Il punto

La Turchia di Erdogan nel caos

L’arresto di Imamoglu ha provocato una serie di manifestazioni di protesta nelle varie città turche - Centinaia le persone fermate dalle autorità a partire dal 19 marzo - Preoccupa la situazione economica del Paese
© Reuters/Murad Sezer
Marta Ottaviani
26.03.2025 06:00

Una protesta così, la Turchia non la vedeva da oltre dieci anni. Il presidente Recep Tayyip Erdogan, questa volta sembrerebbe proprio avere fatto il passo più lungo della gamba. L’unico motivo che induce a ritenere il contrario è che la sua figura, pragmatica fino al cinico, fa troppo comodo all’amministrazione americana, che ha bisogno di una spalla forte e stabile per gestire la normalizzazione della crisi in Siria e il dopo guerra fra Russia e Ucraina. Per il resto, tutto appare giocare a suo sfavore. Una settimana fa, l’ormai ex sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, esponente del Chp, il principale partito di opposizione, è stato fermato dalla polizia insieme ad altre 87 persone, tutti dirigenti amministrativi di alto livello. L’accusa è corruzione, turbativa d’asta e favoreggiamento di organizzazione terroristica. Domenica 23 marzo avrebbe dovuto essere incoronato tramite le primarie come sfidante ufficiale del presidente Erdogan in vista delle elezioni del presidente della Repubblica, in programma nel 2028. Da tempo, l’ex primo cittadino è considerato l’unico in grado di battere il «sultano». La Turchia precipita subito nel caos, per quello che in molti ritengono un tentativo di mettere fuori gioco preventivamente un avversario troppo scomodo. I mercati crollano e tutte le sere decine di migliaia di manifestanti scendono in piazza non solo nella megalopoli sul Bosforo, ma anche nelle principali località, fra cui la capitale Ankara. «Quello che sta succedendo in Turchia - spiega al Corriere del Ticino Yavuz Baydar, giornalista e scrittore in esilio - la fa passare da un regime tendente all’autoritarismo alla dittatura. Si è usata la magistratura, controllata dal presidente, come arma politica. Se l’operazione dovesse riuscire non ci saranno altri leader pronti a sfidare Erdogan, perché temeranno di fare la stessa fine».

Verso le elezioni amministrative

La situazione si è aggravata domenica. Imamoglu, dopo quattro giorni di interrogatori estenuanti, viene scagionato dall’accusa di favoreggiamento di organizzazione terroristica, ma incriminato per corruzione per reati che risalgono al periodo fra il 2014 e il 2018, quando era sindaco di Beylikdüzü, uno dei 39 distretti che compongono la municipalità di Istanbul. In particolare, l’azienda di famiglia del leader di opposizione, che si occupa di edilizia, avrebbe ottenuto illecitamente centinaia di appalti. Con lui vengono arrestate altre 51 persone. Fra queste c’è anche Murat Ongun, collaboratore di Imamoglu da oltre 20 anni e che ha ammesso di aver assistito alla consegna di tangenti durante l’ultimo congresso del Chp, per fare approvare dai delegati come segretario Özgür Özel, sponsor del leader incriminato. Nelle stesse ore, 15 milioni di persone si sono recate nelle sezioni del partito di opposizione per dare la loro preferenza all’ex primo cittadino, che con l’incriminazione ufficiale ha visto automaticamente decadere la sua carica. Erdogan ha bollato la manifestazione come una «scena da teatro» che scomparirà quando lo spettacolo sarà finito e ha chiamato le persone scese in piazza a protestare «terroristi». Oggi, la Prefettura stabilirà quando si terranno le elezioni amministrative per scegliere il nuovo primo cittadino.

Più debole che in passato

Il «sultano» sembrerebbe avercela fatta anche stavolta, ma ci sono alcuni aspetti da considerare. In primo luogo, nonostante il suo strapotere, Erdogan è molto più debole rispetto al passato. A preoccupare, ci sono soprattutto la situazione economica del Paese e il carovita. Fino a un paio di anni fa, anche i più scettici nei confronti del suo operato a livello di diritti, lo avevano sempre in parte giustificato perché il Paese comunque funzionava. Il presidente può poi contare sull’appoggio delle potenze straniere, anche di quelle che non lo apprezzano politicamente. La Russia ha detto che si tratta di affari interni. Gli stati Uniti non sono intervenuti, perché Ankara è un partner prezioso per la situazione in Siria e il dopo guerra fra Mosca e Kiev. L’Unione europea ha prodotto le consuete dichiarazioni di circostanza che non possono spaventare certo uno come Erdogan. Tuttavia, nonostante tutto, questa volta il presidente potrebbe essere andato oltre. Come ha fatto giustamente notare il politologo Soner Cagaptay, i due rivali hanno una cosa in comune, oltre all’ambizione. L’ascesa politica del leader islamico iniziò nel 1998, proprio a causa di un arresto mentre era sindaco di Istanbul. A differenza di Imamoglu, era stato condannato per istigazione all’odio religioso, ma giocò prima la carta del martire e poi quella dell’uomo del cambiamento. Aveva a che fare con un Paese che ancora conosceva il significato del concetto di Stato di diritto, e quindi uscì in tempi ragionevolmente rapidi e pronto a intraprendere la sua avventura politica che lo ha portato dove sappiamo. Impossibile sapere quale pena verrà inflitta a Imamoglu, ma di certo la Turchia ha un nuovo martire in cerca di riscatto.

La piazza

Sono giovani, molti di loro hanno conosciuto solo una Turchia guidata da Erdogan. Altri, un po’ meno giovani, hanno visto infrangersi il sogno di un Paese migliore già nel 2013, durante le proteste di Gezi Parki. Di sicuro, la piazza che sta sfidando il «sultano» in questi giorni è preoccupata per la tenuta della democrazia e teme una involuzione senza ritorno. Cosa che in parte, secondo molti, c’è già. «Negli ultimi dieci anni - spiega al Corriere del Ticino Orhan, studente universitario - abbiamo visto restringersi gli spazi quanto la libera espressione e moltiplicarsi i divieti. Molti di noi hanno sentito la politica lontana per anni. Poi è arrivato Imamoglu e tutti finalmente hanno percepito che lo strapotere del presidente poteva davvero avere fine». Di fianco a chi non si arrende, c’è però una Turchia che è ampiamente rassegnata. Basta fare un giro al Gran Bazar per rendersi conto che la parola d’ordine è rassegnazione. Erdogan se ne andrà un giorno, sicuramente. Ma di certo non dipenderà dal popolo turco. Una ineluttabilità del fato che ai giovani di Istanbul non sta proprio bene. «Noi siamo figli di un’altra Turchia», ha detto Zeynep, che giovanissima aveva già partecipato a Gezi Parki e che oggi è una giovane donna e una giovane mamma. «Siamo figli di quella generazione che votava Erdogan perché aveva paura delle ingerenze dei militari e della magistratura. Come ci siamo ridotti ora? Allo stesso modo. Con la differenza che il presidente dice di essere sempre stato votato. Se non riusciamo a sconfiggerlo questa volta, poi in Turchia faremo finta di andare a votare». Le preoccupazioni della piazza vanno anche oltre il periodo di potere del sultano. Sono in molti a pensare che, senza un drastico cambio di passo, il Paese sia destinato a rimanere un’autocrazia, dove la figura di Erdogan rappresenti un leader da imitare e non uno da relegare al passato. La Turchia fondata da Mustafa Kemal Atatürk rischia di diventare una parentesi, che poi era uno degli auspici del presidente all’inizio della sua carriera.

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