L’analisi

La tenuta della globalizzazione e il destino delle grandi aree

I dati sull’incidenza delle esportazioni sul PIL mondiale confermano l’importanza dell’apertura economica e del libero scambio – Gli USA, l’ Europa e la Cina non possono frenare più di quel tanto i commerci, se si chiudessero troppo limiterebbero anche le loro crescite
© JEROME FAVRE
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
29.01.2023 20:30

Nella sintesi dell’Enciclopedia Treccani sulla globalizzazione si afferma che è un «termine adoperato, a partire dagli anni Novanta, per indicare un insieme assai ampio di fenomeni, connessi con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo». Esistono altre definizioni più articolate, questa ha il pregio di non esser troppo tecnica. La globalizzazione ha occupato buona parte della scena negli ultimi decenni, con sostenitori e critici. In questi ultimi anni, poi, si è rafforzato il filone di quanti indicano l’esistenza di una deglobalizzazione, di una più o meno pronunciata marcia indietro. Tra gli esperti vi è anche chi parla di riglobalizzazione, cioè di una globalizzazione che esisterà ancora, ma in termini diversi. Vi è inoltre chi ritiene che la globalizzazione come l’abbiamo già vista continuerà a progredire, al di là di alti e bassi.

L'indicatore

Prima di avvicinarsi ad una tesi o all’altra, c’è un passo preliminare da fare: cercare di verificare sulla base dei dati disponibili se la globalizzazione in questi anni ha perso davvero il suo peso. In questa sede parliamo di globalizzazione economica, lasciando ad altre sedi gli aspetti sociali e culturali. I parametri attraverso i quali si può misurare il globale economico sono diversi, uno dei più diffusi è quello del peso delle esportazioni di merci e servizi sul Prodotto interno lordo mondiale. Una delle obiezioni possibili a questo parametro è che un Paese può esportare molto verso Paesi vicini e poco verso altri più lontani, frenando così il vero globale. Si può rispondere con due indicazioni: le statistiche mostrano che la diversificazione dei mercati di sbocco nel complesso è cresciuta negli ultimi decenni; inoltre, anche l’export verso Paesi non lontani può essere spesso l’inizio di una maggiore integrazione economica, con sviluppi successivi.

Le cifre

La serie storica della Banca mondiale sul peso percentuale dell’export sul PIL globale può dare un’ampia fotografia, dal 1970 al 2021. Se guardiamo alle cifre ponendo intervalli decennali, possiamo vedere il 12,8% del 1970, il 20,4% del 1980, il 18,9% del 1990, il 23,6% del 2000, il 28,8% del 2010, il 28,9% del 2021 (anno più indicativo, considerando che il 26,4% del 2020 è segnato dalla pandemia). Dunque, già da un primo esame può emergere come in realtà nel lungo periodo la percentuale dell’export sul PIL mondiale abbia mantenuto un trend di crescita. Per quel che riguarda l’appena concluso 2022, bisogna ricordare che la stessa Banca mondiale questo mese ha reso note le sue prime stime: aumento del 2,9% del PIL globale e incremento del 4% del volume di scambi economici; se questi dati saranno confermati, vorrà dire che c’è stato un altro anno di export elevato.

Nel 2008 la percentuale ha toccato il picco del 31%, poi gli effetti della crisi finanziaria ed economica conosciuta come «dei mutui subprime» hanno fatto scendere l’export al 26,4% nel 2009. Ma già dal 2010 è iniziata la risalita, che ha portato in seguito al 30% per quattro anni consecutivi, dal 2011 al 2014, e poi al 28,3% del 2015. Dal 2016 sono subentrati gradualmente gli effetti negativi della guerra dei dazi voluta dall’ex presidente USA Trump, ciò nonostante l’export a livello mondiale è arretrato solo in modo relativo ed ha finito per risalire al 29,2% nel 2018 e attestarsi al 28,3% nel 2019. Nel 2022 le tensioni geopolitiche ancora esistenti tra USA e Cina, a cui si è aggiunta la guerra in Ucraina causata dall’invasione russa, hanno provocato battute d’arresto negli scambi economici ma, come visto, le prime stime a consuntivo mostrano per ora una tenuta complessiva dell’export.

Le prospettive

Questi e altri dati non indicano quindi che sia in corso una vera deglobalizzazione. Le cifre possono semmai tenere aperta la strada o alla continuazione della già vista globalizzazione economica, pur con oscillazioni, o alla riglobalizzazione. Quest’ultima viene descritta da tanti come il ritorno a catene di rifornimento molto più corte e come il rafforzamento di aree economico-politiche più omogenee. Le aree principali dovrebbero essere Stati Uniti e Nord-Centro America, Unione europea ed Europa, Cina e alleati. Vedremo se così sarà, ma vale la pena di dire già da ora che questa riglobalizzazione non è una direzione di marcia ormai scontata. Per almeno due motivi di fondo: all’interno di queste grandi aree esistono comunque diversificazioni quando non divergenze; le grandi aree, quand’anche si facessero e si chiudessero a riccio, non potrebbero poi bastare a sé stesse, se non rinunciando nel lungo termine a una parte del proprio benessere; dovrebbero quindi riaprire, prima o poi, la via del libero scambio e dei necessari accordi multilaterali globali.

E la Svizzera?

Per molti aspetti la Svizzera è una dimostrazione della possibilità per un Paese di mantenere la propria autonomia politica e di procedere al tempo stesso nel percorso della globalizzazione. Dati e fatti mostrano in effetti che la Confederazione elvetica è riuscita sin qui a mettere insieme le due cose, cioè la difesa delle sue caratteristiche politiche e una accentuata apertura economica che l’ha portata ad un alto tasso di globalizzazione. Una formula che non può assicurare la mancanza assoluta di problemi (quale formula d’altronde può farlo?) ma che è risultata nel complesso chiaramente vantaggiosa, come si può vedere anche dalla solidità di fondo che l’economia elvetica ha registrato e continua a registrare.

La graduatoria

La Svizzera occupa posizioni nelle parti alte di molte classifiche che hanno a che vedere con il grado di globalizzazione dei singoli Paesi. Una di queste classifiche, per rimanere alle latitudini elvetiche, è l’indice di globalizzazione elaborato dall’istituto di ricerche KOF di Zurigo. Questo indice misura le dimensioni economiche, sociali e politiche della globalizzazione a livello mondiale e offre anche un punto di osservazione sull’evoluzione del grado di globalizzazione dei singoli Paesi (sono esaminate poco meno di 200 Nazioni). Il punto di partenza per l’indice è il 1970 e l’ultimo anno disponibile per ora è il 2020. L’indice KOF è anche disaggregato in tre sottoindici, legati rispettivamente a economia, sociale, politica. In economia, si può vedere come a livello mondiale la globalizzazione abbia continuato a crescere, pur tra alti e bassi, nei cinque decenni considerati; la crescita è stata particolarmente forte tra il 1990 e il 2000, ma anche in seguito il trend è rimasto in positivo, almeno sino al 2019, cioè sino a prima dell’esplosione della pandemia nel 2020, anno in cui c’è stata una discesa dell’indice, che ha però avuto ancora cifre alte. La guerra dei dazi varata dall’ex presidente USA Trump ha frenato i commerci, ma non ha impedito l’evoluzione complessiva. Un andamento analogo c’è stato per la globalizzazione sociale, mentre la globalizzazione politica, meno elevata, è rimasta in sostanza stabile nel 2020. Sul versante economico la Svizzera è nel gruppo di testa, sesta nel mondo per grado di globalizzazione, dietro nell’ordine a Singapore, Olanda, Belgio, Irlanda, Emirati Arabi. Completano la top ten, alle spalle della Svizzera, nell’ordine Estonia, Lussemburgo, Malta, Cipro. Per quel che riguarda la globalizzazione sociale - data secondo il KOF dai contatti personali, dal flusso di informazioni e dalla globalizzazione culturale – la Svizzera è quarta nel mondo, dietro a Lussemburgo, Hong Kong, Monaco e davanti a Macao, Canada, Liechtenstein, Regno Unito, Norvegia, Irlanda. Sul fronte della globalizzazione politica – data per il KOF dal numero di ambasciate e di organizzazione non governative, nonché dalle partecipazioni a missioni ONU di pace – la Svizzera si ferma al nono posto, davanti all’Olanda e dietro a Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna, Svezia, Belgio, Austria.

Il primato

Se questi sono i piazzamenti nei tre sottoindici, occorre dire che la Svizzera è al primo posto nella classifica generale sul grado di globalizzazione, davanti a Olanda, Belgio, Svezia, Regno Unito, Germania, Austria, Danimarca, Finlandia, Francia. Il quarto posto nel sociale, il sesto posto nell’economico, il nono posto nel politico spingono evidentemente la Confederazione elvetica al primo posto sul piano complessivo, sempre considerando la situazione a fine 2020. Da questa analisi del KOF viene anche una nuova conferma del ruolo di traino esercitato per la Svizzera dalla sua posizione economica e dai flussi dei suoi contatti nell’ambito delle relazioni internazionali, con una collocazione rossocrociata al vertice della graduatoria generale sulla globalizzazione. In attesa di vedere gli aggiornamenti della classifica prima per il 2021 e poi per il 2022, si può in ogni caso registrare come la Confederazione abbia comunque mantenuto pienamente la sua consolidata formula, sino al 2020 compreso.