L'economia russa si sta «surriscaldando»: e la causa è la guerra in Ucraina
Da tempo, al di là dei valori positivi e del peso, effettivo, delle sanzioni internazionali, su cui si discute da tempo, l'economia russa sta soffrendo. Meglio, si sta surriscaldando. Il motivo? È doppio. Da un lato, la spesa militare per sostenere la guerra in Ucraina è cresciuta a dismisura. Dall'altro, c'è sempre più carenza di manodopera. A quasi tre anni dall'invasione su larga scala, insomma, il peso dello sforzo bellico si sente. Eccome, se si sente.
La Banca centrale russa, leggiamo, ha spinto i tassi di interesse al 21% nel tentativo (e nella speranza) di rallentare un'inflazione che esperti e analisti definiscono come galoppante. Un'inflazione che continua, soprattutto, a rimanere al di sopra dell'obiettivo del 4% fissato dalle autorità. Nello specifico, i prezzi del burro sono aumentati del 26% rispetto all'anno precedente. Tant'è che alcuni negozianti hanno messo il prodotto sotto chiave temendo possibili furti, scrive fra gli altri il Financial Times. Come spesso accade, le «teorie» sul perché il burro sia schizzato alle stelle si sprecano. Secondo il Ministero dell'Agricoltura, la colpa va ricercata negli stipendi troppo alti dei russi. A detta dei produttori, invece, è il costo del latte a essere elevato. Infine, il senatore Alexander Dvoinikh si è letteralmente superato spiegando che i cittadini, continuando a parlare del prezzo del burro, hanno provocato l'aumento. La realtà, evidentemente, è differente.
La situazione, insomma, è complicata. L'economia russa è stata duramente colpita dalle sanzioni occidentali. Al punto che, riferisce sempre il Financial Times, molte industrie statali rischiano la bancarotta mentre altre stanno ripiegando addirittura sul baratto. Come ai tempi dell'Unione Sovietica. A Mosca, spiegano i beninformati, c'è un cauto ottimismo dopo il risultato delle presidenziali statunitensi. Sebbene fonti vicine al Cremlino sostengano che Vladimir Putin preferisse Kamala Harris. Cauto ottimismo legato alla speranza che Donald Trump allenti le citate sanzioni o ponga fine alla guerra. Per giunta alle condizioni della Russia. Il sito indipendente russo The Bell, tuttavia, sottolinea come il problema risieda (anche) altrove. Nei rapporti, sempre più tesi, fra Stati Uniti e Cina. Tradotto: un altro round di guerra commerciale fra Washington e Pechino danneggerebbe e non poco le prospettive di crescita russe, considerando la partnership strategica (ancorché obbligata) con il Dragone.
Lo scorso settembre, al Parlamento russo è stato presentato un bilancio triennale. Secondo i piani, il Paese ha tracciato la rotta affinché la spesa militare cresca ulteriormente. Del 13% a partire dal 2024. Una mossa che, a sua volta, si traduce nella disponibilità di Mosca a continuare la guerra in Ucraina e, al contempo, nella volontà di ricostruire l'esercito, confrontato a gravi perdite al fronte. Ma i problemi economici, scrive Semafor, difficilmente spariranno. Al contrario, l'inasprimento delle restrizioni sull'immigrazione, complice un forte, fortissimo sentimento anti-migranti, avrà pesanti ripercussioni sulla carenza di manodopera. Al di là dei dribbling e di alcune, timide aperture – come quella del Giappone sull'esportazione di automobili verso la Russia – le sanzioni stanno complicando e non poco il quadro. Sta diventando difficile, se non impossibile, acquistare macchinari ad alta tecnologia ad esempio. Non finisce qui: alcuni spiegano che, a guerra finita, potrebbe verificarsi un calo dei redditi reali per una larga porzione di popolazione. Il che potrebbe alimentare disordini.