«Le nuove tecnologie esaltano il patrimonio culturale»
Tra giovedì e venerdì, Bellinzona ospiterà il convegno "Orizzonti numerici. Statistiche per leggere la cultura". Tra gli ospiti, anche Alain Dufaux, direttore del Cultural Heritage & Innovation Center del Politecnico federale di Losanna. Nel suo intervento parlerà anche del progetto Montreux Jazz Digital, che propone innovazione attraverso gli archivi ricchissimi del Festival.
Alain Dufaux, giovedì lei sarà ospite dell’evento Orizzonti numerici. A Bellinzona si parlerà, in particolare, dell’utilizzo delle statistiche per leggere la cultura. Ma quali lezioni dovremmo trarre, quindi, dalle statistiche del passato per pensare alla cultura del futuro?
«Il Montreux Jazz Festival è un festival pionieristico, lanciato con lungimiranza nel 1967 nella cittadina sulle rive del lago di Ginevra, alla ricerca di uno sviluppo economico e turistico. Creato più che altro sotto forma di “studio” alla presenza di un pubblico, si distingue come un’eccezione per il suo profilo molto speciale, legato in particolare alla bellezza del luogo, alla qualità dell’accoglienza che offre agli artisti e ai suoi forti legami con il mondo dei media, dell’innovazione e della tecnologia. Oggi le statistiche mostrano un numero sempre crescente di festival ed eventi musicali, un dato impressionante per un Paese piccolo come la Svizzera. Questo è un segno di buona salute per il futuro e della sensibilità del pubblico verso la cultura, soprattutto nel campo della musica. Tuttavia, questo non deve frenare la creatività e lo sviluppo di idee e concetti innovativi, come quelli che hanno portato al successo internazionale del Montreux Jazz Festival».
Nel caso del Montreux Jazz Festival - che prendiamo qui come esempio - è stato fatto un intenso lavoro di digitalizzazione e conservazione del materiale culturale disponibile. Ma in che modo questo lavoro può essere utile per considerare il futuro del Festival e, più in generale, il futuro dell’offerta culturale?
«Nel corso della sua storia, il Montreux Jazz Festival ha accolto una serie impressionante di artisti prestigiosi. Iscritta nel registro della Memoria del Mondo dell’UNESCO e promossa parallelamente attraverso il mondo accademico e numerose nuove attività commerciali, la collezione delle sue registrazioni rappresenta un patrimonio vivo, una memoria e un’etichetta di grande valore su cui il Festival può contare per il suo sviluppo. Lanciata nel 2019, la nuova entità del festival, Montreux Media Ventures, è incaricata di rinnovare la produzione audiovisiva del Festival, ora più allineata alle aspettative attuali in termini artistici, tecnologici e di comunicazione. In collaborazione con la Fondazione Claude Nobs e l’EPFL, sta elaborando nuove modalità di presentazione delle registrazioni dei leggendari concerti del Festival».
Al Politecnico di Losanna, si trattano anche le Scienze umane digitali (Digital Humanities). Quali sono le prospettive e gli obiettivi in questo specifico settore?
«L’obiettivo delle Digital Humanities è quello di sostenere, facilitare e sviluppare l’uso dei nuovi progressi tecnologici del mondo digitale, dell’informatica, della scienza dei dati e dell’intelligenza artificiale, a beneficio delle scienze umane e sociali, delle arti e del patrimonio in generale. In tutte queste aree, e in particolare nel campo degli archivi, si stanno sviluppando numerosi strumenti e metodologie che possono aiutare o accelerare l’attuazione di compiti quali la catalogazione, la classificazione, l’analisi e la promozione del nostro patrimonio culturale e artistico».
Per molti, accostare cultura e tecnologia digitale è ancora blasfemo. E questo è ancora più vero quando si parla di intelligenza artificiale. Ma quali potrebbero essere le implicazioni positive di questo binomio (nello specifico cultura e IA)? E quali sono i rischi reali?
«La tecnologia digitale viene impiegata come strumento al servizio degli artisti e della cultura, consentendo una diffusione molto più ampia al grande pubblico. Lo stesso vale per l’intelligenza artificiale. Entrambe portano nuovi modi di creare e distribuire contenuti, che a volte possono spaventare perché hanno un impatto su alcune pratiche, professioni o modelli di business, che sono quindi costretti a ridefinirsi».
Secondo la sua personale esperienza, gli ambienti culturali sono davvero così conservatori quando si tratta di nuove tecnologie?
«Sono divisi. Nella musica, il mondo degli artisti è per l’appunto diviso tra l’attrattiva delle nuove modalità di creatività rese possibili dall’intelligenza artificiale - ad esempio, un dialogo tra musicista e macchina durante un’esibizione dal vivo, con entrambi che imparano e devono adattarsi all’altro - e il pericolo che rappresentano a causa della loro accessibilità a un vasto pubblico. Basti pensare alla generazione di musica non realmente creativa grazie all’intelligenza artificiale. Si tratta di sfruttare gli assi giusti».
Un’ultima domanda, che forse avrebbe dovuto essere la prima di questa intervista: diamo per scontato che l’offerta culturale debba necessariamente essere innovativa. Secondo lei, la cultura, in questo preciso momento storico, tende a essere in ritardo rispetto al ritmo del tempo?
«Credo che la cultura e le arti siano, al contrario, una forza trainante per esplorare le possibilità offerte dall’innovazione e dalle nuove tecnologie. Ecco perché le collaborazioni con il mondo accademico sono così motivanti, come le attività che abbiamo avviato nell’ambito del Living Archive Research Group con l’Ecole de Design et Haute Ecole d’Art du Valais e il Centre Interfacultaire de Sciences Affectives de l’Université de Genève. Il programma Artists in Lab dell’Università delle Arti di Zurigo e il Cultural Heritage & Innovation Center dell’EPFL».