L'America di Apollo Creed

Un attore ha dentro di sé tutti i personaggi che interpreta, ma non c’è dubbio che Carl Weathers sia stato e sarà per sempre soprattutto l’Apollo Creed dei primi quattro Rocky. La sua morte, a 76 anni, ha addolorato non soltanto Sylvester Stallone ma anche i suoi colleghi in tanti altri film, primo fra tutti Arnold Schwarzenegger. E offre un pretesto, per quanto triste, per ricordare una vita di successi nonostante la sorte gli avesse servito all’inizio cattive carte.
Sportivo prima di tutto
Weathers era prima di tutto uno sportivo naturale, come si capiva bene dal fisico. Nato in una famiglia poverissima della Louisiana, con il padre lavoratore a giornata, Weathers riuscì ad avere borse di studio in scuole prestigiose grazie al suo talento eclettico: calcio, cosa che negli Stati Uniti degli anni Sessanta era davvero originale, boxe, cosa che gli sarebbe tornata utile, lotta e soprattutto football. Fu una stella a livello di high school ed anche a livello universitario si mise in luce, a San Diego State mentre si laureava in storia del teatro. La recitazione fu fin da subito il suo sogno, ma nel 1970 appena uscito dal college ebbe l’opportunità di giocare nella NFL, oltretutto in una squadra con enorme visibilità come gli Oakland Raiders. Cambiando ruolo e giocando da linebacker la prima stagione per questo ragazzo da 1.90 m per 100 chili fu promettente. Ma la concorrenza era di livello troppo alto e la sua carriera nella lega di football più famosa del mondo si chiuse con 8 presenze, seguite da qualche anno nella lega canadese. Poco per definirlo un ex campione, ma abbastanza per renderlo credibile nelle sue numerose apparizioni come commentatore della NFL moderna.
Norton, il candidato numero uno
Se tutti conoscono a memoria Rocky, soprattutto i primi quattro film della saga, quelli con Apollo, meno nota è la storia di come Weathers sia arrivato a lavorare con Stallone. Che prima di Rocky se la passava davvero male e non poteva avere voce in capitolo nella scelta degli attori anche se l’idea e sceneggiatura (scritta in quattro giorni) erano totalmente sue. Si dice sempre che Apollo sia stato modellato su Muhammad Ali, all’epoca tornato campione del mondo dei pesi massimi, ma la cosa è vera soltanto a metà. Nel senso che per il personaggio di Rocky l’ispirazione di Stallone fu Chuck Wepner, che da netto sfavorito disputò un match eroico, sia pure perdente per K.O. tecnico al quindicesimo round, contro il fuoriclasse nato come Cassius Clay. La prova è che la causa intentata da Wepner a Stallone si sia chiusa con una transazione per una cifra rimasta segreta. Apollo nella sceneggiatura e nelle intenzioni dei produttori rappresentava il sistema, cosa che Ali di sicuro non faceva e non soltanto per il rifiuto di fare il servizio militare ai tempi del Vietnam. Infatti il candidato numero uno per la parte era Ken Norton, pugile vero ma anche attore vero: nel 1973, in un match senza titolo in palio, aveva battuto Ali e gli aveva anche fratturato la mascella, mentre nel 1975 era stato protagonista di Mandingo (il soprannome gli sarebbe rimasto attaccato), film di grande successo. Era insomma inserito nel mondo del cinema più di quanto lo fossero Stallone o lo stesso Weathers, oltre che ovviamente in quello della boxe. E proprio perché in quel 1976 puntava alla sfida mondiale con Ali (allo Yankee Stadium di New York avrebbe perso ai punti, verdetto contestatissimo) rinunciò alle proposte dei produttori di Rocky. Fra le seconde scelte prevalse quindi Weathers, che non era uno sconosciuto, avendo già avuto qualche parte anche in televisione, ma nemmeno era una stella.
Living in America
Weathers divenne così il volto di uno dei personaggi più amati nella storia del cinema, nonostante il suo rivale fosse a sua volta amatissimo. E in quanto Apollo il simbolo del sistema, dello sport asservito al marketing e ad un nazionalismo becero, come perfettamente rappresentato in Rocky IV, con la sua entrata sul ring, vestito da zio Sam, sulle note di Living in America di James Brown. In quell’occasione, contro Ivan Drago, muore ma il suo impatto e la sua simpatia sono stati così forti che il franchise erede di Rocky, cioè Creed, ha come protagonista suo figlio (nella fiction) con Stallone che gradualmente esce di scena. Uno Stallone che lo ha ricordato commosso su Instagram, parlando davanti ad un quadro che li ritrae insieme: «Abbiamo perso una leggenda. Carl Weathers è stato parte integrante della mia vita, del mio successo... Quando è entrato in quella stanza e l'ho visto per la prima volta, ho visto la grandezza. ... Non avrei mai potuto realizzare quello che abbiamo fatto con 'Rocky' senza di lui». Conclusione a beneficio di tutti noi arrivati alla centesima replica televisiva: «Apollo, continua a colpire».
Molto di più
Weathers è stato anche molto altro, lavorando da coprotagonista (nella parte del maggiore George Dillon) con Schwarzenegger e Jesse Ventura, quindi due futuri governatori, in Predator e da protagonista assoluto in tanti altri film, il più bello di tutti forse Action Jackson, in cui interpreta la parte di un sergente della polizia di Detroit. Ma al di là delle mille partecipazioni e comparsate Apollo sarebbe rimasto dentro a noi e anche a lui. Al punto che per il sesto film della serie, Rocky Balboa, del 2006, quando Stallone gli chiese il permesso di usare le vecchie immagini di Apollo per ricordarlo Weathers rispose che avrebbe detto sì solo nel caso lo si fosse fatto tornare in scena. Per un po’ si discusse dei possibili escamotage, tipo un gemello, ma Weathers rivoleva proprio Apollo: si era pentito di avere accettato la sua fine nel 1985. Ma pur con tutta la fantasia del mondo non si poteva far resuscitare un pugile del quale tutti avevano visto la morte sul ring ed il funerale. Meglio così. Come è meglio non aver visto la sfida privata al termine di Rocky III fra Rocky e Apollo. Soltanto nel 2015 Rocky confesserà ad Adonis Creed che aveva vinto Apollo.