Missioni spaziali

L’epoca in cui l’URSS metteva in subbuglio tutto il mondo

L’Unione Sovietica è stata la prima nazione a lanciare in orbita un satellite artificiale, un essere vivente e infine un uomo - GUARDA FOTO E VIDEO
Nicola Bottani
Nicola Bottani
07.06.2019 06:00

Come negli Stati Uniti, anche nell’ex Unione Sovietica non mancano i lutti nella storia delle missioni spaziali, con la tragica perdita di cosmonauti. Il primo giorno d’aprile del 1967 a perdere la vita è Vladimir Komarov. Il paracadute che dovrebbe frenare la capsula Sojuz 1 al rientro sulla Terra non si apre e Komavorv non sopravvive al violento impatto con il suolo. Era alla sua seconda missione, dopo la prima del 12-13 aprile 1964 sulla Voshod 1 insieme a Konstantin Feoktistov e Boris Egorov.

Quattro anni dopo la morte di Komarov, il 30 giugno 1971, ecco un’altra tragedia. La Sojuz 11 di Georgij Dobrovolskij, Vladislav Volkov e Viktor Patsaev atterra regolarmente, pur se a certo punto le comunicazioni subiscono un’interruzione – come previsto a causa della ionizzazione provocata dall’attrito all’entrata nell’atmosfera – e in seguito da terra non si riesce a ristabilirle. Quando gli uomini della squadra di recupero aprono il portellone della capsula, vengono presi dallo sgomento: Dobrovolskij, Volkov e Patsaev giacciono morti sui loro sedili, con il volto cianotico e rivoli di sangue fuoriusciti dal naso e dalle orecchie.

Francobollo sovietico che commemora la prima missione di Vladimir Komarov. (Foto Wikipedia)
Francobollo sovietico che commemora la prima missione di Vladimir Komarov. (Foto Wikipedia)

E dire che la missione della Sojuz 11 segna nuove storiche tappe nella storia dei viaggi nello spazio. Dobrovolskij, Volkov e Patsaev decollano dal cosmodromo kazako di Bajkonur il 6 giugno del 1971 per raggiungere la stazione spaziale Saljut 1 che li ospita per 22 giorni, allora nuovo record di permanenza in orbita di un equipaggio umano attorno alla Terra. Sulla Saljut 1 dopo undici giorni si sviluppa un piccolo incendio che viene domato, dopo di che in quelli successivi tutto va avanti senza ulteriori guai. Insomma, un successo su tutta la linea, prima del rientro e del dramma.

Ma cosa provoca la morte dei tre cosmonauti? È l’improvvisa depressurizzazione della capsula Sojuz 11 causata dal cedimento di una valvola al momento del distacco dalla Saljut 1. Una manovra per compiere la quale si facevano esplodere i bulloni che trattenevano la capsula alla stazione spaziale, nel caso della Saljut 1 la prima mai messa in orbita dall’uomo. Insomma, a risultare fatale è un piccolo e all’apparenza banale componente come è stato per quelli all’origine dei disastri degli Space Shuttle statunitensi Challenger e Columbia.

Lo sfortunato equipaggio della Sojuz 11: da sinistra, Georgij Dobrovolskij,Vladislav Volkov e Viktor Patsaev. (Foto Wikipedia)
Lo sfortunato equipaggio della Sojuz 11: da sinistra, Georgij Dobrovolskij,Vladislav Volkov e Viktor Patsaev. (Foto Wikipedia)

L’Unione Sovietica, però, entra nella storia delle esplorazioni spaziali soprattutto per essere la nazione che firma le primissime, spettacolari imprese nel cosmo. Il che non molto tempo dopo - sprona gli americani a forzare le tappe del cammino verso la conquista della Luna. L’URSS ai primi di ottobre del 1957 manda in orbita lo Sputnik 1, il primo satellite artificiale di sempre. Il 3 novembre dello stesso anno lo Sputnik 2 porta poi attorno alla Terra la cagnolina Laika, altro evento che stupisce tutto il mondo occidentale e non solo gli Stati Uniti. È una missione senza ritorno quella di Laika che tra l’altro muore ben presto girando attorno alla terra, presumibilmente per i forti sbalzi di temperatura a cui è sottoposta la navicella che la ospita. Fatto sta che il primo essere vivente nato sul nostro pianeta ad aver mai viaggiato nello spazio è proprio lei.

La cagnolina Laika ricordata in un francobollo rumeno. (Foto Wikipedia)
La cagnolina Laika ricordata in un francobollo rumeno. (Foto Wikipedia)

Sulla Terra, invece, ritorna sano e salvo Jurij Gagarin, come atteso dai tecnici sovietici per la sua missione che di nuovo, dopo quella dello Sputnik 1 e della cagnetta Laika, mette in subbuglio gli americani e meraviglia tutto il mondo. È il 12 aprile del 1961 e il ventisettenne Gagarin, che morirà poi in un incidente aereo quattro anni dopo ai comandi di un aviogetto militare, viene sparato da Bajkonur verso il cielo a bordo della capsula Vostok 1 – Oriente 1 – installata in cima a una nuova versione del razzo R-7. Il volo dura relativamente poco: 108 minuti che però bastano per permettere a Gagarin di entrare nella leggenda delle esplorazioni spaziali.

Si festeggia il decimo anniversario del volo di Jurij Gagarin, ritratto anche nella fotografia d’apertura. (Foto Wikipedia)
Si festeggia il decimo anniversario del volo di Jurij Gagarin, ritratto anche nella fotografia d’apertura. (Foto Wikipedia)

Quella vera, di leggenda, non costruita sulle ali di una fantasia fin troppo vivace e della quale fa parte di diritto anche Valentina Tereshkova. Nel 1963 ha 26 anni e a bordo della Vostok 6 il 16 giugno di quell’anno diventa la prima donna della storia a orbitare attorno alla Terra. La Tereshkova è un’ex operaia tessile e viene scelta per dimostrare che qualsiasi uomo o qualsiasi donna cittadino dell’URSS, purché sia sorretto da una grande fede comunista, può raggiungere obiettivi e traguardi stellari. E difatti Valentina Tereshkova sulla Vostok 6 non è che una semplice passeggera, tanto più che non brilla certo per capacità tecniche oppure scientifiche.

Per molti anni le missioni spaziali civili dell’Unione Sovietica rimangono ammantate dal mistero, così che nascono molte leggende che solo in tempi relativamente recenti vengono confutate. Ciò avviene grazie all’apertura degli archivi al di là di quella che era la Cortina di ferro, cosa che permette a storici e studiosi più in generale di accedere alla documentazione relativa alle missioni spaziali targate URSS.

Valentina Tereshkova è stata la prima donna a essere lanciata in orbita. (Foto Wikipedia)
Valentina Tereshkova è stata la prima donna a essere lanciata in orbita. (Foto Wikipedia)

I documenti ufficiali raccontano tutta un’altra storia rispetto a quella ricamata per esempio dai fratelli italiani Achille e Giovanni Judica Cordiglia, radioamatori che proprio negli anni dello Sputnik 1, di Laika e Gagarin si costruiscono una grande fama captando e registrando segnali e soprattutto voci provenienti dallo spazio, comprese quelle di cosmonauti morenti o destinati a perdersi nello spazio più profondo. O almeno così credono, come si può leggere nel loro libro «Banditi dello spazio. Dossier Sputnik 2», dato alle stampe dalle Edizioni Vitalità e ancora reperibile.

Ma perché ai tempi nascono così tante leggende a proposito delle esplorazioni spaziali dell’Unione Sovietica? È presto detto: la ricerca e lo sviluppo delle missioni civili sono legati a doppio filo con quelli dei militari, a iniziare dalla progettazione e costruzione dei razzi, che l’Armata rossa prevede di utilizzare quali vettori delle armi atomiche. Quindi, meno se ne sa in Occidente su quel che accade al di là della Cortina di ferro, meglio è. E poco importa se poi la realtà delle cose, da parte occidentale, viene travisata quando si parla e scrive della cosmonautica.

Riproduzione della capsula di Jurij Gagarin al Museo dell’aria e dello spazioa Le Bourget, nei pressi di Parigi. (Foto Wikipedia)
Riproduzione della capsula di Jurij Gagarin al Museo dell’aria e dello spazioa Le Bourget, nei pressi di Parigi. (Foto Wikipedia)

Per rimettere il campanile al centro del villaggio vi proponiamo quindi il libro «Il mistero dei cosmonauti perduti. Leggende, bugie e segreti della cosmonautica sovietica», sedicesimo volume della collana I quaderni del CICAP, ossia il Comitato Italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze, organizzazione educativa senza fini di lucro fondata nel 1989 per promuovere l’indagine scientifica e critica sui cosiddetti fenomeni paranormali e più in generale – appunto – sulle pseudoscienze.

In questo libro, fra le altre cose, potrete allora scoprire quali pasticci aveva combinato Valentina Tereshkova in volo e subito dopo il rientro sulla Terra. E anche perché in nome della segretezza al cosmodromo di Bajkonur venne dato il nome di una città che da lì distava alcune centinaia di chilometri oppure come i fratelli Judica Cordiglia presero lucciole per lanterne captando presunte voci provenienti dallo spazio. Buona lettura!

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