«Le infiltrazioni mafiose nelle curve di Inter e Milan? La repressione non ha aiutato»

Estorsioni, minacce, aggressioni. E omicidi, ovviamente. Sembra un film, pensando anche agli addentellati con il mondo dello spettacolo, e invece è la realtà: le curve di Inter e Milan sono finite nel mirino della Procura di Milano. E questo perché gli ultras, negli anni, si sono mischiati con i delinquenti. Lo dimostrano le 568 pagine dell’ordinanza con cui il giudice Domenico Santoro ha disposto la custodia cautelare in carcere per 16 persone e i domiciliari per altri tre. Dentro quelle pagine c’è di tutto. A cominciare dai rapporti con la ‘ndrangheta. Come leggere, però, questi rapporti? Dove e come sono nati, soprattutto? Per capirne di più ci siamo rivolti a Sébastien Louis, dottore in Storia contemporanea e specialista del tifo radicale in Europa e Nordafrica, nonché autore del libro Ultras: gli altri protagonisti del calcio edito da Mimesis.
Dottor Louis, innanzitutto: le infiltrazioni mafiose e le attività criminali sono una particolarità di Milano e, quindi, delle curve di Inter e Milan o, oramai, parliamo di una realtà diffusa anche altrove in Italia e nel mondo?
«Milano, lo sappiamo bene, è la capitale economica della criminalità organizzata calabrese. Una criminalità che ritroviamo nella politica, nella sanità, nell’edilizia, nel mondo della notte e in diversi altri ambiti. Possiamo dunque capire perché vi sia un interesse per controllare le curve di Inter e Milan. Non direi, però, che la criminalità organizzata sia una realtà diffusa anche altrove, a livello di curve, anche se a Torino abbiamo già avuto alcune prove che hanno rilevato l’interesse dei clan sulla Curva Sud della Juventus. D’altronde, parliamo delle tre squadre più seguite e tifate nel Paese. Per forza di cose rappresentano delle prede per le cosche mafiose. Non significa, tuttavia, che la criminalità organizzata abbia preso possesso di tutte le curve. Assolutamente no. È ovvio che nelle metropoli, dove girano più soldi, ci sia un maggiore interesse».
In che modo, e quando soprattutto, la mafia è riuscita a entrare nelle curve? Per quali motivi e con quali scopi, ancora?
«È una domanda complicata. In primis, dobbiamo capire che le curve non sono gestite direttamente dalla malavita. Sono gestite, semmai, da alcuni soggetti che girano attorno al mondo della criminalità, ma non sono affiliati da sempre alla mafia. Parlerei, insomma, di processo di mafizzazione. E mi limiterei ad alcuni soggetti: la stragrande maggioranza di chi frequenta la Nord e la Sud di Inter e Milan, il 99%, non c’entra nulla con tutto questo. Sono ultras che vanno allo stadio e in curva per tifare i propri colori e la propria squadra del cuore. Sul perché le mafie siano entrate, beh, direi che hanno capito che in questi ambienti c’era modo per fare soldi. Come nei rifiuti, nella sanità, nella politica e in altri settori».
Ma gli ultras non dovrebbero respingere queste infiltrazioni? Dov’è finito il binomio coerenza e mentalità, al di là del fatto che nelle curve ci sia sempre stata violenza? Se i leader della Nord e della Sud si lasciano avvolgere dagli ambienti mafiosi, possono considerarsi ancora veri ultras?
«La mentalità degli ultras non può respingere le infiltrazioni. Non lo fa la società, non lo fa lo Stato. Perché dovrebbe pensarci una sottocultura che non ha ha disposizione niente, neanche lo 0,0001% dei mezzi di uno Stato? Rimanendo all’Italia, da decenni le organizzazioni criminali hanno invaso la politica e, come dicevo, altri settori chiave. Arrivando ai livelli più alti. Come potrebbe, appunto, una sottocultura resistere a organizzazioni del genere? È molto difficile».
Ribadiamo: quei leader di Inter e Milan, così violenti e così collusi, possono ancora considerarsi veri ultras?
«È una questione complicata, più di quanto si pensi. Le organizzazioni criminali hanno allungato le mani sulle curve di Inter e Milan. Ma questo non significa che queste curve non abbiano un’etica, una filosofia come la chiamano loro. Una filosofia, certo, molto particolare, spesso difficile da capire. La repressione folle che esiste in Italia contro gli ultras, nel mirino delle autorità finiscono anche semplici strumenti del tifo, fa sì che le strutture come la polizia e il governo non siano ben viste. E questo ha permesso la diffusione di alcune norme della criminalità, come l’omertà, nelle tifoserie. Ma, ripeto, una curva come può respingere dei personaggi così pesanti e influenti? Una curva non può gestire simili dinamiche».
A proposito di dialettica e contraddizioni: gli ultras, un tempo, difendevano i «veri valori» come il rispetto per la maglia, la mentalità e via discorrendo. Oggi, almeno leggendo gli atti, l’interesse era esclusivamente rivolto ai guadagni e al malaffare. Possibile?
«Gli ultras continuano a difendere il rispetto per la maglia. Lo faranno sempre. È ovvio che, se leggiamo agli atti, sembra che alcuni personaggi avessero in mente solo i guadagni. Ma, appunto, sono persone che con il tempo si sono allontanate dalla figura dell’ultrà comune. La stragrande maggioranza di chi frequenta le curve, come spiegavo, non si riconosce in simili comportamenti. Sarebbe come dire che tutti i politici sono corrotti sulla base di chi, in politica, è stato condannato per corruzione. O prendiamo i Comuni sciolti per mafia, in Italia, dal 1992 al 2024. Mi pare siano 386. Significa che tutti i Comuni sono mafiosi? No. Significa, questo sì, che ci sono delle infiltrazioni. Ma è difficile, per una sottocultura che già deve fronteggiare la repressione, molto forte in Italia, difendersi dalle mafie».


In che modo quella che lei chiama repressione avrebbe avuto un ruolo?
«Il potere politico, da anni, va contro la cultura degli ultras. Tralasciando la prevenzione e mettendo direttamente all’angolo le curve con una repressione molto forte. Una repressione inutile. Che non ha messo fine agli scontri, anzi: ha fatto vedere il peggio, cioè la criminalizzazione di comportamenti folkloristici come l’uso dei fumogeni, i DASPO rifilati solo per aver indossato una maglietta con la scritta ''diffidati'', i divieti alle trasferte per le tifoserie gemellate. L'ultrà ha iniziato a pensare che lo Stato, alla fine, sia un nemico. Si è dunque diffusa una Weltanschauung, una ''visione del mondo'', che ha accomunato alcune norme della filosofia degli ultras e alcune norme della criminalità organizzata. La repressione, certo, non ha aiutato a respingere le infiltrazioni mafiose».
Penetrazioni e infiltrazioni mafiose, strumentazioni politiche. Hanno ancora senso le curve così come erano state concepite, detto che la stragrande maggioranza degli ultras non la pensa come i leader delle curve di Inter e Milan?
«Sì, hanno senso. Le curve sono uno dei pochi spazi eterogenei e trasversali del Paese. Al loro interno troviamo generazioni, ceti sociali e idee politiche differenti, con un'unica fede in comune: la squadra. È qualcosa di importante. Le curve sono lo specchio della società. Anni fa, si parlava dell’estrema destra che aveva fatto breccia nelle curve. E l’estrema destra, oggi, è al potere in Italia. Quello che non ci piace, di questi ambienti, non è qualcosa di specifico che lì rimane. È qualcosa di specifico, appunto, della società tutta. Quando sono nate le curve in Italia, fra gli anni Sessanta e Settanta, gli ultras erano su posizioni di sinistra, anche estrema. Le cose sono cambiate fra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, con una virata verso l’estrema destra. Una svolta, diciamo, ovvia. Proprio perché la società italiana era cambiata. Sia quel che sia, la politica ha poco spazio nelle curve, oggi: ce n’è pochissima. E anche di mafia ce n’è poca: è legata solo ad alcune curve e alcuni personaggi. Le organizzazioni criminali non rappresentano in alcun modo il movimento. Un movimento radicato sul territorio, da Trapani a Trieste, con oltre 150 tifoserie fra Serie A, B e C, per tacere di Dilettanti, Eccellenza e via discorrendo. Quasi nessuno, tenendo conto dell’insieme, ha interesse a fare soldi. Siamo di fronte a tante, tantissime organizzazioni nate dal basso e autogestite che mettono il bene del collettivo, cioè il gruppo e la tifoseria, davanti all’interesse individuale. In questi giorni, parlando con gli ultras di tutta Italia è emerso come non si ritrovino nell'immagine veicolata dai media. Parliamo di ragazzi, nella stragrande maggioranza dei casi come dicevo, che fanno sacrifici per portare avanti la curva, per seguire la squadra in trasferta, per trovare i soldi per una coreografia e per pagare le spese della sede. Poi, certo, come in tutti gli spazi sociali c'è chi, purtroppo, ne ha approfittato».
C’è anche chi, pensiamo alle società, ha cercato il contatto con questi ultras. Perché?
«Alcuni presidenti, già alla fine degli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta, hanno letteralmente comprato la pace sociale. Diverse società, di alto profilo, hanno iniziato a regalare biglietti alle tifoserie organizzate proprio per comprarsi la pace sociale. Alcuni soggetti, a quel punto, hanno iniziato a fare soldi rivendendo questi biglietti. Lo Stato e le società hanno giocato un ruolo determinante, tornando alle mafie e al loro ingresso nelle curve. E questo perché non hanno voluto fare una politica aperta e di dialogo con gli ultras, preferendo la repressione e aiutando di riflesso la penetrazione mafiosa. I famosi DASPO, i divieti generalizzati ad accedere alle manifestazioni sportive, vengono dati ai ragazzi che magari si fanno beccare con un fumogeno o altro, ovviamente anche a quelli facinorosi protagonisti di scontri e incidenti, ma parliamo di misure che non toccano minimamente le cosche».


Chi sono, allora, i frequentatori delle curve in Italia se nella stragrande maggioranza dei casi parliamo di persone normali?
«Le curve hanno senso, dicevo, perché sono ancora uno dei pochi spazi sociali, in Italia, in cui troviamo di tutto: dal disoccupato all’avvocato, passando per il giornalista o addirittura il poliziotto. La curva è di tutti: giovani, vecchi, donne, tante donne, disabili. Gli ultras anziani iniziano a essere tanti. E questo perché la società italiana è invecchiata parecchio: di nuovo, la curva è lo specchio di ciò che accade fuori. Gli ultras sono un fenomeno interessante da studiare. Il loro è uno spazio interclassista e davvero meritocratico. Chi arriva in cima, per certi versi, è perché ha dimostrato vero attaccamento alla squadra. Andando alle riunioni, partecipando alle trasferte, facendo coreografie, investendo tempo e soldi, dedicando tutto sé stesso a una passione. Questi ragazzi fanno del tifo e della cultura a esso associata la loro vita. Certo, a volte si comportano in maniera eccessiva. Ma spesso con toni più carnevaleschi e pittoreschi».
Ma politicamente, come si schierano questi tifosi?
«Politicamente c’è di tutto. Ma posso affermare, con certezza, che la politica non conta quasi più nelle tifoserie. C’è, ovviamente, una storia delle curve legata alla politica. Come la società italiana, tuttavia, la maggior parte degli ultras è disinteressata alla politica nel senso di partito o di governo. Non significa che gli ultras non siano attenti al sociale, alla cosiddetta politis. Mi spiego: la città, la polis, è il loro interesse. Pensiamo a quando i tifosi scesero in campo, durante il Covid, per aiutare ad allestire un ospedale a Bergamo, o quando raccolsero decine di migliaia di euro per costruire un parco all’Aquila, distrutta dal terremoto. O, venendo al presente, alla raccolta di cibo e medicinali per la popolazione di Gaza vittima della risposta di Israele. Anche nelle curve più a destra e nere, come quella dell’Ascoli, ci sono alcuni esponenti di sinistra che occupano posizioni di rilievo. E questo perché l’importante non è fare politica, ma insistere sul senso di appartenenza: la città, i colori, la squadra. La sola discriminante per entrare è avere passione».
Ma perché le autorità sono intervenute soltanto ora? E che cosa bisogna fare, in Italia, per eliminare il fenomeno delle infiltrazioni mafiose nelle curve? C’è chi, sbagliando probabilmente, ha tirato fuori il famoso modello inglese.
«Le autorità sono intervenute sulla scia dell’omicidio a Cernusco sul Naviglio, a inizio settembre. C’è stato altresì un lavoro, da parte degli inquirenti, per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Bisogna rendersi conto, in ogni caso, che le inchieste sulle infiltrazioni mafiose sono lunghe e dispendiose. Quanto ai modi per arginare o eliminare il problema, è difficile. Proprio perché la mafia ha intaccato i piani alti dell’economia, della politica, dello Stato. Non tocca, dunque, agli ultras come spiegavo ma alle autorità. E la risposta, mi spiace, ma non può essere un’ulteriore stretta sulle curve. Il modello inglese è un modello perdente. A maggior ragione se accompagnato dal fenomeno del caro-biglietti. Il settore ospiti per Udinese-Inter costava 65 euro. Non è così che cacci le mafie dalle curve. Bisogna, semmai, fare prevenzione. In Italia la gestione dell’ordine pubblico è stata più volte fallimentare: bisogna ricominciare da capo, puntando molto di più sulla prevenzione e mettendo da parte la repressione. Solo con un dialogo aperto con gli ultras, proponendo una responsabilizzazione del tifo, è possibile emarginare questi fenomeni».