I valori

La tregua olimpica, il senso di un’utopia

L’ha invocata domenica il Papa, in modo da «dimostrare una sincera volontà di pace» – E l’ha chiamata in causa Macron – Ne parliamo con la collega Antonella Stelitano: «Lo sport insegna che l’impossibile diventa possibile»
© Keystone
Paolo Galli
25.07.2024 06:00

«La guerra è una sconfitta». Le parole di papa Francesco riecheggiano a poche ore dall’inizio dei Giochi olimpici. In occasione del tradizionale Angelus domenicale, da piazza San Pietro, il pontefice ha ricordato: «Questa settimana inizieranno i Giochi olimpici di Parigi, che saranno seguiti dai Giochi paralimpici. Lo sport ha anche una grande forza sociale, capace di unire pacificamente persone di culture diverse. Auspico che questo evento possa essere segno del mondo inclusivo che vogliamo costruire, e che gli atleti, con la loro testimonianza sportiva, siano messaggeri di pace e validi modelli per i giovani. In particolare, secondo l’antica tradizione le Olimpiadi siano occasione per stabilire una tregua nelle guerre, dimostrando una sincera volontà di pace». Una tregua nelle guerre, già.

Rendere feconde le iniziative

Timide le richieste della politica internazionale. L’ultimo a manifestarsi è stato Emmanuel Macron, lunedì. Il presidente, in occasione della visita al villaggio olimpico di Saint-Denis, ha proprio invocato una «Tregua olimpica e politica», riferendosi ai conflitti in corso ma anche alle tensioni interne. «I Giochi saranno al centro della vita del Paese e il mondo sarà in Francia grazie a essi», ha ricordato. E Thomas Bach, presidente del Comitato olimpico internazionale, ha inaugurato il cosiddetto Muro della Tregua. Aveva in mano una sciarpa con la scritta «Give peace a chance». È questo il motto: dare un’opportunità alla pace. Ma la Tregua olimpica non ha regole chiare. Ne parliamo con Antonella Stelitano, giornalista, autrice del libro «Le Nazioni Unite e lo sport. Dall’utopia della Tregua olimpica all’Agenda 2030» (Cleup editore, 2024). «L’errore che si fa spesso è quello di pensare alla Tregua olimpica come a un fermo bellico, come a un obbligo ai capi di Stato a fermare i conflitti in corso. Ma è un concetto superato. Un concetto di pace negativa: si nega la guerra. Ora CIO e Nazioni Unite hanno voluto investire su un altro concetto, di una Tregua olimpica che sia un progetto di pace positiva, una pace da seminare e coltivare ogni giorno». L’idea è di rendere feconde iniziative che possano proseguire anche oltre i Giochi, oltre le risoluzioni. E non per niente si è voluto agganciare il concetto all’Agenda dell’ONU 2030, secondo cui lo sport è un «importante fattore abilitante» dello sviluppo sostenibile. Insomma, siamo lontani dall’idea originale della Tregua olimpica, che equivaleva nell’antica Grecia a un salvacondotto.

L’efficacia oltre l’idea stessa

Antonella Stelitano parla di un «impianto valoriale» rappresentato dallo sport, e sottolinea come lo sport sia «utile per raggiungere altri obiettivi». E allora, «si danno alcune linee, alcuni suggerimenti, e da poche linee di una piccola risoluzione si è giunti a una risoluzione di nove pagine». Proprio perché «ciascuno ha intravisto nello sport uno strumento per realizzare i propri obiettivi di sviluppo, compreso il “peacekeeping”. È in fondo l’idea, espressa dal Papa, che lo sport possa contribuire ad abbattere i muri e a costruire i ponti». Questo è il principio fondamentale, che si riflette in particolare su quella che Stelitano definisce «magia del villaggio olimpico». Perché il villaggio olimpico «realizza l’utopia di consegnare a persone di nazionalità, origini e condizioni diverse, la sensazione di essere cittadini universali, di riconoscere nell’altro tratti di un’umanità che ci rende tutti fratelli, tutti uguali». In questo senso, «l’alleanza tra CIO e Nazioni Unite contribuisce a rendere possibile la sopravvivenza di questi valori». Chiediamo ad Antonella Stelitano se, visto che si tratta di un’utopia, la Tregua olimpica non rappresenti una sorta di costruzione, quindi piuttosto artificiale, ai limiti del retorico. Non è così, naturalmente. «In realtà la Tregua olimpica è legata a tanti progetti concreti, c’è un’efficacia che va oltre l’idea stessa. Certo, non possiamo illuderci che la Tregua fermerà la guerra tra Russia e Ucraina, ma non è questa la finalità dello sport». Non può essere lo sport ad assumersi questa responsabilità. «Se noi consideriamo lo sport uno strumento per fermare le guerre, allora sì è un’utopia. Ma se noi consideriamo l’idea di trasmettere un modello, attraverso il quale possiamo eliminare i motivi di contrasto e di disuguaglianza, allora possiamo sperare di diminuire le occasioni di conflitto». Questo è il percorso da fare per ambire alla pace.

Sull’esclusione della Russia

Chiacchierando con Antonella Stelitano chiamiamo in causa le immagini indelebili dell’amicizia tra Owens e Lang nel 1936, ma anche la Tregua olimpica riesumata tra le due Coree nel 2018. C’è però un’altra faccia della medaglia, rappresentata dalle mancate strette di mano tra atleti di Nazioni in guerra, oppure dall’esclusione della Russia. Il discorso è che «bisogna guardare sul lungo periodo, e non al singolo episodio bellico. Ci sono piccoli semi che si possono piantare, sfruttando il fascino dello sport, secondo cui l’impossibile può diventare possibile. I Giochi rappresentano una condivisione planetaria e sono dotati di una forza di persuasione che altre attività non hanno. E allora va sfruttata questa possibilità». In merito all’esclusione della Russia dai Giochi, Stelitano richiama in causa l’antica Grecia. «Il salvacondotto serviva per arrivare in tutta sicurezza a Olimpia. Per passare però bisognava deporre le armi e spogliarsi della propria divisa. Alla Russia, il CIO ha chiesto proprio questo. E sono sicura che al CIO pesi tantissimo lasciar fuori alcuni atleti, perché se si dice che “l’importante è partecipare”, allora l’obiettivo è dare a tutti l’accesso ai Giochi. E non rendere vittime delle guerre proprio gli atleti».

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