Le proteste in Iran si spostano nelle università
Slogan, manifestazioni, gente per strada, hijab dati alle fiamme, capelli tagliati. Il popolo iraniano continua a protestare in seguito alla morte di Mahsa Amini, 22.enne originaria del Kurdistan iraniano morta il 16 settembre a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia morale per non avere indossato correttamente il velo islamico come prescritto dalle leggi iraniane. Uomini e donne, giovani e anziani. E nell'ondata di proteste gli studenti sono in prima linea.
Nella serata di domenica, nella capitale Teheran, nel campus della Sharif University, una delle più prestigiose del Paese, si sono registrati duri scontri tra studenti e polizia in borghese. Secondo quanto comunicato dagli studenti dell’ateneo sui social, gli agenti delle milizie Basij hanno «circondato il campus e hanno usato lacrimogeni e proiettili di gomma, arrestando almeno un centinaio di persone, tra studenti e docenti». Non si risparmiano le scene di violenza. Nei video pubblicato sui social nonostante il parziale blocco dell'accesso a Internet da parte del governo iraniano, si vedono gli studenti dell’ateneo rincorsi dagli ufficiali in borghese nel parcheggio. I cancelli dell’università sono stati serrati, trasformando il campus in una sorta di prigione. Il ministro della Scienza, della Ricerca e delle Tecnologia iraniano, Mohammad Ali Zolfigol, avrebbe tentato una mediazione con il rettore dell’ateneo. In un video pubblicato sui canali Telegram e Twitter, si vede una persona (forse un agente in borghese) che in sella a una moto spara in direzione della persona che sta registrando le immagini. Fuori dall'università Sharif si sono riversate centinaia di persone in sostegno agli studenti in protesta, molti dei quali sono stati arrestati.
Scioperi e slogan
Ieri gli studenti di 111 università - tra cui quelle di Teheran, Isfahan, Kermanshah, Tabriz e Semnan - hanno scioperato a sostegno degli studenti dell'università Sharif. I docenti dell'università hanno dichiarato che non torneranno al lavoro fino a quando non rivedranno i ragazzi finiti in manette tra i banchi. In centinaia si sono seduti e sono rimasti in silenzio in segno di protesta contro l'arresto ingiustificato dei loro colleghi. Su Iran International figurano anche video ripresi all'interno di alcune scuole femminili in cui le ragazze si sono unite alla protesta facendosi riprendere (di schiena) senza velo. Da Teheran a Karaj gli slogan si moltiplicano, contro le milizie Basij e «il dittatore».
La protesta passa anche dal web
Nel frattempo, un gruppo di hacker ha condiviso ancora con Iran International, con sede a Londra ma finanziato dai sauditi, la presunta identità dei poliziotti che hanno arrestato Mahsa Amini. Backdoor ha mandato ai giornalisti nomi e foto.
Anche gli attivisti di Anonymous si sono schierati e hanno lanciato una campagna massiccia con l’obiettivo dichiarato di «garantire la libertà a tutte le nazioni dai regimi dittatoriali». Dopo #OpRussia ecco quindi #OpIran. Il gruppo globale di hacker si è impegnato a combattere i tentativi del governo iraniano di mettere a tacere il suo popolo e ha cominciato con una serie di attacchi informatici contro i siti web dello Stato e i media affiliati.
La condanna internazionale
Nel frattempo Teheran continua a denunciare «interferenze» estere negli affari interni della Repubblica islamica. Le autorità sperano che limitando l'accesso a Internet si riescano a controllare o prevenire le azioni dei dimostranti in rivolta contro decenni di oppressione. «Sono fortemente preoccupato per le notizie sull'intensificarsi della violenta repressione delle manifestazioni in Iran», ha dichiarato Joe Biden in una nota annunciando che in settimana gli Stati Uniti «imporranno nuove sanzioni contro Teheran». «Per decenni il regime iraniano ha negato le libertà fondamentali al suo popolo e ha soppresso le aspirazioni delle nuove generazioni attraverso intimidazioni, coercizioni e violenze. Gli Stati Uniti sono al fianco delle donne e di tutti i cittadini iraniani che stanno ispirando il mondo con il loro coraggio. Questa settimana, gli Stati Uniti imporranno ulteriori costi agli autori di violenze contro manifestanti pacifici», ha affermato il presidente, assicurando che la sua amministrazione continuerà «a ritenere responsabili i funzionari iraniani e a sostenere il diritto degli iraniani a protestare liberamente».
Il «caso» della ragazza italiana arrestata
La 30.enne romana Alessia Piperno è stata arrestata a Teheran il 28 settembre scorso. Era il giorno del suo compleanno. Il ministero degli Esteri italiano si sta muovendo per liberarla, puntando sull’espulsione ed evitando un lungo processo dagli esiti incerti. A dare notizia del fermo con altre 8 persone è stata una nota del ministero dell’Informazione iraniano, che lo mette in collegamento con le proteste. Secondo le informazioni raccolte dall’intelligence italiana, spiega Repubblica, l’Iran cercava «organizzatori» e l'obiettivo principale tra i fermati potrebbe non essere lei. Alcuni degli altri 8 finiti in manette, infatti, alloggiavano nello stesso ostello della ragazza. Oppure, «potrebbe trattarsi di un problema tecnico». Alessia Piperno era infatti in attesa di un visto per il Pakistan. Nel suo ultimo post su Instagram, aveva informato i suoi follower di volere «ricostruire un villaggio» nel Paese dopo la forte alluvione che ha lasciato centinaia di migliaia di persone senza una casa. Anche il Corriere della Sera ipotizza che il motivo dell'arresto potrebbe essere legato proprio al visto per il Pakistan. Il timore dei diplomatici, ora, è che la 30.enne finisca nel carcere di Evin o che venga trasferita a Quarchak, la prigione femminile di Shahr-E Rai.