L'editoriale

L'acqua alla gola e il fieno in cascina

È partito l'assalto alla diligenza della politica ticinese ai milioni provenienti dalla BNS
Gianni Righinetti
07.02.2025 06:00

Dalla Banca nazionale svizzera (BNS), dopo due anni di siccità, sono nuovamente piovuti milioni, 80 milioni di franchi per la precisione. Come puntualmente accaduto in passato e, non illudiamoci, sarà così anche in futuro, è partito l’assalto alla diligenza stile vecchio West per mettere le mani sul forziere e fare proprio il tesoretto da destinare alla bisogna. Nella fattispecie il Centro punta ad azzerare la misura di risparmio sui sussidi di Cassa malati. Milioni benvenuti, ci mancherebbe, ma non si tratta dell’eredità dello zio d’America, quella che magari ti cambia la vita, non è l’agognata vincita al lotto che ti porta a sognare sfarzi e lusso. Vendere illusioni è semplicemente irresponsabile. La situazione del Canton Ticino muta unicamente nel senso che questi franchi possono rendere meno doloroso il percorso ad ostacoli che ci attende nei prossimi anni.

La situazione finanziaria rimane fragile, il debito pubblico elevato e il capitale proprio negativo. Ma allora di cosa stiamo parlando? Perché si tende a regalare alla popolazione sogni a prezzo discount, all’insegna dell’improvvisazione, lasciando intendere con leggerezza che è tutto a posto e che, in fin dei conti, la politica è tutta un quiz. Basta trovarsi al posto giusto, al momento giusto, pigiare sul pulsante rosso e, come d’incanto, questo diventa nero. Dal disavanzo all’avanzo in un batter d’occhio. Poi, perché mai guardare oltre, perché sforzarsi di osservare la realtà oltre a ciò che conviene? Così va la politica, la politica «dell’oggi e subito», quella della spesa allegra, quella che ogni uscita in più non conta e guai a dire che agire sul contenimento della crescita della spesa per i sussidi di cassa malati (il Cantone eroga all’incirca 400 milioni di franchi l’anno) è cosa buona, giusta e saggia. Si rischia di passare per un mostro insensibile e senza cuore. Però si dimentica di dire che il montante del sussidio e i beneficiari crescono. Il dossier cassa malati è un cruccio federale, toccherebbe a Berna e al Consiglio federale riconoscere il fallimento del modello LAMal, anche se è innegabile che l’aumento dei premi è legato all’aumento dei costi. E noi ticinesi siamo davvero poco virtuosi nel consumo di prestazioni mediche. Siamo un po’ quelli della cura e della medicina facile, come d’altronde con superficialità vediamo affrontare dalla politica cantonale i problemi contingenti. La giravolta del Centro ha avuto un effetto miracoloso, accendere sul volto dei socialisti un sorriso smagliante. Da eterni musoni a gaudenti come un bambino davanti all’albero di Natale impaziente di scartare il regalo? Il fronte progressista, protagonista di una felice raccolta delle firme per portare i cittadini alle urne, ora si trova nelle mani due autentici match-ball.

L’inatteso assist del Centro e, dovesse fallire la via parlamentare per dare un colpo di spugna al «taglio» (che tale di fatto non è), resterebbe la via delle urne. Un destino, quest’ultimo, che attende anche l’iniziativa popolare dello stesso PS (affinché i premi di cassa malati non superino il 10% del reddito disponibile) e quella fiscale della Lega per rendere deducibili integralmente i premi di cassa malati. E se alla fine dei conti i tre temi diventassero oggetto di un’unica tornata alle urne? Se ne potrebbero vedere delle belle, perché di fronte a certe cifre, sulle spalle di Cantone, Comuni e con la deleteria prospettiva di un aumento generalizzato delle imposte, anche chi oggi fa prettamente tattica, si vedrà costretto a gettare la maschera. Intanto il nuovo coordinatore della Lega all’insegna del «viva la gente» ha già fatto confusione alla seconda uscita pubblica sostenendo imprudentemente il 10% proposto dai socialisti, per poi ritrattare dopo «l’Achtung!» che gli ha intimato il Mattino. È evidente che Daniele Piccaluga pare essere già un osservato speciale del domenicale di Lorenzo Quadri. Al centro politico i rapporti tra i presidenti Fiorenzo Dadò (Centro) e Alessandro Speziali (PLR) sono sì distesi, ma allo stesso tempo improduttivi perché le due forze non riescono a fondersi attorno a un’idea da condividere, per dare vita, osiamo dire «finalmente» viste le molte belle parole spese per questo obiettivo, a una battaglia comune a suon di idee e fatti. E così, a ridersela di gusto rimane Piero Marchesi e la sua UDC che con l’iniziativa per tagliare (questo sì con le forbici) il numero dei dipendenti pubblici, ha portato dalla sua parte il Mattino e, mossa abilissima, esponenti in vista di centrodestra tra le fila di Dadò e di Speziali. E intanto l’UDC riesce a vendersi come la sola forza che, con acume politico al di sopra della media e sfruttando le debolezze altrui, veicola un principio sacrosanto: quando hai l’acqua alla gola non fai voli pindarici, ma metti fieno in cascina. Poi resteremo ad osservare se alle parole, anche per effetto delle elezioni del 2027, seguiranno i fatti.