La tragedia dello Squalo Tigre nelle acque del Verbano
Ve lo avevamo raccontato nel giugno del 2023, in occasione dell'incidente del sommergibile Titan. Già, perché anche il Ticino ha avuto la sua tragedia con un sommergibile. Oggi, è il 60. anniversario di quell'incidente e vi riproponiamo il nostro articolo.
È il 16 gennaio 1965, un sabato. A Tenero, nelle acque del Verbano, alla foce del fiume Verzasca, è una giornata di grande fermento. È prevista la presentazione dello Squalo Tigre, un piccolo sommergibile a due posti, lungo 5.30 metri, largo 0.91, alto 1.35. In programma ci sono brevi immersioni per offrire a fotografi e cineoperatori l’opportunità di riprendere immagini subacquee. È un periodo di grande ebbrezza per le scoperte e le innovazioni. Lo scafo, testato al Politecnico di Berlino per resistere ai 200 metri, è stato omologato e assicurato fino a una profondità di 80 metri. Le immersioni sono guidate «dall'ingegner Edoardo de Paoli, progettista e pilota collaudatore», come lo definisce la stampa dell'epoca. Fotografi e cineoperatori, come detto, hanno l'opportunità di riprendere alcuni uomini-rana (il modo in cui allora si chiamavano i primi sommozzatori, ndr.) sott'acqua.
Una, due, tre immersioni. Alla quarta, qualcosa va storto. Quella che doveva essere una breve immersione, si trasforma in un calvario. Lo Squalo Tigre scompare nel lago insieme ai due occupanti: Edoardo de Paoli, 45 anni, e il 35.enne cineoperatore della TSI (oggi RSI) Franco Viganò.
Sono proprio gli uomini-rana ingaggiati per i fotografi a dare l'allarme. Non scorgendo il mini-sommergibile all'appuntamento, si preoccupano e con loro tutti gli altri. Si rituffano, nel vano tentativo di scorgere la sagoma bianca. Nulla. Polizia lacuale e varie società di salvataggio si attivano subito per scandagliare i fondali alla foce del fiume Verzasca. Ma i tentativi restano infruttuosi. «Io ricordo il passare delle ore. Il fatto che ci si rendeva conto che più il tempo passava, più la vita dei due era appesa a un filo». È Sergio Ostinelli a parlare – giornalista, storico radio e telecronista, morto un anno fa – in un documentario di Falò (l'autore è Enrico Pasotti) andato in onda nel 2010. «Feci un servizio intervistando i sommozzatori. Ricordo il finale. Dissi "qui sta calando la notte, e purtroppo dello Squalo Tigre ancora nessuna traccia"».
Edoardo de Paoli e Franco Viganò
La notizia della scomparsa dello Squalo Tigre si diffonde. In quei giorni, in prima pagina, il Corriere del Ticino aggiorna i lettori sulle condizioni di salute di Winston Churchill (morirà il 24 gennaio). Nel Notiziario Cantonale em. titola: «Infruttuose le ricerche del "sommergibile giocattolo" affondato sabato davanti al Campo Felice di Tenero». Vi riproponiamo l'attacco dell'articolo: «Ore 13 di domenica: sul lido del Campofelice siamo qui, con un migliaio di persone, a guardare la liscia superficie del Verbano, che sotto il cielo fattosi livido dopo il sole di stamane ha assunto un triste colore di piombo. L'acqua nasconde, esattamente da dodici ore, i corpi, certo ormai esanimi, di un collaudatore di una società nautica, l'ingegnere Edoardo de Paoli, di Düsseldorf, e di un operatore della Televisione ticinese, Franco Viganò. Li stringe, sott'acqua appena qualcosa di più di un giocattolo: un minuscolo "sottomarino turistico", biposto, immersosi sabato alle 12.35 e finora, malgrado le più assidue ricerche, introvabile». Il giornalista spiega che «da martedì mattina un gruppo di sommozzatori continuerà lo scandagliamento. Sarà sul posto anche la sonda sonora».
I giorni successivi proseguono tra ricerche e titoli di articoli. «Permangono sconosciute le cause dell'affondamento dello "squalo tigre" – Il rappresentate dei costruttori propende per un malore del pilota». «La scomparsa del sommergibile è avvolta nel mistero». «Continuate senza esito le ricerche dello "squalo-tigre" inabissatosi» con l'intervento di un aereo. «Un'altra infruttuosa giornata di tentativi», con il sommergibile gemello dello Squalo tigre arrivato il 21 gennaio in ritardo a causa di un incidente stradale all'autocarro che lo trasportava. E ancora, la polizia che istituisce «un servizio di sorveglianza sul posto, impedendo ai curiosi e agli stessi giornalisti di accedere al pontile cui è attraccato il sommergibile». A una settimana dall'incidente, arrivano a Campo Felice «i titolari della ditta Pagani e Pergassi di Bergamo, specialisti in recuperi sottomarini a grande profondità». «Cinquemila persone a Tenero assistono alle ricerche dello Squalo-tigre», mentre «il consigliere di Stato on. Lafranchi segue da un battello al largo di Campo Felice le varie fasi». Si susseguono una serie di «senza esito le ricerche dello Squalo-tigre», tra condizioni meteo più o meno sfavorevoli. Arrivano offerte di aiuto, come quella di «Pietro Vassena di Lecco, costruttore e pilota nello stesso tempo del batiscafo C 3 Vassena con il quale ha raggiunto profondità incredibili nelle acque dei laghi e del mare (600 metri)». O del cittadino di Locarno «Rolando Dürig, sommozzatore della Salvataggio cittadina il quale, senza chiedere nulla e disponendo dei suoi soli mezzi, ha operato nello scorso anno ben 8 ricuperi di salme d'annegati», che «ha costruito una specie di attrezzo consistente in una lunga corda di solido naylon, lunga oltre 300 metri, alla quale sono stati fissati a distanza regolare delle ancore a triangolo». 13 febbraio 1965: «Bilancio negativo dopo dieci giorni», anche Lazzaro Carletti, di Morbio, sospende le ricerche. Nel frattempo, nelle acque del lago vengono rinvenute delle bombe, «bombe di cemento usate per esercitazioni dall'aviazione svizzera – si scoprirà mesi dopo –, ma pure due autentiche, in bronzo genuino, due proiettili Krupp del 1913 con la carica esplosiva ancora intatta».
Il comitato composto da cittadini
Avanti veloce fino all'estate 1965. Passano giorni, settimane, mesi. Dello Squalo Tigre nessuna traccia. Le autorità cantonali decidono di sospendere le ricerche. Gli occhi della gente, dal lago, si spostano altrove. Sul lago Maggiore rimangono in pochi a perlustrare il fondo con la speranza di ritrovare il relitto. Nasce un comitato con alla testa Americo Galfetti (fondatore, nel 1970, della Salvataggio Sub Aqua Tenero-Contra). C'è chi non vuole arrendersi e vuole restituire ai loro cari le salme di Edoardo de Paoli e Franco Viganò. «Il comitato per la ricerca e il recupero dello Squalo Tigre si è assunto il compito di continuare le ricerche finché il tutto sarà risolto – dice in video Galfetti –. La cosa comporta ovviamente una spesa rilevante. A nome del comitato per la ricerca e il recupero dello Squalo Tigre vi invito caldamente a voler sostenere la sottoscrizione che è stata lanciata in questi giorni per far fronte alle ingenti spese».
9 luglio 1965. Cominciano le ricerche «con l'impiego del magnetometro a protoni, un apparecchio di costruzione inglese adoperato dalla marina e dall'esercito per determinare la presenza di masse ferrose sul fondo delle acque». Il comitato decide di consultare Luigi Ferraro e Duilio Marcante. I due specialisti di ricerche subacquee consigliano l'utilizzo degli uomini-rana del nucleo Carabinieri del porto di Genova, professionisti dell'immersione con anni di esperienza alle spalle. Vengono ingaggiati il brigadiere Paolo Cozzolino e il carabiniere Luciano Bellarmino. Giunti a Tenero, gli uomini-rana genovesi iniziano a perlustrare in modo sistematico il fondo del lago, alla foce del fiume Verzasca. Partendo dal punto dove il mini-sommergibile si è immerso.
Il ritrovamento
19 luglio 1965. Sono trascorsi 184 giorni dalla tragedia. È una calda mattina. I giornali di allora riferiscono che dopo poche immersioni Paolo Cozzolino schizza in superficie strappandosi erogatore e maschera. Quasi in lacrime dice: «È qui sotto». Il sommergibile viene avvistato a meno di duecento metri dal luogo in cui si è inabissato, a una trentina di metri di profondità. È adagiato sul fondo, ricoperto da un leggero strato di fango e di melma che lo rendevano difficilmente avvistabile da maggior distanza. «Di quel giorno di luglio ricordo la folla strabocchevole di campeggiatori – sono le parole del giornalista Ostinelli a Falò –. La polizia cercò, aprendo gli idranti, di tenere lontana la folla. C'era "un clima da regata velica", mi sembra di aver detto nel servizio di allora, "più di commozione effettiva del ritrovamento". Era una tragedia nostra. Non tutti sapevano quello che era davvero capitato».
Tenuta sott'acqua, agganciata a dei palloncini, la carcassa dello Squalo viene trascinata, al riparo da sguardi indiscreti. Sono passati mesi. Le ricerche hanno impiegato tempo, persone, mezzi. Lo Squalo Tigre era lì dov'era sceso. «Tre boe bianche che galleggiano nel golfo di Mappo segnano l'epilogo della tragedia – si legge sul Corriere del Ticino –. Là sotto, nella loro bara metallica, adagiata sul fondo del lago, giacciono le due vittime cercate invano per oltre sei mesi». «Tale era la folla presente che la polizia dovette usare gli idranti per poter operare in sicurezza – si legge su luigiferrario.it (scomparso nel 2006) –. Gli sforzi compiuti dai subacquei italiani dettero alle famiglie delle vittime il conforto di una degna sepoltura». «Eureka! trovato lo Squalo-tigre», titola il 20 luglio 1965 L'Eco di Locarno. Il giorno seguente il Corriere del Ticino pubblica la foto del sommergibile sollevato e depositato nel capannone del cantiere navale Bosch dove sarà sottoposto a una perizia tecnica da parte dei reparti specializzati della Polizia scientifica di Zurigo. Accanto, l'immagine del relitto con il dettaglio della calotta, che verrà rimossa per poi procedere all'identificazione delle due salme. L'autopsia è affidata al perito legale di Zurigo, il dottor Hartmeier.
I risultati dell'inchiesta
Si arriva a ottobre del 1965. La procura convoca a Locarno una conferenza stampa. Gli accertamenti degli esperti di Zurigo hanno stabilito che il mini-sommergibile non presentava difetti di progettazione o costruzione, salvo una guarnizione del sistema di purificazione dell'aria viziata montata leggermente fuori sede il giorno prima dell'immersione. Un inconveniente che, da solo, non pregiudicava tuttavia il funzionamento del natante.
Più preoccupanti, invece, le leggerezze del pilota. Edoardo de Paoli non aveva tarato il sistema automatico di riemersione dello Squalo Tigre, una zavorra di metallo pesante sotto lo scafo. Non solo. Aveva lasciato a terra anche la chiave che gli avrebbe permesso di sganciarla manualmente. In superficie aveva lasciato pure i rivelatori di anidride carbonica nell'abitacolo, le torce elettriche di segnalazione e, per eccessiva fiducia nel mezzo, le maschere e i respiratori. Ma non è finita. Durante le immersioni non aveva aperto, o aperto male, le bombole in grado di erogare aria pulita all'interno dello scafo. La scientifica le trovò quasi piene. «Degli errori di manipolazione che possono essere spiegati unicamente mediante supporto della perizia medica – dice il pp Luciano Giudici in conferenza stampa –. Perizia che ha accertato che de Paoli è morto per infarto cardiaco nella prima ora dopo l'immersione. Mentre Viganò poté sopravvivere ancora per diverse ore successive». Il cineoperatore della TSI Franco Viganò, prima di perdere i sensi, sul retro del piano di lavoro che teneva in tasca, annotò a penna: «Siamo a 30 m, non troviamo la chiave per bombole».
Cosa è successo (con tutta probabilità)? Il pilota ha omesso le precauzioni. Ha sottovalutato che non aprendo le bombole dell'aria, alla sua quarta immersione, avrebbe accumulato nell'organismo troppa anidride carbonica. Una saturazione mefitica per il suo cuore già compromesso, che comincia a perdere colpi appena lo Squalo Tigre scivola sott'acqua. È probabile che de Paoli, in stato confusionale, non sia stato in grado di controllare il natante. Che è andato a posarsi sul fondo del lago, a 33 metri di profondità. Ripresosi, ha tentato di riemergere, ma è stato sopraffatto da un arresto cardiaco. Franco Viganò è rimasto vigile per un po', finché il torpore fatale provocato dall'anidride carbonica non ha avuto il sopravvento. «I corpi dei due sventurati sono stati trovati in posizioni tali da far pensare che si siano resi pienamente conto della sorte che incombeva e hanno cercato con la forza della disperazione di sfuggirvi – scriveva il 22 luglio 1965 aber sul Corriere del Ticino –. Con i "se" e con i "ma" non si combina nulla e nulla si chiarisce. Da tutta la faccenda un insegnamento lo si dovrebbe però pur trarre ed è quello di evitare – quando vi sono di mezzo vite umane – quel dilettantismo di cui volentieri si dà prova in troppe occasioni. Prima di lasciare scendere in acqua lo Squalo-tigre, era indispensabile farlo esaminare da un perito che non fosse interessato all'affare commerciale che si stava profilando. Invece si è fatto tutto da soli quasi si trattasse d'una pratica qualunque da liquidare con due timbri ed un foglio di carta intestata. Il che è molto triste».