Elezioni in Gran Bretagna

Labour, trionfo annunciato, ma la Brexit non si tocca

Il 4 luglio prossimo i cittadini del Regno Unito potrebbero sancire una svolta epocale nei rapporti di forza tra conservatori e progressisti - Secondo lo storico Domenico Maria Bruni il successo della sinistra è anche «fisiologico: si chiude infatti un ciclo politico durato quasi 14 anni»
Il prossimo 4 luglio i cittadini del Regno Unito andranno alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. I sondaggi indicano come certa la vittoria ampia del partito laburista. © Kin Cheung
Dario Campione
27.06.2024 06:00

Di fronte a un’Europa continentale che sembra voler delegare alla destra, anche a quella più estrema, la possibile uscita dalla lunga crisi politico-economica iniziata nel 2008, c’è un altro pezzo d’Europa che pare sul punto di scegliere una direzione opposta. Il 4 luglio, gli elettori del Regno Unito potrebbero letteralmente svoltare, dopo quasi un quindicennio, e affidare il governo del Paese al Labour.

Tutte le rilevazioni demoscopiche danno il partito di Keir Starmer in grandissimo vantaggio. Non solo: le dimensioni di questa vittoria appaiono potenzialmente impressionanti. Il 16 giugno scorso, il Daily Telegraph, giornale vicino ai conservatori, ha sparato in prima a nove colonne «Tory Wipeout», pubblicando sotto il titolo una cartina dei collegi elettorali quasi interamente rossa. Quel verbo, «wipeout» - cancellàti - è stata una frustata terrificante. Molto più di un sondaggio-choc. L’eventualità che tra 9 giorni i laburisti eleggano tra i 510 e i 520 deputati alla Camera dei Comuni, ovvero l’80% del totale (630) significherebbe per i conservatori - accreditati in questo momento di una cinquantina di seggi - la condanna alla totale irrilevanza nella prossima legislatura. Se i numeri fossero confermati, sarebbe la più grande sconfitta della storia moderna per il partito del premier Rishi Sunak, il quale rischia di non essere nemmeno rieletto in Parlamento (e se ciò accadesse, sarebbe un’altra prima volta storica).

Insomma, uno scenario da incubo. Figlio prima di tutto del sistema uninominale, che ricompenserebbe davvero oltre ogni misura il Labour, la cui percentuale di consenso è stimata attorno al 44% (contro il 23% dei conservatori).

La conta dei voti

Domenico Maria Bruni, docente di Storia contemporanea all’Università di Siena, si occupa da anni di storia del Regno Unito, argomento sul quale si è specializzato prima al King’s College e poi al Department of Politics del Goldsmiths College di Londra. «Prima di trarre ogni possibile conclusione - dice Bruni al Corriere del Ticino - bisognerà aspettare la chiusura delle urne e capire le proporzioni reali dello spostamento a sinistra della Gran Bretagna. La vittoria del Labour appare scontata, salvo sorprese al momento imponderabili. Ma si dovrà anche capire se il margine di questa vittoria sarà dettato prevalentemente dalla legge elettorale o da un consistente spostamento di voti in termini assoluti. La somma dei consensi dei due partiti di destra, i Tory e il Reform UK di Nigel Farage, potrebbe infatti non essere di molto inferiore ai voti dei laburisti. Un secondo elemento riguarda la piattaforma politica di Keir Starmer, il quale su alcuni temi ha ricollocato il Labour su posizioni meno di sinistra rispetto a quelle portate avanti dal predecessore, Jeremy Corbyn. Mi riferisco, in particolare, a due questioni oggi assolutamente centrali nel dibattito britannico ed europeo, cioè l’immigrazione e la quota di spesa pubblica da destinare alle politiche di difesa». Se si parla di un vento che, in Gran Bretagna, gira a sinistra, dice Bruni, non si può non evidenziare come su alcuni «temi cruciali i laburisti abbiano comunque spostato il proprio partito verso il centro dello schieramento politico».

Ciò detto, resta indubbio il fatto che mentre l’Europa unita conosce una spinta in direzione conservatrice, dalle parti di Londra si spiegano le vele in senso opposto. «La Gran Bretagna ha già vissuto la sua grande virata a destra, prima nel 2016 con il referendum che ha portato alla Brexit e poi, nel 2019, con la vittoria e la leadership di Boris Johnson - dice ancora Bruni - Da questo punto di vista, è stata in anticipo di qualche anno rispetto a quanto accade ora nell’Europa continentale. Senza dimenticare che la vittoria del Labour arriverà comunque dopo 14 anni di governo conservatore. Siamo di fronte alla fine fisiologica di un ciclo politico, qualcosa di già visto con Margaret Thatcher e John Major (al governo ininterrottamente dal 1979 al 1997, ndr)».

La Gran Bretagna cambia, insiste Bruni, ma «sarà importante capire anche come». Se, cioè, «il profilo della vittoria laburista dipenderà prevalentemente dal meccanismo elettorale maggioritario, da un crescente astensionismo o dallo spostamento effettivo del consenso, e in particolare di quegli elettori moderati centristi convinti che il partito conservatore non sappia più rispondere alla loro visione del mondo e della politica».

Scozia meno indipendentista

In ogni caso, dopo il 4 luglio qualcosa sicuramente muterà dentro il Regno Unito, soprattutto nei rapporti tra Londra e la Scozia. Mentre appare più difficile un ritorno al passato ante Brexit. «In Scozia - dice Bruni - si gioca una partita importante dal punto di vista elettorale. Gli indipendentisti dello Scottish National Party sono in crisi tanto quanto i Tory, per tutta una serie di motivi legati a scandali interni e alla debolezza della leadership. Il Labour dovrebbe tornare a essere primo partito in Scozia, chiudendo in qualche modo, o silenziando per almeno una legislatura, la questione indipendentista».

Più complicato, invece, il passo indietro sulla Brexit. «Non credo che Starmer deciderà di rimettere in discussione il referendum del 23 giugno 2016 - dice ancora lo storico dell’Università di Siena - più volte ha ripetuto che si tratta di un dato acquisito, e sarebbe anche politicamente poco saggio, da parte sua, fare diversamente, poiché ridarebbe fiato al compattamento delle destre. Insomma, non gli conviene. Inoltre, per rimettere in discussione la Brexit dovrebbe esserci sul tavolo una proposta chiara su dove andare. E bisognerebbe anche avere una sponda europea desiderosa di assecondare una simile svolta. Nulla di ciò mi pare sia in agenda. Semmai, emerge l’intenzione del leader laburista di tentare di intavolare trattative con Bruxelles per trovare un nuovo modus vivendi, soprattutto per quel che riguarda le relazioni commerciali con l’Unione. Ovviamente, anche in questo caso le trattative si fanno in due. Bisognerà vedere che cosa l’Europa vorrà in cambio da Londra. Ancora di recente, l’ex capo negoziatore dell’UE, il francese Michel Barnier, ha ripetuto che una possibile riapertura delle discussioni non può prescindere dal riconoscimento inglese della libertà di circolazione dei cittadini europei. Tutto è quindi molto difficile, sebbene sicuramente Starmer proverà a insistere».

Molto dipenderà anche dagli assetti futuri della Commissione di Bruxelles. E dalle elezioni francesi, che - conclude Bruni - «avranno certo un grande impatto sul futuro ravvicinato dell’Europa».