L’intervista

«La vera America non è quella che vediamo in tv»

A colloquio con il giornalista e scrittore italiano Francesco Costa che nel saggio «Questa è l’America» analizza il pianeta statunitense, molto presente nelle nostre vite ma del quale conosciamo ancora troppo poco
La statua della Libertà. © Shutterstock
Francesco Mannoni
14.02.2020 06:00

Gli USA? Una Nazione ancora da scoprire secondo il giornalista Francesco Costa che in un saggio, Questa è l’America (Mondadori), racconta molti aspetti della grande nazione inquadrandoli in un contesto che varia da Stato a Stato ma che ovunque conserva le stesse percentuali di grandezza e di miseria che aiutano «a capire il presente degli Stati Uniti e il nostro futuro». «Quella che conosciamo è un’America distorta», afferma Costa. «In pratica è frutto di una cartolina che ci capita di vedere quando andiamo in vacanza a New York, San Francisco o in California, in posti che sono America ma che non sono esemplari delle condizioni in cui vive la maggioranza degli americani. Ed è un’immagine distorta anche quella che ci arriva dai film e dalle serie TV da Hollywood. Quando descrivono posti americani che sono più o meno desolati, lo fanno con gli occhi di chi vive a Los Angeles o nelle grandi città dei media. L’America, benché molto presente nelle nostre vite, facciamo fatica a indagarla».

Cosa ignoriamo di importante degli Stati Uniti, Paese che per la sua democraticità, pensavamo di conoscere nel profondo?
«Che ha una storia unica che la rende unica. Fu davvero il primo Paese ad essere fondato sulla base di un’ambizione: creare un posto in cui tutti gli esseri umani fossero uguali. É una nazione con una dimensione geografica che innanzi tutto la rende immensa: è grande quasi quanto la Cina ma ha solo 300 milioni di abitanti, e quindi è un Paese per larghissima parte quasi vuoto. Questo incide molto nel rapporto che le persone hanno con lo Stato, vivendo in posti quasi disabitati. Fatto che ha anche delle reazioni a cascata su molti aspetti della loro vita, principalmente il rapporto che gli americani hanno con la responsabilità individuale».

Gli States sono grandi quasi quanto la Cina ma hanno solo 300 milioni di abitanti. È quindi un Paese per larghissima parte quasi vuoto e questo incide molto nel rapporto che le persone hanno con lo Stato

Che tipo di responsabilità?
«Una responsabilità feroce che li rende molto competitivi sul piano lavorativo ed è alla base del loro predominio economico. Ma fa sì che la loro società abbia anche dei risvolti crudeli soprattutto per quanto riguarda la sanità. Se uno non ha una polizza assicurativa non può curarsi, non può contare sull’aiuto del Governo visto che in tanti Stati americani questi sono concetti intangibili».

Cosa consente all’economia americana di crescere ogni anno del 3%?
«Il 3% è un dato medio. Ci sono Stati dove la crescita arriva al 5% e al 6%. L’economia americana è fortissima. La crisi ha lasciato profonde cicatrici ma ormai è superata. Hanno a disposizione un territorio ricchissimo di risorse naturali (oggi sono quasi indipendenti dal punto di vista energetico) e un tessuto industriale che tuttora è solido anche se sta cambiando, ma sono in grado di inventare e costruire sempre cose nuove che invadono il mondo. L’Ovest soprattutto sta trainando la crescita americana. Altri stati sono un po’ fermi al palo e sono quelli dove le elezioni per Trump sono andate meglio nel 2016. E sono gli Stati – penso al Midwest – in cui Trump dovrà dimostrare di meritare ancora fiducia nel 2020».

L’era Trump ha cambiato in qualche modo l’America?
«Credo che la presidenza Trump sia una conseguenza e non una causa: è il prodotto di una serie i cambiamenti e di crisi che sono avvenute negli ultimi quindici, vent’anni. Trump è stato un presidente così atipico, anomalo e diverso dagli altri che sicuramente ha cambiato la definizione del ruolo. Vedremo nel futuro molti presidenti simili a Trump nella retorica del linguaggio (forse anche nella sinistra); presidenti che romperanno con la prassi, faranno delle promesse molto roboanti e prometteranno di rivoluzionare qualsiasi cosa. Liberarsi di Trump non sarà facile: non ci sono riusciti con l’impeachment dunque bisognerà sconfiggerlo alle prossime elezioni o rassegnarsi alla scadenza del secondo mandato, ma quelle crisi e quei tratti che ne hanno determinato l’elezione, restano lì. L’America comunque era cambiata molto prima che arrivasse Trump».

Il giornalista e scrittore Francesco Costa (36 anni), vicedirettore  de «Il Post» .
Il giornalista e scrittore Francesco Costa (36 anni), vicedirettore de «Il Post» .
La presidenza Trump è una conseguenza e non una causa: è il prodotto di una serie i cambiamenti e di crisi che sono avvenute negli ultimi quindici, vent’anni

Gli americani possiedono un numero astronomico di armi e spesso succedono sparatorie che sono vere e proprie carneficine. Si tratta di un popolo violento?
«In America ci sono molte più armi in circolazione rispetto all’Europa, ma il popolo americano non è aggressivo né violento, e la possibilità di essere rapinati a New York è la stessa che a Londra. L’unica differenza, appunto, è che ci sono più armi e quindi è maggiore il rischio di essere feriti o uccisi durante le rapine o per mano di un folle. Ma non c’è più crimine e quella americana non è una società egoista. Gli americani fanno tanto volontariato, danno parecchi soldi in beneficenza, ma rifiutano l’idea che lo stato debba intervenire in soccorso delle persone che hanno dei problemi. Ma questo concetto ultimamente sta cambiando».

Il razzismo, piaga americana: chi opera per rendere perenne l’inferiorità dei neri?
«Tutte quelle forze che hanno degli interessi politici ed economici a mantenere una situazione che vede i neri in una posizione di discriminazione e di svantaggio. Quello americano è un razzismo sistemico: fare delle leggi che rendano difficile ai neri di andare a votare, o che spaventino le persone di origine latina. Questa situazione è frutto di un retaggio non troppo lontano: la legge sui diritti civili che abolì la segregazione è del 1960. C’è ancora parecchia strada che l’America deve fare per essere davvero la nazione esemplare delle libertà individuali».

Il libro

Francesco Costa, Questa è l’America. (Mondadori, 210 pagine, 18 €.)
Francesco Costa, Questa è l’America. (Mondadori, 210 pagine, 18 €.)

Esiste ancora il sogno americano? L’America è ancora il mito per tanti viaggiatori vista e pensata come il Paese di Bengodi? Purtroppo anche in America in fatto di economia ci sono parecchie incrinature che vengono dall’estrema competitività della società americana. Un esempio: gli studenti americani pagano delle rette altissime per frequentare l’università, e per accedervi prendono dei mutui - si parla di 40, 50 mila dollari l’anno. Lo fanno in tanti, perché chi riesce a frequentare un’università prestigiosa poi troverà facilmente un lavoro con un ottimo stipendio che gli permetterà di pagare il debito. Questa possibilità è venuta meno dopo la crisi del 2008: tantissimi giovani non hanno trovato il lavoro che speravano e hanno difficoltà a racimolare i soldi per restituire il mutuo. Morale della favola: oggi il debito studentesco è uno dei più grandi problemi dei giovani americani. Se ti va bene ti può andare molto bene in America; se ti va male, può andare molto male.