Salute pubblica

Le sigarette vincono ancora

Secondo l’ultimo rapporto dell’indice globale che misura le ingerenze esercitate dall’industria del fumo nella vita politica, la Svizzera è al penultimo posto - «La posizione della Confederazione è troppo lassista»
©Chiara Zocchetti
Giona Carcano
14.11.2023 06:00

Quanto influisce l’industria del tabacco sulla politica svizzera? Moltissimo. A dirlo è l’Associazione svizzera per la prevenzione del tabagismo (AT), che ha pubblicato il rapporto 2023 del Global Tobacco Index (GTI). La Confederazione, con un punteggio di 95/100, si colloca all’89. posto su un totale di 90 Paesi presi in esame. Soltanto la Repubblica Dominicana riesce a fare peggio. Insomma, c’è poco di cui andare fieri.

Le tre multinazionali

La Svizzera, scrivono gli autori dello studio, «risulta quindi particolarmente esposta alle manipolazioni dell’industria del tabacco e della nicotina». Tra le venti nazioni europee che figurano nel GTI, la nostra ha ottenuto il risultato peggiore. Brunei, Nuova Zelanda, Francia e Olanda occupano invece i primissi posti e sono quindi considerati Paesi in cui l’ingerenza di questo settore nella vita politica è meno forte. Il problema della Svizzera – sede peraltro di importanti industrie del tabacco, come Philip Morris International, British American Tobacco e Japan Tobacco International – è noto da decenni, ma la situazione continua a essere pesante. Forti, come detto, gli influssi di questi giganti della lavorazione del tabacco sui dibattiti e sui processi legislativi riguardanti la salute pubblica. Questa industria, rileva ancora AT, «prende parte alle discussioni sulle misure di regolamentazione, esercita un influsso sulle persone chiamate a prendere le decisioni e si avvale di numerosi lobbisti per diffondere informazioni tendenziose e promuovere i propri interessi – e questi interessi non possono che entrare in contraddizione la tutela della salute pubblica».

Una posizione troppo lassista

In questo contesto, la Confederazione è colpita nel profondo dal fenomeno. Ancora lo studio: «La Svizzera adotta una posizione lassista, permettendo all’industria del tabacco di perseguire strategie che vanno dalla manipolazione politica all’occultamento degli effetti nocivi del fumo. Pratiche che perpetuano i problemi di salute, bloccano un’evoluzione delle politiche in questo ambito e mantengono alta la percentuale di persone che fumano». Gli autori fanno inoltre degli esempi di come il settore riesca a manipolare l’opinione pubblica. Ad esempio, «il Politecnico federale di Zurigo sta conducendo uno studio sovvenzionato dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica (FNS) e da Philip Morris». Il tutto rientra in una precisa strategia per finanziare progetti di ricerca scientifica «che favoriscono interessi commerciali». Non solo: come sottolinea il rapporto, oltre a regolari contatti con il mondo politico – incontri peraltro opachi, visto che non c’è traccia di verbali –, il settore del tabacco lambisce anche gli Uffici federali. Èil caso dell’Ufficio federale dell’ambiente, «aperto a numerose collaborazioni e dai verbali delle sue riunioni con rappresentanti dell’industria lo si vede prestare il fianco a una campagna di greenwashing» a fianco di importanti attori del settore. Per non parlare dei finanziamenti diretti: «L’esempio più recente sono i due doni di 35.000 franchi ciascuno versati da Philip Morris a due partiti nazionali, l’UDC e il PLR, in vista delle elezioni federali di ottobre».

«Una vergogna»

Ma a che cosa è dovuta questa capillare ingerenza nella vita politica elvetica? Per l’Associazione svizzera per la prevenzione del tabagismo è chiaro: oltre a motivi economici dovuti alla presenza in Svizzera di tre multinazionali delle sigarette, viene notata «la mancanza di una politica di lotta al tabagismo che comprenda direttive chiare destinate alle persone che occupano posizioni di responsabilità per evitare questo tipo di cooperazioni. Poiché la Svizzera è uno dei pochi Paesi che non hanno ratificato la Convenzione quadro dell’OMS sulla lotta al tabagismo, i fabbricanti di sigarette approfittano della posizione lassista della Confederazione». Per Laurence Fehlmann Rielle, presidente dell’AT, si impone un cambio di rotta. «È veramente ora che la Svizzera ratifichi la Convenzione dell’OMS e onori in tal modo gli obblighi che questo accordo comporta, ossia disciplinare in modo rigoroso tutto quanto concerne il tabacco». «Il ritardo nella prevenzione dal fumo è noto da anni», rileva da parte sua Alberto Polli, presidente dell’Associazione svizzera non fumatori. «È vergognoso che la lobby del tabacco influisca sulla politica federale, rallentandone i processi come nel caso del divieto di ogni forma di pubblicità per il tabacco».