. Attraverso
l’impegno diretto dello Stato e il contributo di importanti giuristi svizzeri,
viene codificata una parte significativa del diritto internazionale. Ciò pone
le basi per politiche di mediazione e consolida il ruolo della Svizzera nei
dibattiti sull’arbitrato internazionale».
La Prima
guerra mondiale mette bruscamente fine alla via arbitrale per la risoluzione
dei conflitti. Con la creazione della Società delle Nazioni, nel 1919, la
questione del rapporto tra neutralità e multilateralismo viene al pettine.
«Va ricordato
che la neutralità nel XIX secolo è probabilmente lo status più comune. Nel
1919, però, si concretizza il concetto di sicurezza collettiva garantita da
un’organizzazione multilaterale come la Società delle Nazioni (SdN). La
neutralità diventa incompatibile con l’idea di un sistema di sicurezza
collettiva. Se un membro della Società è attaccato, tutti gli altri membri sono
ipso facto in guerra con l’aggressore. E se tutti i Paesi si uniscono alla SdN,
diventa impossibile farsi la guerra l’un l’altro. In teoria, non è quindi
possibile essere neutrali e far parte di questo sistema, mentre nella realtà
politica ciò è perfettamente possibile».
Come risolve
la Svizzera questa contraddizione?
«Nel 1920 il
Consiglio della Società delle Nazioni riconosce alla Svizzera uno statuto
speciale. Per evitare un possibile rifiuto popolare all’adesione, le è concessa
un’eccezione: pur facendo parte della Società, non è obbligata a partecipare
alle sanzioni militari. In questo modo, la Confederazione gode della protezione
offerta dalla sicurezza collettiva senza sostenerne i costi militari. Per
giustificare questa posizione agli occhi degli altri Stati neutrali, si
enfatizza la lunga tradizione elvetica di neutralità. Il giurista Max Huber
sostiene che la neutralità non impedisce la partecipazione a sanzioni
economiche, ma esclude quelle militari, rendendo compatibile la neutralità con
la collaborazione alla sicurezza collettiva».
Nel 1945,
però, questa eccezione non è più accettata dagli Stati Uniti e
dall’Organizzazione delle Nazioni Unite.
«L’ONU nasce
come una continuazione della coalizione di guerra. La questione della
neutralità neppure è messa sul piatto e non è stata mai veramente codificata.
Quando il consigliere federale Max Petitpierre chiede di mantenere l’eccezione
svizzera, il presidente dell’Assemblea generale dell’ONU dichiara inaccettabile
tale proposta. Per la Svizzera è uno smacco cocente, che ha pesato per decenni.
La Dichiarazione di Londra del 1920, inizialmente un successo diplomatico, si
trasforma col tempo in un ostacolo: la Svizzera continua a considerarsi
un’eccezione in virtù della sua neutralità e insiste per un trattamento
particolare che il nuovo ordine internazionale non è più disposto a concedere,
né nel 1945, né soprattutto oggi».