La novità

«L’autismo si batte sul nascere»

L’esperta Costanza Colombi spiega un nuovo modello di intervento sviluppato per i bambini dai 6 mesi
(foto CdT)
Romina Borla
18.01.2019 14:36

Sconquasso è la parola giusta per definire l’arrivo di un bimbo in una famiglia. Se poi si tratta di un piccolo «speciale», lo scompiglio è anche più grande (come le preoccupazioni). Stiamo pensando a quei bambini che presentano dei disturbi dello spettro autistico. Essi vivono in mondi tutti loro, distanti dagli altri. Luoghi silenziosi ed apparentemente inaccessibili. Troppo sensibili, fanno fatica a rimanere fermi, concentrati e si rifugiano in azioni ripetitive che (quasi) nessuno riesce ad interpretare. Secondo recenti studi americani, tali disturbi interesserebbero un bambino su 68. In Ticino esiste un servizio apposito dedicato a loro (UNIS): in un anno e mezzo ne ha incontrati una novantina. I ricercatori sottolineano con forza l’importanza delle diagnosi precocissime e presentano nuove metodologie di intervento terapeutico, come l’Early Start Denver Model (ESDM), un modello sviluppato specificatamente per i bambini nelle prime fasi di vita (viene sperimentato a partire dai sei mesi e pare dare dei risultati molto positivi). In Ticino tale metodo non è diffuso così l’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale ha deciso di invitare a Lugano, questa settimana, una delle massime esperte in materia per presentarlo (leggi articolo in basso). Si tratta di Costanza Colombi, professoressa nel Dipartimento di psichiatria dell’Università del Michigan. L’abbiamo intervistata.

Dottoressa Colombi, cos’è l’autismo?
«
L’autismo è un disturbo del neurosviluppo con esordio infantile – i segnali emergono nei primi anni di vita – che prevede un ampio spettro di manifestazioni cliniche, tant’è che oggi è più corretto dire disturbi dello spettro autistico (in inglese autistic spectrum disorders o ASD). A questo disturbo si associano comportamenti atipici in differenti ambiti. In primo luogo si presentano difficoltà a livello della comunicazione e della relazione. Il bambino infatti mostra un ritardo del linguaggio o perde un linguaggio già acquisito. Anche la comunicazione non verbale è ridotta. Il contatto visivo è limitato, le espressioni del viso ridotte. Il piccolo usa mimica e gestualità in modo atipico. Inoltre ha difficoltà ad integrare le diverse modalità di comunicazione. Soprattutto fa fatica a cercare l’altro, ad iniziare un’interazione. In seconda battuta chi è affetto da ASD mostra comportamenti ristretti e ripetitivi, ad esempio lo sfarfallio continuo delle braccia oltre il periodo che lo prevede come naturale (18-24 mesi). Un bambino autistico può manifestare un interesse specifico per parti di oggetti (ad esempio invece di giocare con la macchinina in modo flessibile si concentra sulle ruote), odori oppure materiali particolari (se li sfrega in continuazione sulla faccia o sul corpo). Fa una gran fatica ad accettare il cambiamento, nelle transizioni di luogo e di attività».
Per quello che riguarda l’aggressività?
«Il comportamento aggressivo non fa parte del nucleo dei sintomi e nei piccolini si presenta raramente. Meglio, si presenta come nei bambini a sviluppo tipico. Ma emerge nel corso dello sviluppo, soprattutto in mancanza di capacità comunicative e di trattamenti adeguati».
Quali sono le cause dei disturbi dello spettro autistico?
«Sono state avanzate molte ipotesi sulle possibili cause dell’autismo ma non si è ancora arrivati alla formulazione di teorie soddisfacenti. Si pensa comunque che i fattori genetici contribuiscano in maniera significativa al rischio di sviluppare un disturbo dello spettro autistico. Infatti è più frequente in famiglie dove ci sono state delle diagnosi in tal senso. Una curiosità: colpisce più i maschi rispetto alle femmine».
Ci può dire qualcosa sul presunto legame tra il vaccino e l’insorgenza dell’autismo nei bambini?
«Secondo le evidenze in possesso della comunità scientifica possiamo affermare che non c’è alcuna relazione tra vaccini e autismo. Alcuni studi retrospettivi statunitensi, che prendono in considerazione l’epidemiologia degli ultimi 10 anni, hanno evidenziato che esiste un’incidenza maggiore del disturbo nei bambini non vaccinati. Questo non significa che il vaccino protegga dalla malattia, ma si spiega con il fatto che i genitori di figli affetti dal disturbo (o che hanno un famigliare che ne soffre) preferiscono non vaccinare gli altri bambini per una sorta di pregiudizio. Altro dato interessante: ASD sono presenti anche nei Paesi in via di sviluppo dove i vaccini non sono molto diffusi».
Ad oggi non c’è ancora una cura che consenta di guarire dall’autismo, ma esistono trattamenti riabilitativi che migliorano significativamente la sintomatologia e la qualità di vita. Come quello che lei presenta a Lugano questa settimana, l’Early Start Denver Model. In parole semplici, di cosa si tratta?
«Cominciamo col dire che prima arriva la diagnosi e l’inizio dell’intervento specifico basato sulle evidenze sperimentali, più favorevole sarà la prognosi. L’ESDM, sviluppato dalla mia professoressa di dottorato, Sally Rogers, insieme a Geraldine Dawson, è proprio un modello di intervento specifico per i bambini nelle prime fasi di vita, in modo da sfruttare al massimo la loro plasticità cerebrale (sono in atto delle sperimentazioni con bimbi già a partire dai 6 mesi). È un approccio che fonde vari modelli teorici e utilizza le conoscenze attuali sullo sviluppo del bambino tipico, oltre agli aspetti relazionali (le interazioni positive col terapeuta sono dunque fondamentali). I genitori, i nonni e le altre figure di riferimento del bambino vengono coinvolti attivamente per lo sviluppo degli obiettivi e l’implementazione dell’intervento. Inoltre entrano in gioco le tecniche comportamentali che vengono applicate in modo naturalistico. Il focus rimane sul bambino: è lui che sceglie le attività (sul pavimento, in piedi, al tavolino) e le co-costruisce insieme al terapeuta (imitazione, turni, scambio continuo). L’idea è quella di sfruttare al massimo la sua motivazione. Si pone molta attenzione sulla comunicazione. Si insegna seguendo le tappe evolutive del piccolo (se egli produce solo suoni di vocali, si propongono le consonanti probabili nello sviluppo: ba, ma, ecc.). Importante riuscire a modulare l’attivazione del bambino (in presenza di un paziente passivo ci si propone con energia, al contrario se il bimbo mostra livelli di attivazione troppo alti bisogna rallentare le attività, abbassare il tono della voce, ecc.). Gli interventi dovrebbero essere applicati in vari contesti (casa, nido, ecc.) idealmente da tutte le persone in contatto col bambino. Per quante ore? Il piccolo con ASD deve stare in interazione con l’adulto per la maggior parte del tempo. L’ESDM suggerisce una ventina di ore spese in modo produttivo. Purtroppo non tutti i Paesi hanno le risorse per garantirle. In questo caso la partecipazione all’intervento da parte delle figure importanti per il bambino (genitori, nonni e maestre) è fondamentale per raggiungere questa intensità».

«COLPITO UN PICCOLO SU 68» - NEL LUGANESE UN’UNITÀ DI SOSTEGNO SPECIALE

L'Early Start Denver Model (ESDM), come detto, è un programma di intervento precoce pensato per i bambini che soffrono disturbi dello spetto autistico (ASD). In Ticino non è ancora diffuso, per questo l’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale (OSC) ha invitato Costanza Colombi – la figura di riferimento per l’utilizzo di tale metodo non solo in lingua italiana – per un workshop di formazione a Lugano destinato a cinque psicologi e psicoeducatori del servizio (15-18 gennaio). Questi professionisti, che si occuperanno di sostenere altrettanti bambini e le loro famiglie, verranno poi seguiti a distanza dall’esperta lungo l’arco di un anno con lo scopo di ottenere una certificazione. Se l’esperimento si rivela efficace potrebbe rappresentare una speranza in più per molti piccoli pazienti. Ma quanti sono in Ticino? «Negli ultimi anni si è assistito ad un incremento delle stime di prevalenza di tali disturbi, i quali interesserebbero un bambino su 68 secondo recenti studi USA». Ad affermarlo Paolo Manfredi, responsabile dell’Unità di sviluppo (UNIS) dell’OSC istituita per l’intervento diretto a piccoli e giovani con ASD oltre alle loro famiglie (Viganello). «I ricercatori in genere ritengono che la diffusione dei ASD sia simile in tutti Paesi, non vi è dunque una prevalenza etnica o culturale. Per quel che riguarda il Ticino, UNIS esiste da agosto del 2017. In questo anno e mezzo siamo entrati in contatto con una novantina di pazienti, dai 2 fino ai 18 anni e oltre». Un numero non indifferente. In precedenza la diagnosi arrivava relativamente tardi, tra i 4 e i 5 anni. Oggi lo screening svolto dai pediatri ha permesso di abbassare l’età. E, in questi casi, intervenire subito con terapie mirate è fondamentale. Come detto, però, l’ESDM non è diffuso. Allora cosa si fa attualmente per aiutare questi bambini «speciali»? Il Cantone è attrezzato per rispondere in maniera valida, ma per i più piccoli molto rimane ancora da fare. «Comunque esperienze positive in questo senso esistono», sottolinea Manfredi. «Dal 2011 presso OTAF è stato ad esempio sviluppato un approccio terapeutico basato sull’analisi applicata comportamentale con l’impiego del metodo ABA (Applied behavior analaysis o Analisi comportamentale applicata). L’idea alla base del progetto, portato avanti dal professor Gian Paolo Ramelli, consiste nell’aiutare i bambini affetti da autismo in età prescolare con un’attività riabilitativa precoce ed intensiva che sfrutta al massimo la plasticità cerebrale». Mentre la fondazione ARES – che lavora con bambini più grandi, ragazzi e adulti – propone un programma di intervento psicoeducativo ispirandosi a tutti quei modelli che offrono evidenze scientifiche, costruendo su misura dell’utente un progetto educativo individualizzato, quindi in parte anche al modello TEACCH, che è un riferimento anche per UNIS. «TEACCH rappresenta una modalità di presa a carico globale della persona affetta da autismo», spiega il nostro interlocutore. «Per il modello in questione è fondamentale rendere l’ambiente il più adatto possibile alle abilità del bambino. Gli sforzi di educatori, terapisti e genitori non sono limitati all’insegnamento di nuove abilità, ma concentrati anche nella facilitazione dell’uso indipendente delle abilità possedute, creando un ambiente strutturato». Un’altra dimensione molto curata nel TEACCH è l’organizzazione concreta della sequenza di azioni o attività che si svolgono nel tempo. La chiarezza delle azioni e attività da svolgere permette di ridurre nel bambino lo stress e il nervosismo causato il più delle volte dalla mancata comprensione di ciò che si deve fare, dove si deve andare, ecc. «Miglioramenti evidenti nella qualità di vita dei pazienti affetti da ASD – osserva l’intervistato – sono introdotti pure da buoni interventi di ergoterapia, logopedia, psicoterapia e psicomotricità, studiati per fasce d’età naturalmente». E la possibilità di sperimentare l’arte terapia. Fin qui abbiamo parlato di interventi in età infantile, ma un altro grande problema dell’autismo è il destino dei ragazzi una volta cresciuti. «Le strutture di sostegno in parte esistono», indica Manfredi. «Come detto ARES si occupa anche di adulti e sta cercando di promuovere l’attività per questi ultimi. Tuttavia le risposte di tipo assistenziale, riabilitativo e psichiatrico date dalle istituzioni preposte dimostrano spesso meno specificità di intervento man mano che l’età dei pazienti avanza».

STORIA

«La diagnosi? un sollievo»

«Quand’è nata mia figlia, 38 anni fa, si parlava poco di disturbi dello spettro autistico, quindi è stato difficile capire cosa non funzionava, perché non riuscivamo a relazionarci con lei», dice Patrizia Berger, presidente di Autismo Svizzera italiana o ASI (www.autismo.ch). «I suoi problemi comunque sono emersi subito ai nostri occhi, ad appena 8 mesi. Invece di progredire, infatti, Sara accumulava sempre più ritardo rispetto ai coetanei (nell’autonomia, nel muoversi, nel linguaggio). E soprattutto notavamo che si ripiegava su sé stessa». I curanti dicevano: aspettiamo, magari recupera. La diagnosi insomma non arrivava. «Abbiamo iniziato con la psicoterapia, la logopedia e l’ergoterapia». Però i comportamenti bizzarri della piccola, che nel frattempo aveva concluso la scuola dell’infanzia e frequentava le Elementari, diventavano sempre più evidenti. «Un giorno sono andata a prenderla e l’ho trovata sotto il banco. Mentre i compagni la definivano strana e cattivella». Intanto lo spaesamento e la disperazione dei genitori si ingigantivano, non capendo i comportamenti della bambina e credendo di aver fatto qualcosa di sbagliato. «Parallelamente tra me e Sara si era creato un rapporto quasi simbiotico – continua Patrizia – perché, non riuscendo ad esprimersi a parole fino ai 5 anni, si appoggiava a me, la sua interprete davanti al mondo». Nemmeno la notte le due si staccavano e i mesi passavano. «Si susseguivano scontri pazzeschi, lei aveva reazioni fortissime che ci spiazzavano. Ad esempio se le mettevo nel piatto due cibi diversi lei andava in crisi e buttava in aria il piatto». Ma la mamma non si è mai arresa. Studiava il modo di prendere la figlia, quali elementi la calmavano, e nel contempo interpellava una serie di specialisti anche fuori cantone finché è arrivata la diagnosi. «È stata in un qualche modo un sollievo», dice la nostra interlocutrice. «Non era colpa mia e non si trattava di capricci. Ci trovavamo confrontati con un funzionamento diverso dagli altri bimbi... Così abbiamo iniziato un percorso di sostegno più mirato, costellato da momenti artistici».