L’aeroporto della Malpensa è un gigante che resta assopito

Al terminal 2 della Malpensa è la tarda mattinata di una bella giornata primaverile e il sole, che risplende da un cielo terso, fa sentire tutto il suo calore sull'imponente superficie di quello che è considerato uno dei più grandi scali aeroportuali del Sud Europa, rimasto ormai una landa deserta e immobile dallo scorso mese di marzo. Proprio come in un dipinto surreale in cui il tempo è sospeso in attesa che il destino gli dia un segnale per poter riprendere il suo scandire naturale.
Con la chiusura del terminal 1, cuore pulsante e anima dell'hub milanese, i tassisti si sono spostati di alcuni chilometri, concentrandosi - in doppia fila - nell'unico reticolo rimasto accessibile al pubblico, dove prima dell'emergenza coronavirus si concentravano i voli low cost e di minore durata. E dove oggi, invece, partono e arrivano quei pochi aerei che calcano ancora le piste con a bordo i passeggeri oltre al traffico cargo (rimasto in sostanza invariato, ci viene detto, nonostante la pandemia). Lo spettacolo una volta entrati dalle porte automatiche è surreale, agli Arrivi come alle Partenze: ovunque si rivolga lo sguardo corridoi e sedie vuote, saracinesche dei pochi locali abbassate e schermi senza attività. Si intravedono soltanto alcuni addetti alla sicurezza e alle pulizie e qua e là coppie di poliziotti fare avanti e indietro senza fretta. Un bar di fronte ai tornelli d'imbarco ha mantenuto il servizio, ma vicino al bancone non c'è un solo cliente.
La SEA, società che gestisce le attività aeroportuali a fianco dell'ENAC, l'ente nazionale per l'aviazione civile, ha dovuto adattare in fretta strategie e piani. Correre ai ripari per limitare i danni, rivedere i turni di lavoro, proteggere i dipendenti stessi da possibili contagi garantendo la sicurezza. «È un lavoro che continuiamo a svolgere a tempo pieno, mentre colleghi di altri settori, come per esempio gli addetti al carico e allo scarico degli aerei, sono rimasti in buona parte a casa, in cassa integrazione», spiega un dipendente della security della SEA nella sua divisa blu e con il volto coperto da una mascherina.
«I pochi passeggeri rimasti - prosegue - viaggiano soltanto per motivi sanitari o lavorativi. Guardi lei stesso sullo schermo lì davanti: i voli sono meno di una decina. L'unica compagnia in campo sul suolo nazionale è Alitalia, che ne effettua alcuni su Roma e Cagliari. Lufthansa in serata va a Francoforte. Tutte le altre compagnie sono a terra, mentre da qui parte anche un volo per Wenzhou, che trasporta quasi esclusivamente studenti rimasti bloccati nel nostro Paese che vogliono rientrare in patria o persone con attività commerciali tra l'Italia e la Cina». La sicurezza è ovviamente prioritaria in questi tempi di pandemia e gli addetti ai lavori, come questo stesso impiegato, sono tenuti a verificare che «chi si avvicina al gate deve essere in possesso dei documenti in regola, biglietto e autocertificazione aggiornata, che sarà poi vidimata dalla Polizia di Stato».
Il meccanismo rischierà di creare assembramenti quando i voli riprenderanno; ma nessuno, al momento, sa dire quando. Lo scetticismo sull'ipotesi di una rapida ripartenza è diffuso. I sentimenti prevalenti tra gli addetti ai lavori sembrano di rassegnazione e spaesamento. Il 4 maggio, con il preannunciato allentamento delle misure restrittive del Governo di Giuseppe Conte, potrebbe sbloccarsi qualcosa? «Non crediamo», afferma a bruciapelo un altro addetto della SEA che si sta per concedere una pausa a cielo aperto in compagnia di una collega. «Non è una questione di fiducia - aggiunge -. Tutto il traffico aereo del Nord Italia è rimasto fermo, se non per le merci. Ma i passeggeri non torneranno a volare prima che Germania, Francia, Gran Bretagna, Olanda e gli altri Paesi vicini e lontani, non riapriranno i loro aeroporti».
È semplice quanto disarmante. I danni finanziari dello stop, intanto, non sono quantificabili. Si parla di perdite gigantesche e l'impressione è che lo stesso personale non sia edotto fino in fondo su quanto capiterà in conseguenza del lockdown in un settore già tradizionalmente di difficile gestione. La cassa integrazione sarà sufficiente per preservare le migliaia di posti di lavoro? La crisi nell'aeroporto della Malpensa è dirompente. Del resto, neppure la compagnia low cost britannica Easy Jet, la cui presenza al terminal 2 è da tempo la più radicata, vola più. Ma disporrebbe di una liquidità pari a tre miliardi di sterline per salvare l'attività nel breve termine qualora dovesse restare ferma per altri nove mesi. Insomma, scenari pesanti. Altre compagnie avrebbero annunciato l'intenzione di tornare a volare presto, ma non prima del mese di agosto.
Intanto ci si chiede come sarà garantita la sicurezza di chi viaggerà sugli aerei e dello stesso personale di fronte a un numero crescente di passeggeri. A terra come in volo. Per effettuare tutti i controlli, si dice, sono da preventivare ritardi. È il rovescio della medaglia. Un gruppo di sei tassisti discute animatamente all'ingresso dell'aeroporto. L'oggetto del contendere è la quarantena. Violarla, afferma un uomo sulla quarantina, significa incappare in una denuncia penale. Un collega più giovane rilancia: «Lasciano liberi i delinquenti e noi dobbiamo rischiare il carcere». Una sessantina le vetture parcheggiate fianco a fianco davanti al terminal 2 ferme e senza clienti in giro. Nessuno dei presenti, sollecitati, spera che cambi qualcosa il prossimo 4 maggio. Conclude un tassista veterano già sulla piazza da oltre un ventennio: «Speriamo che riprendano almeno le attività a Milano e i viaggi in treno a Firenze, Roma e Napoli. Sarei già contento. Qui alla Malpensa i tempi saranno più lunghi. E nessuno di noi può aspettare ancora così a lungo».
"Predisporre misure protettive per tutelare viaggiatori e personale"
L’intervista a Renzo Canavesi, segretario del sindacato CUB Trasporti Lavoro
Se la crisi dovuta al coronavirus ha avuto effetti dirompenti sul settore passeggeri, che attualmente è ridotto ai minimi termini (con tutto quanto ne consegue per l'attività aeroportuale), il comparto merci ha mantenuto oltre il settanta per cento dell'attività. Renzo Canavesi, segretario CUB Trasporti lavoro, attivo da anni nel settore, spiega che nessuno - per ora - sa quando lo scalo potrà riaprire. Circostanza che per le migliaia di lavoratori in cassa integrazione fa prefigurare un futuro a tinte fosche. Il sindacalista auspica in particolare che in questo periodo di stop, oltre alla sanificazione dell'hub, gli operatori del settore predispongano quanto prima tutte le misure necessarie a tutelare la salute dei viaggiatori e del personale per evitare il rischio di contagi al momento che lo scalo riaprirà.
Dover vedere l'aeroporto più grande del Sud Europa semi-paralizzato fa impressione.
«Sì, decine e decine di aziende che operano alla Malpensa sono state chiuse. Tre quarti delle attività dello scalo che non hanno subito interruzioni riguardano il traffico merci. Sono rimasti trenta-quaranta voli al giorno; pochissimi quelli per i passeggeri, che in gran parte sono utilizzati da cinesi per rientrare in patria. C'è qualche altro volo nazionale ed estero, ma l'attivitàè praticamente ferma dato che tutte le compagnie di volo hanno chiuso in accordo con le autorità dei loro Paesi».
Quali sono le aspettative per le annunciate aperture del Governo italiano il prossimo 4 maggio?
«Per ora non ve ne sono, anche perché un aeroporto intercontinentale come quello della Malpensa vive dei passeggeri di tutto il mondo. L'interruzione delle rotte, non permette al momento di essere ottimisti. Anche nel caso di un ritorno ad una certa normalità (e tutti speriamo in un vaccino contro il coronavirus) c'è un altro fattore che potrebbe giocare contro: la paura di volare per timore di essere contagiati. È certo che i velivoli, in questo senso, sono la parte più difficile da mettere in sicurezza: se le persone a bordo saranno distanziate, il loro numero calerà e lieviteranno i prezzi dei voli. Anche se le compagnie low cost dovrebbero avere margini di manovra, offrendo ormai da anni prezzi stracciati».
Vi sono, anche per questa ragione, compagnie che sarebbero intenzionate a ripartire in fretta. Parola d'ordine: contenere le perdite.
«Sicuramente. Alcune si sarebbero già pronunciate in questo senso. Come la Emirates, che vorrebbe riprendere i voli in giugno. Stessa cosa Air France. Tutto dipenderà anche dalle decisioni del nostro Governo e della Regione Lombardia. L'aeroporto potrà però riprendere la propria attività a pieno regime soltanto quando i passeggeri non avranno più paura di volare, altrimenti aprire non servirà a granché».
Quali sono i problemi principali che si pongono?
«Il primo è quello di garantire la profilassi sanitaria, soprattutto sugli aerei, dove lo spazio è più ridotto. Possiamo distanziare le file, mettere la mascherina e i guanti in lattice, misurare la temperatura corporea di chi è in volo, ma in definitiva sono i viaggiatori a doversi sentire al sicuro e ad acquistare il biglietto. In quest'ottica le compagnie aeree stanno già studiando le contromisure da intraprendere, tra cui anche quella di disporre chi è in volo su posti a sedere alternati. La COVID-19 ha cambiato tutto, bisognerà adeguarsi».
In quale direzione si devono indirizzare gli sforzi?
«L'aeroporto è come uno stadio e ha le sue regole da rispettare. Ci dobbiamo concentrare su come ci attrezzeremo per mettere al sicuro il personale da una parte e chi viaggia dall'altra. A questo scopo dobbiamo mettere in cantiere, fin d'ora, una serie di provvedimenti: penso a vetri divisori in plexiglas, ad apposite segnalazioni di distanza tra una persona e l'altra eccetera. SEA ed ENAC, che gestiscono lo scalo, devono trovare soluzioni praticabili al più presto in vista della riapertura dello scalo per non farsi trovare impreparate al momento del semaforo verde. Bisogna essere pronti da subito, prima che la gente torni a volare. E a questo fine, si capisce da sé, che appena si rimettono in moto le attività sarà necessario aprire subito il terminal 1, più ampio e quindi più sicuro per poter ospitare un numero elevato di passeggeri».
Quanti ne potranno volare tenuto conto che gli assembramenti non saranno permessi?
«Non esistono dati ufficiali, informazioni ufficiose indicano però tra i sei e i diecimila passeggeri al giorno, ma sono solo ipotesi. È chiaro che appena i voli riprenderanno dovranno essere nuovamente operativi entrambi i terminal. Sarà necessario in particolare spostare i viaggiatori dal terminal 2 (dove opera la sola Easy Jet) al terminal 1, perché essendo molto più grande, sarà più facile far rispettare la distanza di sicurezza. Peraltro dovrà essere riaperto anche l'aeroporto di Linate tutt'oggi chiuso. Come detto, ci attendiamo tempestive risposte dalle società aeroportuali. Decidere di sottoporre all'esame del tampone quindicimila persone attive alla Malpensa non è una cosa semplice, come non lo sarà misurare la temperatura di ciascun passeggero. Sono misure strettamente necessarie che vanno però predisposte per garantire la salute di tutti».
In conclusione anche due parole sulla situazione dei negozi dentro allo scalo.
«Questo è un altro bel problema. Molti di questi commerci impiegano uno o due dipendenti, sono l'anello più debole della catena. Complessivamente sono diverse centinaia: attualmente sono stati tutti messi in cassa integrazione. Si tratta di un settore molto debole. Ma se non tornano i viaggiatori in aeroporto come possono, questi negozi, sperare di poter riaprire le loro attività? Vi sono dunque una serie di incognite che nel breve termine non possono avere risposta».