L'arte per raccontare la sfida dell'Uomo e del Clima
Scienza e cultura. Raramente le immaginiamo procedere a braccetto lungo le epoche. Raramente le notiamo, l’una di fianco all’altra, stuzzicarci, interrogarci. Paolo Campione, non a caso, presentando la mostra che si apre oggi al Museo delle Culture, ha parlato di «sfida». Ha parlato anche di «avventura». Un termine che rende forse al meglio l’idea dietro la mostra. E che, oltre a scienza e arte, chiama in causa un altro elemento, che è il mito. Il tutto per rispondere a una domanda, semplice solo nella forma: come tradurre la profonda aderenza dell’uomo alla sua ecosfera in un progetto artistico? Campione allora ha pensato a Claude Lévi-Strauss, al suo Pensiero selvaggio - riassunto dallo stesso direttore del MUSEC -, secondo cui «l’uomo, da sempre, conosce in tre modi: attraverso la scienza, attraverso l’arte e attraverso il mito». Tre vie che hanno «pari dignità» e che fanno parte, in profondità, della storia dell’umanità. La mostra «L’Uomo e il Clima» - aperta da oggi sino al prossimo 18 maggio a Villa Malpensata -, insomma, è la risposta a un’esigenza, in particolare quella del suo ideatore, Gianluca Bonetti, è la risposta a una necessità divulgativa.
La scoperta del ghiaccio
L’esposizione parte da un grafico - eccola, la scienza -, relativo all’innalzamento delle temperature, al riscaldamento globale, sì. Ma presto passerà all’arte, ma anche al mito. E torniamo a Lévi-Strauss, alla crescita dell’umano, all’evoluzione della consapevolezza della specie. Non bastasse il grafico, i visitatori si immergeranno nella mostra anche grazie alla suggestione creata dal telo geotessile bianco solitamente usato a protezione dei ghiacciai. Questo telo, in particolare, arriva dal ghiacciaio del Rodano, ritratto anche nella fotografia dello stesso Bonetti. Lo ammette: «La mostra nasce da un’esperienza personale e fotografica», da un’esperienza diretta della sofferenza del nostro pianeta. «I ghiacciai sono la massima testimonianza dell’effetto del riscaldamento globale». Bonetti parla ancora di «bisogno di capire». Il suo, il nostro. Oltre la comprensione, c’è la condivisione, l’accesso al grande pubblico. Che è, potenzialmente, un pubblico universale. Perché tutti siamo toccati dai problemi climatici. Così come tutti siamo stati toccati dalla Piccola Era Glaciale - tema della seconda sala -, tra il XIV e il XIX secolo. Pur essendo considerati i secoli più freddi degli ultimi 11.700 anni, la temperatura media globale del pianeta scese soltanto di 0,6 gradi centigrafi rispetto a quella registrata nel XX secolo, «ben poca cosa - fa notare la curatrice Nora Segreto - rispetto alle grandi oscillazioni climatiche del lontano passato della Terra e al forte riscaldamento cui rischiamo di andare incontro in futuro». Ma abbastanza per permetterci di scoprire, perlomeno in una forma artistica, l’inverno, una stagione sin lì mai indagata fino in fondo, mai ritratta nella sua natura più intima e intimistica. «Stiamo andando verso un nuovo diluvio universale», ha sottolineato Gianluca Bonetti, facendo riferimento al mito biblico ma anche ai contenuti della terza sala. «Per capire cosa sta succedendo e cosa ancora succederà, bisogna conoscere il passato climatico del pianeta», ha aggiunto.
Nuovi mammut
Tornando all’esposizione, la chicca è nel finale. Circa quarantamila anni fa, l’Uomo produsse, oltre a ciò che gli era più funzionale, anche pitture e incisioni rupestri, così come piccole sculture di pietra, osso o avorio, che «testimoniano un processo di evoluzione notevole, sia da un punto di vista intellettuale, che sociale e culturale». In una teca, al MUSEC, troviamo allora alcune statuette risalenti a quell’epoca, le cui sagome sono riconoscibili in un mammut, che è pure l’emblema del Festival (vedi box in basso), in un leone, in un bisonte, in un cavallo. A proposito dei mammut - e vi lasciamo la sorpresa relativa alla quinta e ultima sala della mostra -, l’interrogativo che fluttua tra le stanze è piuttosto chiaro, al di là dell’esplicita scritta su un muro: «Il mammut siamo noi?». È davvero così? «Come accadde al mammut in passato, anche l’Uomo si trova ora confrontato con una sfida ambientale epocale. Il continuo rilascio di gas serra nell’atmosfera rischia infatti di riportare la temperatura del pianeta a livelli che quest’ultimo non conosce da milioni di anni». Con tutte le conseguenze del caso.
L’indifferenza di certa politica
Il tutto mentre, a Baku, si sta svolgendo, nell’indifferenza globale - o giù di lì -, la COP29, ovvero la Conferenza dell’ONU sul clima. Chiediamo a Gianluca Bonetti se non sia frustrante, in qualche modo, lanciare un progetto come «L’Uomo e il Clima» proprio mentre il mondo sembra in una fase di regressione rispetto alla necessaria transizione ecologica. «Il festival si inserisce proprio in questo contesto, con lo scopo di sensibilizzare il più possibile il grande pubblico sulla gravità del momento e sulla necessità di accelerare la transizione, per non andare a sbattere presto contro un muro. Certo che è frustrante vedere Trump togliere il volante al progresso energetico. Ma il senso profondo del nostro progetto è proprio in contrapposizione a questa tendenza». L’obiettivo è fare massa critica. Anche perché, come sottolinea sempre Bonetti «mi sembra non ci sia consapevolezza delle enormi trasformazioni a cui andremo incontro. E questo va ben al di là degli eventi estremi di cui siamo ormai spettatori». Il riferimento è al futuro, del Clima sì, e dell’Uomo.