L'analisi

L’avanzata dei dividendi prosegue e le prospettive rimangono buone

La parte degli utili distribuita agli azionisti è aumentata ancora a livello mondiale, raggiungendo un nuovo record nel 2023 – Il Global Index indica un ammontare complessivo di 1.655 miliardi di dollari USA, con una previsione di ulteriore incremento per quest’anno
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
18.03.2024 06:00

È un indicatore non secondario dell’andamento delle attività delle imprese e anche per alcuni aspetti dello stato di salute dell’economia più in generale. Parliamo del livello dei dividendi, cioè dell’ammontare di quella parte degli utili che le società distribuiscono agli azionisti. Se le imprese realizzano nel complesso buoni profitti con continuità e possono così dare con regolarità buoni dividendi, l’indicatore è in territorio positivo. Ed è quanto si è verificato anche nel 2023. Il rallentamento economico non si è trasformato in recessione internazionale – i Paesi con il segno negativo per il Prodotto interno lordo sono molto pochi – e al tempo stesso l’ammontare dei dividendi è salito ancora.

I dati

Il rapporto Global Dividend Index, a cura della Janus Henderson, società internazionale di gestione con sede a Londra, fornisce un quadro articolato sulla remunerazione per gli azionisti di società quotate. I dividendi a livello mondiale per il 2023 sono indicati in una cifra da record come 1.655 miliardi di dollari USA (1.456 miliardi di franchi al cambio attuale), con un incremento annuo del 5% su base sottostante, escludendo quindi effetti valutari e versamenti di carattere straordinario. L’indice dei dividendi in punti, che ha come inizio il 100 del 2009, è salito così a fine 2023 a 228, contro il 215,8 di fine 2022 e il 199 di fine 2021. Gli autori del rapporto a questo punto prevedono per il 2024 un ulteriore aumento dei dividendi a 1.720 miliardi, con un altro incremento annuo del 5%.

A parte la parentesi del 2020, anno dell’esplosione della pandemia e delle cadute annuali dei PIL, la progressione dell’ammontare dei dividendi negli ultimi sette anni è stata chiara. Nel 2017 i dividendi erano a 1.235 miliardi di dollari, nel 2018 a 1.353 miliardi, nel 2019 a 1.396 miliardi, nel 2020 a 1.235 miliardi, nel 2021 a 1.445 miliardi, nel 2022 a 1.567 miliardi e nel 2023 come detto a 1.655 miliardi. Poiché per dare dividendi agli azionisti occorre fare utili – una distribuzione in assenza di utili può essere solo temporanea e legata ad eventuali riserve societarie – è implicito che il livello della redditività delle imprese è rimasto buono, al di là degli alti e bassi collegati alle variazioni del quadro economico. I casi di società che sono andate male non hanno frenato più di quel tanto l’onda delle molte società che sono andate bene.

Settori e Paesi

Nel 2023 una forte spinta ai dividendi è venuta dal settore delle banche, che è al primo posto con una cifra di 219, 9 miliardi di dollari; l’aumento dei tassi di interesse in funzione anti inflazione ha contribuito per la sua parte al buon andamento complessivo delle attività bancarie. Al secondo posto i produttori di petrolio e gas con 148,1 miliardi (in lieve diminuzione dopo il record del 2022, che era legato anche all’aumento dei prezzi nel ramo energia). Al terzo posto il settore farmaceutica e biotech con 101,9 miliardi, al quarto il settore telecom con 73,7 miliardi, al quinto il settore utilities (erogazione e gestione di servizi pubblici) con 69,7 miliardi.  Il plotone dei primi dieci settori per dividendi è completato poi nell’ordine da assicurazioni, software, semiconduttori, immobiliare, veicoli.

Per quel che riguarda la suddivisione per Paesi, gli Stati Uniti nel 2023 hanno fatto ancora una volta la parte del leone, con 602,1 miliardi di dollari in dividendi. Al secondo posto il Regno Unito con 85,9 miliardi (in leggera flessione sul 2022), al terzo posto il Giappone con 78,9 miliardi. Il quarto posto è della Francia con 68,7 miliardi, il quinto del Canada con 63 miliardi. Al sesto posto c’è la Germania con 56,6 miliardi, al settimo Hong Kong con 55,5 miliardi, all’ottavo la Cina con 52,3 miliardi, al nono la Svizzera con 48 miliardi, al decimo Taiwan con 29,8 miliardi. L’Italia è al dodicesimo posto, con 20,1 miliardi (in aumento dopo il calo del 2022).

La Svizzera

La cifra raggiunta dalla Svizzera è sotto molti aspetti di rilievo, considerando anche le dimensioni non grandi del Paese, e rappresenta un record per le latitudini elvetiche. I 48 miliardi del 2023 sono arrivati dopo i 44,2 miliardi del 2022 ed i 42,8 miliardi del 2021. Circa metà della cifra dei dividendi svizzeri viene da tre grandi gruppi: Nestlé, Novartis, Roche. Ma il rapporto segnala anche il fatto che dopo questi ci sono altri gruppi e società con targa elvetica che sono andati bene per quel che concerne i dividendi. C’è inoltre da tener conto che la buona performance svizzera nel 2023 in termini di distribuzione degli utili è arrivata nonostante il peso dell’assenza dei dividendi del Credit Suisse, che è caduto in crisi proprio l’anno scorso ed è stato poi acquisito da UBS.

Il lingotto naviga nell'area dei massimi

La quotazione dell’oro è in area massimi. Quest’ultimo venerdì il prezzo di un’oncia di metallo giallo si è attestato attorno ai 2.160 dollari USA. Si tratta di un progresso di oltre l’8% in rapporto a dodici mesi prima e di oltre il 4% rispetto all’inizio di quest’anno. La tendenza di lungo periodo del lingotto è chiaramente all’apprezzamento. Ma ci sono state fasi, talvolta anche non brevi, in cui la quotazione non è cresciuta o è cresciuta poco. La fase attuale è invece di crescita marcata, in particolare dall’ultimo trimestre del 2022 il trend al rialzo è tornato a manifestarsi, al di là di alcune oscillazioni temporanee. Tra gli esperti ora ci sono pareri diversi su quanto ancora possa salire la quotazione dell’oro. C’è chi la vede in rialzo anche nei prossimi mesi, chi la vede in stabilizzazione e chi la vede in un ribasso, seppur leggero. In questo momento sono però in pochi a ritenere che il prezzo del metallo giallo possa registrare forti cali. I molti che escludono ribassi consistenti per il lingotto si basano su un insieme di ragioni. Alcuni analisti danno maggior peso ad una ragione anziché ad un’altra, ma quasi tutti indicano comunque l’esistenza di più motivi. Un punto sottolineato è quello delle tensioni geopolitiche e dei conflitti bellici esistenti nel mondo. Se da un lato il rallentamento economico non si è trasformato in recessione internazionale, smentendo le previsioni più pessimistiche, dall’altro la geopolitica crea incertezze. Molti investitori agiscono quindi su un doppio binario: da un lato investono nelle Borse, che sono infatti salite, tenendo presente lo scenario economico rassicurante; dall’altro lato investono anche in oro come rifugio, tenendo conto del quadro geopolitico. Sul versante del mercato azionario gli investitori nella migliore delle ipotesi possono contare sia su un aumento delle quotazioni dei titoli, sia su un dividendo. Sul versante del lingotto non c’è dividendo, ma c’è una probabilità alta di conservazione o di incremento del valore. Un altro punto riguarda le dinamiche del dollaro USA e dei tassi di interesse. Dopo una fase di rialzi, la valuta americana dagli ultimi mesi del 2022 ha registrato una tendenza al ribasso, seppur non enorme. In virtù dell’importanza sia economica sia geopolitica degli Stati Uniti, e in virtù della sua rilevanza per gli scambi mondiali, il dollaro è spesso oggetto di investimenti finanziari. Quando la valuta USA rallenta, come è accaduto nell’ultimo anno e mezzo, una parte degli investitori quasi sempre punta qualche carta in più sull’oro. Ma c’è anche un discorso di tassi. L’oro appunto non ha né interessi né dividendi, dunque quando i tassi sono più alti ha più concorrenti come investimento e quando i tassi sono più bassi ne ha meno. Si può giustamente obiettare che i tassi dal 2022 sono stati alzati dalle banche centrali, ma è anche vero che negli ultimi mesi non ci sono stati altri rialzi e che le previsioni quasi unanimi sono di tagli ai tassi nei prossimi mesi. È probabile che una parte degli investitori quindi si sia portata avanti, andando verso l’oro. A proposito di banche centrali, ecco un altro punto. Gli acquisti di oro da parte di istituti centrali che vogliono rafforzare le loro riserve sono consistenti, soprattutto per quel che riguarda i Paesi emergenti. Anche questo contribuisce a tener alto il prezzo. L’oro è un importante investimento finanziario, ma è anche un bene industriale. Dunque c’è anche il punto dell’utilizzo nell’industria, nella gioielleria in particolare ma anche in altri settori. La tenuta della domanda industriale di oro ha pure supportato le quotazioni del metallo giallo. A ciò si può aggiungere che l’oro è prezioso per via della sua inalterabilità ma anche per via della sua relativa scarsità. La produzione di oro non è molto grande, il numero delle miniere non è molto ampio. L’offerta non può dunque crescere più di quel tanto e quando la domanda resta alta c’è un ulteriore contributo all’aumento della quotazione.