L'allarme senza fine dall'ospedale al-Shifa di Gaza
L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) è molto preoccupata per la sicurezza del personale sanitario, delle centinaia di pazienti malati e feriti e dei neonati che hanno bisogno di assistenza respiratoria, e degli sfollati che si trovano all'interno dell'ospedale al-Shifa della città di Gaza, il più grande, oggetto di ripetuti attacchi. Il segretario generale OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ieri aveva fatto sapere di avere perso i contatti con i suoi interlocutori. «Sono trascorsi 3 giorni senza elettricità, senza acqua e con una connessione Internet pessima, il che ha gravemente compromesso la nostra capacità di fornire cure essenziali – ha scritto su X il numero uno dell'OMS –. I continui spari e bombardamenti nella zona hanno esacerbato la situazione già critica. Tragicamente, il numero di pazienti deceduti è aumentato in modo significativo. Purtroppo l'ospedale non funziona più come ospedale». Poi, nella tarda serata, l'annuncio: «L'OMS è riuscita a mettersi i contatto con gli operatori sanitari di al-Shifa. La situazione è terribile e pericolosa. Il mondo non può restare in silenzio mentre gli ospedali, che dovrebbero essere rifugi sicuri, si trasformano in scenari di morte, devastazione e disperazione». Quindi, l'appello: «Cessate il fuoco, ora».
Secondo un bollettino delle Nazioni Unite ripreso dalla BBC, almeno tre infermieri sono morti nella struttura. Il governo di Hamas afferma che nelle ultime ore è salito a 6 il numero dei neonati prematuri morti e a 9 quello dei pazienti in cura intensiva che hanno perso la vita. Infrastrutture vitali come la macchina per produrre ossigeno, i serbatoi d'acqua e un pozzo, l'unità cardiovascolare e il reparto maternità, sono state danneggiate. Il direttore del centro medico di al-Shifa ha dichiarato ad Al-Araby TV che nessuna delle sale operatorie al momento funziona a causa della mancanza di elettricità: «Sono completamente fuori servizio, e ora i feriti vengono da noi e non possiamo dare loro altro che il primo soccorso», ha detto il dottor Muhammad Abu Salmiya. «Chi ha bisogno di un intervento chirurgico muore e noi non possiamo fare nulla per lui». Il personale stava cercando di mantenere in vita i bambini nati prematuri dopo che l’ossigeno era finito e dovevano essere spostati dalle incubatrici dell’unità neonatale. «Sono stato con loro qualche tempo fa. Ora sono esposti, perché li abbiamo tolti dalle incubatrici. Li avvolgiamo nella carta stagnola e mettiamo dell’acqua calda accanto a loro per riscaldarli». In un'intervista alla Radio Ashams di Nazareth, Abu Salmiya ha aggiunto di essere pronto per l'evacuazione, «ma l'esercito israeliano non lo consente a causa degli intensi spari intorno all'ospedale e della sostanziale presenza di forze, compresi aerei, che impediscono un'evacuazione sistematica o addirittura la rimozione dei corpi».
Ma il presidente israeliano Isaac Herzog smentisce tutto: «Lo neghiamo totalmente, c'è molta propaganda da parte di Hamas. A Shifa c'è l'elettricità, tutto funziona», ha detto parlando con la BBC. Israele in precedenza aveva affermato di avere tentato di fornire carburante al nosocomio e di averne lasciato 300 litri all'ingresso. Ma Hamas nega le accuse secondo cui avrebbe rifiutato la fornitura di carburante all'ospedale. Muhammad Abu Salmiya ha ancora spiegato: «Gli israeliani mi hanno contattato due volte a proposito di rifornimenti. La prima per offrire 2 mila litri, poi un’altra per 300 litri. Tenete conto che l’ospedale ha bisogno di 8-12 mila litri al giorno». E ha definito il luogo in cui l’esercito israeliano gli aveva detto che avrebbe lasciato il carburante «pericoloso ed esposto a potenziali bombardamenti»: «Gli ho detto di mandarne maggiori quantità in modo da poter azionare un generatore attraverso la Croce Rossa», ha aggiunto, «300 litri di carburante sono sufficienti solo per 30 minuti».
Ostaggi e trattative
Ieri, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stato intervistato dalla NBC e ha detto per la prima volta dall'inizio della guerra di essere disposto ad accettare un accordo con Hamas per la liberazione delle persone prese in ostaggio il 7 ottobre. Non ha fornito dettagli sull'eventuale possibilità a trattare, ha solo detto: «Meno ne parlo, più aumenterò le possibilità che si materializzi». Il premier israeliano ha spiegato che prima che iniziassero le operazioni di terra a Gaza nessun'intesa era possibile. «Ma poi le cose sono cominciate a cambiare». Anche il ministro della Difesa Yoav Gallant, parlando con le famiglie dei rapiti, ha detto che Israele è impegnato «a riportarli indietro in ogni modo possibile, sia attraverso attività operative sia negoziati». Lo Stato ebraico sembra dunque non escludere la trattativa, ma resta convinto – come ha affermato Netanyahu – che l'unica strada sia la pressione militare su Hamas e le altre fazioni palestinesi della Striscia.
Il nodo per i negoziati ora è, appunto, l'ospedale al-Shifa, sotto la cui struttura Israele ritiene si nasconda il comando centrale di Hamas. Incalzato dalla conduttrice sulla possibilità che esista un potenziale accordo per il rilascio di altri ostaggi, Netanyahu ha risposto: «Potrebbe esserci». Qualsiasi accordo è «il risultato di pressioni, pressioni militari. Questa è l'unica cosa che potrebbe creare un accordo. E se un accordo è disponibile, bene, ne parleremo quando sarà lì. Lo annunceremo se sarà realizzabile». Alla domanda se sapesse dove sono tenuti tutti gli ostaggi in questo momento, Netanyahu ha detto: «Sappiamo molto, ma non andrò oltre».
Il presidente israeliano Isaac Herzog, sulle crescenti richieste di cessate il fuoco, ha affermato il diritto di Israele a difendersi dopo gli attacchi del 7 ottobre. «Naturalmente ascoltiamo i nostri alleati, ma prima di tutto difendiamo noi stessi». E ha aggiunto che le operazioni delle forze israeliane a Gaza sono state condotte «secondo le regole del diritto umanitario internazionale», con Israele che ha allertato i civili con telefonate e messaggi di testo, e li ha esortati a evacuare dal nord di Gaza e «andare giù a Sud».